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Nei luoghi dell'inganno: le memorie di José Luis Cancho

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I rifugi della memoria
di José Luis Cancho
traduzione di Marino Magliani
Arkadia editore, 2020

pp. 80
€ 13,00 (cartaceo)


Sono taciturno. Tranne in politica e nel viaggiare non sono stato precoce in niente. Da bambino ero passivo. Da adolescente e da giovane sono stato pieno di furia e di passione. Sono attratto dalle periferie delle città e dalle letterature marginali. Lo straniamento è per me una costante. Mi attira l’essere invisibile, anonimo. (p. 59)
La personalità di José Luis Cancho, classe 1952, emerge nettamente dalla citazione riportata: è uno straniero, un viandante, un ramingo, un essere umano che con fatica entra nei binari della società civile nella quale noi tutti viviamo. In ogni pagina di questo libretto autobiografico possiamo rinvenire una visione del mondo rivoluzionaria e antisistema, colorata di forti cariche (auto)distruttive e raccontata senza filtri e senza giudizi. Quella di Cancho è una confessione che nulla ha di religioso e spirituale, ma anzi affonda le radici in quel brodo primordiale della vita che è composto di terra e sangue.
Cancho si svela, raccontando di sé a se stesso e ai propri lettori attraverso il meccanismo dell’autofiction. Non è la prosa ad attirare l’attenzione, né uno stile letterario particolarmente brillante, in quanto molti passaggi sono più descrittivi che evocativi, e in fin dei conti poco sale c’è da aggiungere quando la vita vissuta va ben al di là di qualsiasi immaginazione («Ho fatto sesso con due minorenni. Sono andato a letto con due uomini. A Lima ho scopato con una prostituta. Ad Amburgo una gatta mi ha fatto eccitare», p. 24). Non è la forma, diciamo così, il quid di questo breve testo, quanto piuttosto ciò che viene narrato, questa vita al limite del verosimile, una sorta di luna nera dell’umanità. I rifugi della memoria è un testo in grado di attirare l’attenzione sull’autore, di puntargli addosso il faro al centro del palcoscenico: quando si volta l’ultima pagina ciò che resta è il desiderio – la curiosità – di leggere i suoi romanzi, soprattutto sapendo che, proprio come questo libretto, sono perlopiù autobiografici.
Sull’elemento autobiografico c’è altro da dire. Al di là delle vicende narrate, ciò che resta impressa è una tematica che emerge verso la fine del testo, nel capitolo XIX. Cancho sa di essere un affabulatore, lui che spesso si è salvato anche grazie alle menzogne che ha saputo improvvisare negli anni. Proprio questo suo modo di rivolgersi al prossimo – anche a quel lettore ipotetico che ancora non è il lettore reale che tiene il libro stretto fra le mani – e questa sua arte oratoria così peculiare accendono una nuova luce su una dicotomia che scorre sotterranea fino a questo punto del testo: «man mano che procedo con questo libro, l’io che descrivo e che cerco di far corrispondere in tutto e per tutto con l’io reale è come un’ombra che mi sfugge dalle mani. Più rileggo quel che ho scritto, più mi sembra che la persona di cui parlo (questo io scontroso) somiglia al personaggio di un romanzo e non alla persona reale che immagino di essere» (p. 73).

Parlare di se stessi, soprattutto quando si è convinti di aver acquisito quel punto di vista oggettivo che è proprio della lontananza dagli eventi narrati, rivela la difficoltà di raccontarsi in modo trasparente e limpido. Quell’«io scontroso» che a ventidue anni è stato scaraventato giù dalla finestra del commissariato di Valladolid, e che più tardi ha compiuto atti illegali in buona parte del Sud America e non solo, a distanza di anni sembra all'autore stesso «un personaggio in gran parte fittizio» (ibid.). Sebbene sorvolato in poche righe, fondamentale appare il tema di quella memoria che in alcun modo può essere un fotografia del passato, quanto piuttosto una pittura, un disegno o, per rimanere coerenti, una narrazione.

Volgere lo sguardo indietro è dunque un atto creativo più che ricreativo, qualcosa che fa dello scarto fra reale e immaginato il momento fondante del ricordare stesso. Ricordare è, appunto, ricostruire. La nostra identità, fondata spesso su una memoria fin troppo fallace e devota all'inganno, ci si mostra più liquida di quello che credevamo. Raccontarsi diventa complicato, giudicarsi ancor di più. Allora, come sembra voler fare Cancho, meglio lasciar perdere qualsiasi afflato morale; meglio esporsi al pubblico, nudi, senza curarsi troppo del giudizio altrui.

David Valentini




José Luis Cancho è un personaggio istrionico, eclettico, affabulatore. Ma, soprattutto, è un rivoluzionario. La sua è stata una vita impossibile: attivista antifranchista, è stato arrestato giovanissimo, ha svolto tantissimi mestieri, fondato riviste e girato l’America Latina compiendo atti più o meno legali. Dopo aver pubblicato quattro romanzi, perlopiù autobiografici, nel 2017 si “offre” al pubblico attraverso l’autofiction “Los refugios de la memoria”, portato in Italia da @arkadia_editore. È in questo libriccino che Cancho si mette a nudo attraverso delle confessioni che nulla hanno di religioso o spirituale, ma anzi affondano le radici nella terra e nel sangue. Ce ne parlerà a breve il nostro @darvax. #libri #books #instabooks #bookstagram #lettura #inlettura #reading #nowreading #bookshelf #bookporn #bookreading #booksofinstagram #igersitalia #iger #snapseed #libridaleggere #librichepassione #booklover #bookreader #criticaletteraria #autobiografia #autofiction #JoseLuisCancho #IRifugiDellaMemoria
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