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Ironia, sarcasmo, cinismo e realismo "sporco": "Come governare il mondo", il nuovo romanzo di Tibor Fischer

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Come governare il mondo
di Tibor Fischer
Marcos y Marcos, 2021

Traduzione di Marco Rossari

pp. 312

18,00 € (cartaceo)
11,99 € (ebook) 

Era da molto tempo che non leggevo un libro del genere, un libro che mi riportasse ai miei anni universitari fatti di camminate, di voglia di vivere mascherata da cinismo, di machismo disperato e disperante, anni con le scarpe rotte e un libro brossurato consumato nelle tasche dei pantaloni, anni con la sfiducia cinica che ha solo chi crede di poter cambiare il mondo. Era da molto tempo che non mi perdevo in una lettura che mi richiamasse alla memoria la definizione, fatta per le opere di Bukowski o per quelle dei suoi epigoni, di realismo sporco – categoria critica che mi ha sempre fatto sorridere, ma tant’è: delle volte le categorie servono a dare una parvenza di ordine a qualcosa che non può averlo, giusto per acquietare la coscienza, giusto per abitudine, giusto perché abbiamo visto che a qualcosa può servire (specialmente in discussioni critico-letterarie) –, e in una lettura che mi desse l’idea che lo scrittore avesse qualcosa da dire di non allineato alla cultura del politicamente corretto.

Sì, perché ogni tanto ti fa stare bene, o almeno fa stare bene me, leggere frasi che sentiresti in una confessione spassionata di un tuo vecchio amico ubriaco e deluso dal mondo, frasi del tipo: «I francesi sono così facili da menare, perfino i tedeschi si annoiano» (p. 34); oppure: «Non è carino godere degli insuccessi altrui, ma bisogna sapersi accontentare» (p. 59); oppure, ancora: «Bellissimo, gli dico. Mentire fa bene al mondo» (p. 159). È quel politicamente scorretto che, preso a piccole dosi, ha il potere di ripulirti il pensiero e di liberarti dall’uso eccessivo e massivo di eufemismi e di perifrasi di cui sono intessuti il mondo e la maggior parte delle narrazioni di oggi. Ed è quello che mi ha regalato Come governare il mondo, l’ultimo libro di Tibor Fischer, pubblicato da Marcos y Marcos.

Per me, da quando ricordi, il piacere di un’opera letta è anche direttamente proporzionale al numero di appunti, di sottolineature e al numero di segni lasciati con il lapis ai lati delle pagine – no, le orecchie-segnalibro le ho sempre odiate, ma si sa, ognuno ha le proprie idiosincrasie e le proprie ossessioni. E io, leggendo Come governare il mondo, mi sono ritrovato a scrivere più di un segno e a sorridere ogni qualvolta lo lasciavo. Direi che questo è un pregio che ogni libro dovrebbe avere.

Questo non è un romanzo che ti fa arrovellare, non è un’opera che ti spinge a ricercare una verità metafisica, a riflettere in maniera ossessiva per sbrogliare una matassa o per comprendere le scelte linguistiche e di trama che l’autore ha preso. Né è un romanzo che ti fa riflettere molto sullo stile e sul ritmo, sulla musica all’interno della narrazione e sulle immagini che ti invadono la mente, né ti fa rimuginare sulla struttura generale della forma romanzo. Questa è un’opera che ti immerge nella vita di tutti i giorni di Baxter Stone, scafato (termine che più volte si ripete nella bella traduzione di Marco Rossari) regista free-lance sempre alla ricerca di un lavoro (mi sono felicemente tornati alla mente i giorni in cui, seduto davanti a un bicchiere di vino rosato, leggevo Post office), questa è una narrazione che ti bagna con la sua ironia e il suo sarcasmo, che ti rinfresca con il suo cinismo, con il suo realismo dato dall’esperienza, vissuto sulla pelle del protagonista, nato dagli schiaffi o dai pugni che il personaggio ha ricevuto. Ed è indicativo il fatto che il libro si apra proprio con il pugno in faccia ricevuto da Baxter.

Questo è un romanzo con un suo particolare umorismo, non l’umorismo british alla Mr. Bean (da piccolo, in verità, non mi faceva ridere poi tanto, da adulto ancora non lo apprezzo particolarmente), ma è quello ironico e critico proprio di chi pensa di conoscere il mondo, di chi, con le sue narrazioni e le sue esperienze, spinge il lettore, l’amico, l’ascoltatore a pensarlo o, almeno, fa sì che non sia mai del tutto sorpreso dalle sue bordate. E così, leggendo periodi del genere:

Il mio cinismo (“Bax, perché sei così cinico?”) e il mio pessimismo (“Bax, come fai a essere così pessimista?”) mi tornano utili solo al momento di organizzare. Mi aspetto sempre che tutto vada a puttane. Quindi prendo ogni misura, e qualcuna in più. Controllo le cose tre volte. Consegno a tutti le cartine geografiche, le scalette e i numeri di telefono. Ci sono informazioni sparse ovunque. Eppure dipendi lo stesso dagli altri. Non puoi farci niente. La disfatta ti aspetta, serafica in un angolo a sorseggiare un caffè,

ti prepari ad affrontare l’incertezza propria della vita, e lo fai con le nocche indurite dal duro lavoro e dalle cadute rovinose; e lo fai sognando il gusto forte di un cibo da strada che hai sempre amato e che, nel momento di massimo sconforto, non ti è stato concesso perché non ti sforzi troppo di essere felice, perché non ti meravigli più della realtà.

Giorgio Pozzessere