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Quando una precaria della cultura fa notizia: "Caffè Voltaire", l'esordio narrativo di Laura Campiglio

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Caffè Voltaire
di Laura Campiglio
Mondadori, maggio 2020

pp. 264
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Eccolo lì, il mio ritratto perfetto: tiro la cinghia, navigo a vista, sto alla finestra. Con un lungo sospiro, riavvio il motore, esco dal parcheggio dell'autogrill e torno verso casa. Dopo tutto mi aspetta una bottiglia da bere da sola in cucina. (p. 35)
Perché Anna Naldini si trova a meditare sulla sua vita, il giorno del suo compleanno? Non soltanto perché trentacinque anni sono un traguardo che inizia a chiedere bilanci, in vista di nuovi slanci per il futuro, ma anche perché quando facciamo la sua conoscenza, nelle prime pagine, assistiamo al suo licenziamento da «La Locomotiva», quotidiano di sinistra. Oddio, meglio precisare: assistiamo alla fine di una delle tante collaborazioni che portano la protagonista e io narrante a precipitarsi a destra e a manca, a scrivere testi come se non ci fosse un domani, pur di sbarcare il lunario. Insomma, Anna è una delle tante precarie della cultura, che si muove tra copyrighting, collaborazioni giornalistiche, editing e altri progetti che, alla fine del mese, rendono imbarazzante la domanda: "Di che cosa ti occupi?", o l'ancora più utopistica: "Che lavoro fai?". E Anna non si può in ogni caso definire una giornalista d'assalto:
Perché è così, per i giornalisti: la notizia ha la voce di miele delle sirene, il casino un'irresistibile attrattiva, la vita la magica qualità del reale solo quando la ritrovi nel bianconero di una pagina, possibilmente con la tua firma in calce. E invece Anna Naldini lascia annacquare aperitivi seduta al tavolino di un bar, mentre un vero giornalista dovrebbe essere ovunque ma non qui, ecco. (p. 62)
Insomma, per quanto il nonno - amatissimo - di Anna le faccia notare che non ha davvero perso un lavoro con «La Locomotiva», e che un lavoro semmai è ora di cercarlo, la protagonista è parecchio depressa in queste prime pagine, al punto da pensare di trascorrere la serata da sola. Invece, Anna ha affetti che vogliono starle accanto, persino troppo: la festa a sorpresa che hanno organizzato la saccente Federica e l'imprevedibile e snob Jacaranda è un'incredibile occasione anche per noi lettori per conoscere due punti fissi della vita di Anna, le sue amiche. 
Ma i trentacinque portano presto una svolta incredibile e, soprattutto insospettabile: Anna viene raggiunta dalla proposta di lavoro de «I Probi Viri», un giornale di estrema destra che la protagonista, lo dichiara più volte, non leggerebbe mai. Eppure la tentazione di accettare c'è, un po' per l'ansia da recente perdita della collaborazione con «La Locomotiva», un po' perché Anna è stata allenata dalla sua professoressa a sostenere e argomentare anche idee che non approva. Dunque, perché no? Basta solo trovare il giusto pseudonimo per firmare il suo "corsivino", senza svelare la propria identità. Il problema, o meglio, la fortuna, è che anche il suo ex-direttore, Mazzesi, ci ha ripensato: in clima elettorale, la penna satirica di Anna Naldini può tornare buona, e dunque ecco fioccare dal cielo esattamente la stessa proposta di rubrica che Anna ha già accettato da «I Probi Viri». Come cavarsela? Beh, con la stessa identica soluzione: uno pseudonimo. In fondo, «se già la verità non è univoca, come potrebbero esserlo le menzogne da campagna elettorale?» (p. 88). E dunque ecco sulle pagine dei due giornali i corsivi di Voltaire e di Rousseau che si sfidano a colpi di frecciate, acri pezzi di satira, interpretazioni ora di estrema destra, ora di estrema sinistra, facendosi il verso e senza esclusione di colpi. Pagine divertentissime, va detto, per noi lettori, che conosciamo i retroscena e possiamo goderci il gioco pericoloso di Anna.
Continuando a ribadire che «niente al mondo è meglio dell'anonimato» (p. 96), Anna porta avanti la sua doppia identità in un equilibrismo continuo: come fare, ad esempio, a seminare gli inviati dell'una e dell'altra testata? Anna, poi, va detto che non passa inosservata: alta e bionda, ha sempre saputo come attirare l'attenzione.  Anche l'attenzione di persone con cui non avrebbe mai pensato di poter iniziare nulla, neanche un flirt; e poi, lei sostiene che «l'amore, com'è noto, è una malattia mentale» (p. 152), e dunque è meglio sorseggiare da sola qualche cocktail al suo fidato Caffè Voltaire, chiacchierare con il barman e annebbiare i pensieri storti con un cin-cin di Spoiler, il nuovo cocktail del locale. Ma l'alcol è pericoloso, annebbia sì i pensieri, ma rende limpidissimi i desideri, e dunque per Anna c'è in serbo un rocambolesco viavai di colpi di scena, in grado di farci sorridere, ma anche di farci parteggiare per lei, a maggior ragione se abbiamo sperimentato o sperimentiamo anche noi le incertezze dei trenta-quarantenni di oggi. 
Fresco come una commedia ma pieno di riflessioni brillanti e a tutto campo, che spaziano dalla politica alla società, dalla letteratura al mondo della comunicazione, Caffè Voltaire è un esordio molto piacevole, in cui l'ironia sa farsi amara nel cogliere un certo precariato generazionale, nonché la conseguente l'instabilità sentimentale e l'incertezza che invade persino i desideri. A questo ritratto si aggiunge una fotografia netta e spietata del mondo della comunicazione e della politica odierna. 

GMGhioni