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Cronache "fascinorose" di picchiatori nella Svizzera italiana degli anni Ottanta

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Breve trattato sui picchiatori nella Svizzera italiana degli anni Ottanta 
di Manuela Mazzi
Laurana Editore, marzo 2021 

pp. 272
€ 18,00 (cartaceo)  
«Vedete quella tavolata?» chiese Rico.
«Eh?» rispose Matt.
«Beh, tutti e sei i tipi che si trovano lì mi stanno sulle palle!»
«Com’è che li conosci?» chiese Gerry
«Vengono nella mia scuola: uno più stronzo dell’altro» aggiunse.
Matt lo guardò. Ci pensò un attimo e poi: «E allora meniamoli…. Ma devi iniziare te, che io non so nemmeno chi sono.»
Rico ci provò. Iniziò a insultarli, ma quelli non reagirono più di tanto.
«Questi sono proprio rincoglioniti: che faccio?»
Matt scambiò un’occhiata con Gerry, poi si fece venire quel ghigno che gli permetteva di pregustare una scazzottata prima ancora che prendesse il via.
«È facile, fai alla vecchia maniera. Ora ti alzi. Vai da loro. Prendi il primo tazzone di birra che gli hanno appena servito e glielo versi addosso.»
Fu il caos.
Chi erano i picchiatori nella Svizzera italiana degli anni Ottanta?
Attaccabrighe o eroi confusamente romantici, paladini di un senso dell’onore da vendicatori telefilmici, o animati da un generico quanto autentico fascismo - come cantava Niccolò Contessa (aka I Cani), in altri anni e altri luoghi, dei pariolini di 18 anni, apparentemente quanto di più distante dai giovani picchiatori ticinesi possiamo immaginare?
Ma il modo di sfogare in maniera violenta il periodo spesso torbido e confuso della giovinezza è un tratto comune a tutte le epoche, a tutte le comunità, come vediamo anche ai giorni nostri, nelle notizie del tg e nelle piazzette sotto casa, senza capire.
Eppure siamo stati ragazzi anche noi, anche se pochi, verrebbe da dire, se ne ricordano.
Invece Manuela Mazzi nel suo Breve trattato sui picchiatori nella Svizzera italiana degli anni Ottanta (Laurana Editore) se ne ricorda. Forse perché ha perdonato quell’età malvagia e riesce a vederci del buono, forse perché i suoi picchiatori sono in fondo dei bambinoni protagonisti di una stagione primaverile destinata a sfiorire presto, a trasformarsi in un’età adulta senza nessun appello.
Qualcuno se n’è andato per età, qualcuno perché è già dottore e insegue una maturità, si è sposato, fa carriera ed è una morte un po’ peggiore, no?
E anche i bar, o i luoghi mitici teatri di risse e baccagliamenti, in fondo hanno fatto un po’ la fine delle osterie di fuori porta gucciniane, e la gente che ci andava a bere (o a fare a botte, in questo caso) fuori o dentro è tutta morta.
Di questa età dorata come sono dorate le stelle di cartone di una recita sui costumi luccicanti dei bambini, Manuela Mazzi restituisce una cronaca fedele, anche se resa in uno stile un po’ legnoso, da resoconto trattatistico - come d’altronde esige all’origine il titolo, più borgesiano di quanto poi (purtroppo!) non sia il libro.
Resta comunque un titolo bellissimo, accompagnato da una veste grafica curata e convincente, che evoca un’idea di narrativa provinciale - nella sua accezione positiva - e regionalistica molto fascinosa. O fascinorosa, se mi si passa il gioco di parole.
Forse lo sviluppo non aveva bisogno dell’espediente del manoscritto ritrovato (il breve trattato, si dice nella prefazione, sarebbe nato da un’inchiesta a partire da una serie di articoli usciti sul TicinoSera condotta da tal Orazio Cavadini e portata a termine dall’autrice) ma senza dubbio ha il pregio di indagare l’anima di tempi che saremmo tentati di definire senz’anima.
Nella massa indistinta di giovani mani che si azzuffano e di bande che si fronteggiano, spiccano le storie individuali e allo stesso tempo esemplari dei franchi tiratori, i picchiatori liberi, come Matt detto Nitro, Gerry “Glicerina” detto anche il Gentile, Carletto Fontana detto Swan, Rolando detto Boom boom Rolly e pure una femmina, Cristina detta LouLou c’est moi
Nomi formulari che compongono una piccola, come dice bene Giulio Mozzi, curatore della collana fremen, all’interno della quale appare questo trattato, privatissima Iliade di giovani svizzeri italiani che hanno cercato di sopravvivere al disagio generazionale in cui si sono trovati nell’unico modo che hanno trovato disponibile: picchiando. 
Non è importante se i personaggi in fondo siano veri o inventati, questo Paleolitico individuale di apice e caduta di livelli di testosterone, come chiosa Ermanno Cavazzoni nella postfazione, è «un racconto monumentale come sempre è il ricordo della gioventù e dell’adolescenza selvatica».
Gli anni Ottanta ci appaiono ormai sempre più chiaramente come uno snodo fondamentale, gli anni dell'adolescenza di un sistema, un momento in cui tutto quello che poteva andare bene è andato storto. E oggi come non mai siamo costretti a farci i conti.

Giulia Marziali