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Bolesław Prus: sette racconti di lucida visionarietà

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Bolesław Prus. Racconti da un paese che non c’è

Bolesław Prus. Racconti da un paese che non c’è
A cura di Silvano De Fanti
Marsilio Editore  

Traduzione di Silvano De Fanti

pp. 306
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Bolesław Prus è lo pseudonimo dello scrittore polacco Aleksander Głowacki (1847-1912). Considerato uno dei maggiori esponesti della letteratura polacca moderna, Prus inizia la sua carriera nel giornalismo per poi dedicarsi ai racconti e ai romanzi, dove la società polacca con i suoi cambiamenti diventa il tema centrale della sua produzione scritta.

Innovatore per stile e contenuti, il suo sguardo spazia dal positivismo all’occultismo. Conoscitore della prosa inglese e del realismo francese, legge tra gli altri Dickens, Flaubert, Zola, Hugo, nelle sue opere offre un’attenta rappresentazione del mondo e delle sue trasformazioni a cavallo tra Ottocento e Novecento.

Il volume pubblicato da Marsilio a cura di Silvano De Fanti, raccoglie sette racconti, scritti in momenti diversi, ai quali si aggiungono una prefazione e delle note esplicative al testo nella parte finale. 

In Racconti da un paese che non c’è, Prus presenta svariate figure e diversi spaccati della società, nei quali combina parti squisitamente allegoriche a soggetti eccezionalmente autentici, che si muovono sullo sfondo dei mutamenti economici e cultuali dell’epoca.

Nel primo racconto Il sogno di Giacobbe il protagonista è il giovane Jakub che dopo essere rimasto orfano viene accolto a Varsavia da uno zio. Jakub, lasciandosi prendere dai precetti del Talmud, vorrebbe ritornare nella sua terra d’origine la Terra Promessa secondo la volontà divina, ma i suoi fervidi intenti si scontrano con il volere della famiglia che non intende né lasciare la città e né il proprio lavoro.

«Era un tipo interessante il signor Jakub Kaplon, fino a poco tempo fa mio amico personale. Ora è un giovanotto elegantissimo: favoriti alla londinese, guanti alla parigina, ghette alla varsaviana; usa esclusivamente mobili alla berlinese e basandosi sui suoi esperimenti con lo specchio piano sostiene a gran voce che i maschi più belli del mondo sono forniti dal ceppo semita» (p. 69).

In Vitaccia da orfani lo scrittore narra la vicenda di Jas, che vive assieme alla madre rimasta prematuramente vedova. Jas nel suo cammino incontra una serie di personaggi ciascuno dei quali incarna uno stereotipo sociale: il dissoluto, l’ipocrita, il perfido, il falso benefattore, il nobile decaduto e tutti sanno solamente mostrare la loro inadeguatezza verso la cura di un bambino.

Ne L’organetto di Barberia si assiste ad una sorta di prodigio: un avvocato non amante della musica da organetto si “converte” invece a tale ascolto, che tanto rallegra una bambina cieca che abita nel suo stesso stabile. Mentre nel testo Il Convertito Prus omaggia Dickens e il suo Canto di Natale, con la figura del vecchio spilorcio di nome Lukasz, protagonista della storia.    

«Il signor Lukasz sedeva assorto. Era un vecchio alto, magro, curvo, sulla settantina, con capelli neri piuttosto folti screziati da ciocche grigie. Non aveva neanche un dente, e il mento a punta convergeva con il naso a uncino, il che non conferiva un’espressione gradevole alla fisionomia del vegliardo. Gli occhi tondi e infossati, le sopracciglia cespugliose, la pelle gialla e rugosa della faccia e un lieve tremito del capo non lo rendeva più bello» (p. 207).   

Il quinto racconto dal titolo Ombre è composto da poche pagine e il suo attore principale è la città di Varsavia, che viene raffigurata come un’ombra nella quale il genere umano vaga e brancola, mentre nel capitolo Il sogno Prus narra di un viaggio di iniziazione nell’aldilà di un povero studente di medicina che si trova in ospedale. Chiude il romanzo il racconto Dalle vite dei santi, una sorta di umoristica e distorta agiografia moderna. 

«Ciascuno porta una fiammella sulla testa, ciascuno attizza la luce sul proprio sentiero, vive non riconosciuto, si affanna inestimato, e poi scompare come un’ombra…» (p. 244). 

Nei sette racconti si mescolano con sapienza le parti biografiche ai nuovi dogmi ideologici del tempo e il cinismo al riformismo per una vivida passarella di figure, che seguano l’evoluzione personale e letteraria di Prus. La sua visionarietà e i suoi ritratti di fobiche manie si tingono con chiazze di humour, sagaci sono poi le sue immagini. Ossessivo e geniale, ritrae con certosina maestria ciascuna classe della società polacca, adottando spesso personaggi caricaturali e passando con abile disinvoltura da toni crudi a forme liriche. Osservatore del vero, rimesta il realismo e l’onirico, dando voce alle contraddizioni di un’età e di un popolo. 

Silvia Papa