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«Martha Peake» di Patrick McGrath: il romanzo di una rivoluzione che non parla della rivoluzione

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Martha Peake di Patrick McGrath traduzione di Annamaria Raffo Bompiani, 2021

pp. 400

€ 15,00 (cartaceo)

€ 9,99 (ebook)

 

Harry amava sua moglie in modo intenso e possessivo, e i litigi e le scenate fra loro erano dovuti solamente alla natura passionale dei loro sentimenti; ma amava Martha con uguale passione, perché era tutta sua madre, le medesime fattezze, lo stesso spirito, gli stessi capelli rosso fuoco. (p. 22)


Ho avuto il piacere di conoscere Patrick McGrath tramite il suo capolavoro, Follia: un libro bellissimo, dalla trama coinvolgente e dallo stile sublime. Una di quelle letture che fanno venir voglia di utilizzare una perifrasi ormai abusata come “tenere il lettore incollato fino all’ultima pagina”.

Il problema di aver conosciuto un autore attraverso il suo miglior testo è che difficilmente gli altri libri saranno allo stesso livello. Dopo aver infatti vacillato con Trauma e non aver particolarmente apprezzato i suoi racconti usciti per La Nave di Teseo, con Martha Peake ho avuto la conferma di quanto appena annunciato.

Martha Peake è un romanzo gotico che inizia nel più classico dei modi e, dopo un avvio affascinante, si perde nelle sue circa quattrocento pagine. Ciò che ritroviamo nei primi capitoli – il viaggio del narratore Ambrose per raggiungere la dimora decadente dello zio William, un uomo cupo e sinistro che vive isolato accanto a una palude; una storia legata a un personaggio misterioso ritratto in un quadro sopra il vecchio camino; le leggende riguardanti la nascita degli Stati Uniti d’America – sin da subito ha il sapore dolceamaro del déjà-vu, ma lo stile inconfondibile di McGrath e la sua maestria narrativa spingono a mettere da parte i dubbi per proseguire nella lettura.

Lettura che risulta frammentata e rallentata dal continuo uscire e rientrare nella trama principale, in quanto lo zio William, dapprima intenzionato a raccontare le vicende di Harry Peake e di sua figlia Martha, diventa man mano più ritroso (e scontroso), per cui decine di pagine vengono spese nel tentativo di convincere il lettore della genuinità della storia. Se nelle intenzioni dell’autore questa messinscena serve a creare suspense, attraverso l’uso più o meno riuscito di cliffhanger e anticipazioni, al lettore arriva solo la frustrazione di essere strappato via dall’azione per ritrovarsi al cospetto, per l’ennesima volta, di zio e nipote assisi su vecchie poltrone accanto al camino che discutono se proseguire o meno la narrazione. Il culmine arriva dopo il trasferimento del focus da Londra alle coste americane di Boston: qui la vicenda di Harry Peake, finora centrale, si perde nelle congetture di Ambrose, per essere sostituita da quella di Martha la quale – e qui l’assurdità raggiunge punte parossistiche – viene ricostruita dal narratore attraverso le scarne lettere che la ragazza ha spedito decenni prima a William. Non v'è certezza che quanto raccontato sia andato esattamente così, e al lettore, che a questo punto è catapultato fuori dalla suspension of disbelief, sorge il dubbio di star leggendo un romanzo scritto da un principiante.

Al di là delle meccaniche, ciò che non funziona nel romanzo è proprio la trama. Harry e Martha sono due personaggi interessanti, sì, ma entrambi sono travolti da eventi più grandi di loro. Il titolo originale del romanzo, Martha Peake: a Novel of the Revolution, lascia intendere per esempio che Martha, dall’altra parte dell’oceano, sarà protagonista della rivoluzione americana in corso. Il traduttore italiano ha pensato bene di tagliare il sottotitolo, perché non c’è alcun legame concreto fra le vicende di Martha e quelle della guerra d’indipendenza americana: ciò che avviene nei pressi di Boston, nella cittadina di pescatori in cui Martha si trasferisce, è totalmente estraneo alla guerra stessa. Martha viene coinvolta solo incidentalmente, e il suo destino è uno dei momenti più bassi dell’intero romanzo. Lo stesso attaccamento di Ambrose e William alla vicenda di Martha è inspiegabile, se non per motivazioni di trama.

In conclusione, di questo libro è possibile salvare solo lo stile di McGrath, che in nessun modo, in ogni caso, raggiunge le vette di Follia. Anzi, in diversi passaggi pecca di prolissità, di mancanza di forza e magnetismo. È un romanzo difficile da portare a termine e ancor più difficile da digerire.


David Valentini