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#CriticaNera - Quando la morte arriva nella sala autoptica: l'umorismo macabro di Jim Knipfel nel suo "Esequie"

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Esequie
di Jim Knipfel
Bompiani, 2015
pp. 261

(il titolo fa parte dell'offerta di due titoli Bompiani a € 9,90 fino a esaurimento scorte)
Extra-promozione: 
€ 17 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
 
Titolo originale: Residue
Traduzione di Beatrice Gatti.


È un novembre più freddo del normale quello che è iniziato nella contea di Kausheenah, sprofondata in un Wisconsin rurale e tradizionalista che si appresta ad affrontare la stagione della caccia. Lo sceriffo Leonard Koznowski conduce una vita routinaria e tranquilla e di certo non è pronto al fatto di sangue che sconvolge la cittadina di Beaver Rapids, diecimila abitanti, “un cinema, tre sale da bowling, uno stadio di softball, un bel parco vicino al fiume, una banda e ora anche un tasso di omicidi. Proprio come nelle grandi città” (p. 22). Quello che si consuma in un giorno solo apparentemente come qualsiasi altro è infatti un duplice assassinio: l’impresario di pompe funebri Unterhumm e il suo giovane assistente Kirby Mudge vengono uccisi con due colpi di fucile alla schiena. Non si conosce il movente, non c’è alcun sospettato, né alcuna traccia fisica dell’arma del delitto, e nella sala autoptica è stata lasciata una frase sibillina, che lo sceriffo e i suoi uomini non riescono a decifrare. 
In un paese in cui l’ultimo fatto di sangue risale a vent’anni prima, un evento del genere crea sconcerto, soprattutto perché Koznowski non sa che pesci pigliare e perché anche le battute dei telefilm, di cui è grande conoscitore e che gli offrono gli unici punti di riferimento procedurali utili, non sono davvero d’aiuto. La preoccupazione dello sceriffo, provato nel fisico da un recente incidente e nello spirito dalla consapevolezza della propria inadeguatezza, viene accresciuta di fronte alla stolidità dei suoi collaboratori, quando va bene inesperti, altrimenti schiettamente incapaci di affrontare la situazione. Solo due dei suoi vice, Deliah Vandeberg e Deke Keller riescono faticosamente a stare al passo, ma pur sempre arrancando di fronte a qualcosa di troppo grande e misterioso per poter essere davvero compreso. Anche perché Unterhumm, anche se vero e proprio artista nel settore funerario, era un uomo ombroso e sgradevole, che nessuno davvero conosceva, né tantomeno amava, e tanti potrebbero trarre beneficio più o meno direttamente dalla sua dipartita.
La trama ideata da Jim Knipfel, per lungo tempo collaboratore del New York Press, ricostruisce i tempi lunghi di un’indagine poliziesca che procede per intuizioni, approssimazioni e tanti vicoli ciechi. Se ci si mettono i numerosi detrattori che dubitano delle capacità dello sceriffo di risolvere il caso, le infinite piccole lamentele che lo affliggono, nonché le denunce collaterali con cui viene intasata la centrale di una cittadina come Beaver Rapids e che continuamente distraggono gli agenti dal duplice omicidio, la situazione appare tutt’altro che idilliaca. Eppure, un passo alla volta, gli indizi iniziano a emergere e a configurare un quadro complesso, che coinvolge un gruppo di fanatici religiosi guidati da una ministra convinta di aver dato alla luce un nuovo Redentore, una inquietante associazione di becchini, un giovane sacerdote dal passato oscuro, e molti altri aspetti non facili da digerire, né per il lettore, né tantomeno per Leonard, sempre più sconvolto di fronte a una realtà violenta e grottesca che non riconosce più:
Scosse di nuovo la testa e aggrottò la fronte. Era un mondo ridicolo, folle, di certo un mondo che lui non capiva. A volte, nei momenti più tranquilli, momenti che non aveva condiviso con nessuno, aveva iniziato a chiedersi se apparteneva ancora a quel posto. Dannata gabbia di matti. (p. 245)
Come spesso nel genere, scarseggiano i personaggi davvero positivi: gli abitanti di Beaver Rapids mostrano scale di valori sovvertite e financo discutibili, le istituzioni appaiono quasi caricaturali nel loro mancato rispetto delle procedure, la Chiesa è incapace di offrire reale conforto o di sollecitare una fede sincera, e anche chi è animato dalle migliori intenzioni non necessariamente arriva a buoni risultati o viene ricompensato per i suoi sforzi (né dalla collettività, né da alcuna forza karmica).
Più che la soluzione del caso quello che conta è il tratteggio delle luci e delle ombre (ben più fitte) di una piccola comunità che sta cambiando, e non in meglio. Non è certo, questo di Knipfel, un romanzo didascalico, che accompagna il lettore per mano fino a una rassicurante conclusione in cui tutti i segreti vengono svelati: noir nel profondo della sua essenza (non soltanto per l’ambientazione “autoptica”), Esequie sa che non tutto può essere detto, che alcuni misteri dell’umana esistenza devono restare inespressi, che certe verità possono essere solo evocate – e restare lì, in disparte, intuite, ad accrescere il senso di una inquietudine crescente. Così la scelta di non riportare tutto a un ordine preciso, di non avere un momento di svelamento unitario e sommativo, oltre a inserirsi nel solco di una precisa tradizione (alla Chandler, per intenderci), diventa precisa scelta stilistica e, insieme all’umorismo macabro che picchietta ogni pagina del romanzo, elemento che valorizza il tono specifico della narrazione. Non deve però scegliere questo testo chi ama il giallo classico con le sue simmetrie e la prevedibilità del suo schema, chi teme il dissacrante e il politicamente scorretto, chi non ama i chiaroscuri e le ambiguità del noir. Perché Esequie spiazza e non consola. E questo è può essere il suo principale pregio, ma anche il suo peggior difetto.
 
Carolina Pernigo