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La figura femminile tra Asia ed Europa nei cartoni animati giapponesi

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Da Heidi a Lady Oscar. Le eroine degli anime al femminile
di Enrico Cantino
Mimesis Edizioni, aprile 2015

pp. 64
€ 5,90 (cartaceo) 
€ 4,99 (ebook)



Avete mai fatto caso che le principali eroine dei cartoni animati giapponesi trasmessi in Italia a partire dalla metà degli '70 sono orfane?
Vi siete mai chiesti perché? 
A queste e ad altre piccole curiosità sul mondo degli shōjo anime (cartoni destinati ad un pubblico femminile che va dai 10 ai 18 anni) risponde agli appassionati Enrico Cantino con il suo breve e succulento saggio. 
Le fanciulle (“shōjo” significa “ragazza”) esaminate sono: Heidi, Candy Candy, Charlotte, Peline Story, Anna dai capelli rossi, Georgie e Lady Oscar. 
Le sette eroine hanno molto in comune tra loro, per esempio il canovaccio: salvo qualche micro divergenza, mostrano tra loro tre punti in comune. 
Il primo vede le protagoniste prese in esame essere tutte orfane, eccezion fatta per Lady Oscar che, come spiega l'autore, è come se lo fosse poiché, rinnegata dal padre come figlia femmina, è costretta a vestirsi, comportarsi e agire come un maschio. 
Il secondo prevede che tutte dovranno affrontare nella loro vita una quantità innumerevole di ostacoli (comprese, nella maggior parte dei casi, tante altre sfide tragiche, come se essere orfane di uno o di entrambi i genitori non fosse abbastanza!). 
Il terzo è lo scioglimento: spesso maschilista (un uomo sarà l'artefice del lieto fine), spesso tradizionalista (un qualche ricongiungimento con la famiglia rappresentato dal ritorno o comparsa di parenti lontani, ove possibile, oppure grosse scelte/sacrifici da parte della nostra eroina). Più rara è una moderna emancipazione in cui la ragazza scopre, attraverso l'agnizione finale di un misterioso personaggio a lei vicino, di essere divenuta ricca (è il caso di Peline Story, per chi ricordasse il cartone). 

In generale, si potrebbe dire che lo shōjo, specie se di ambientazione occidentale, esprima il desiderio delle giapponesi di essere più libere e di affrancarsi da una condizione molto vicina alla schiavitù. Le protagoniste sono tutte ragazze energiche e motivate, impegnate nel raggiungimento di un obiettivo. Non si arrendono di fronte a nulla: le difficoltà sembrano spingerle a dare il meglio di se stesse. […] Nonostante l'emancipazione “animata”, la donna mantiene invariata la propria fisionomia. L'immancabile lieto fine insiste sui concetti convenzionali di sempre: matrimonio e famiglia sono l'unica e sola opportunità per la sua completa realizzazione. 
Tutto questo trova fondamento nelle tradizioni e nella filosofia nipponica.
Per esempio nelle fiabe: è il caso della Storia di Ochikubo, una sorta di “Cenerentola giapponese” che dopo la morte della madre, viene affidata al padre che non si prende cura di lei, ma anzi la trascura lasciandola tra le grinfie della sua nuova moglie (non poteva mancare la matrigna cattiva). E chi può salvare Ochikubo se non un baldo giovine? Lo scioglimento della fiaba nipponica si conclude con il matrimonio tra i due e con la rappacificazione della ragazza con il padre e con la matrigna. Scritta da un anonimo nel X secolo, apre la pista a tutte quelle storie che vedono come unico mezzo di riscatto il matrimonio/la famiglia per le donne. 
La Storia di Ochikubo appartiene alla tradizione dei «racconti di figliastre», genere tipico della letteratura giapponese classica. Le prove che la protagonista deve superare rappresentano in realtà le difficoltà psicologiche affrontate dagli adolescenti durante il passaggio dall'età infantile a quella adulta. Ciascun ostacolo delimita un ideale percorso di crescita e formazione. Gli stereotipi di questo filone vengono sfruttati a più non posso negli anime, le cui protagoniste accettano senza battere ciglio il proprio destino, quasi ritenessero di esserselo in qualche modo meritato. Cadono in disgrazia e si trovano costrette a subire i soprusi del prepotente di turno. Da qui cominciano a risalire la china, per riconquistare quanto è stato tolto o guadagnarsi – e con (parecchia) fatica – ciò che spetta loro. 
Dalle fiabe, si passa per la dottrina buddhista e al codice dei samurai secondo i quali dolore e sofferenza rafforzano il carattere e incentivano a trovare la forza di reagire e di poter contare solo su se stessi per modificare il corso degli eventi. 
Arriviamo dunque ad alcuni tratti che possiamo riscontrare anche nei romanzi nipponici: un enfatizzato vittimismo, l'amore per le disgrazie e per le “storie tristi”. È impossibile per gli amanti del genere non empatizzare e dunque, come sottolinea Enrico Cantino “simpatizzare per i personaggi iellati” (sì, scrive proprio così!). Altro elemento caratteristico è la ricerca spasmodica di un parente creduto perso oppure il rimpianto di non aver detto/fatto qualcosa quando esso era in vita (sentimento che i giapponesi chiamano kuyami). Sono tutti gli ingredienti che possiamo gustare nei romanzi di Banana Yoshimoto. 
Gli shōjo enfatizzano, con malcelato sadismo, un tratto della mentalità giapponese: il vittimismo. Raccontano per lo più storie strappalacrime, nelle quali la simpatia per i personaggi iellati è evidente. Si fa leva sulla tenerezza che inevitabilmente suscita lo “sconfitto”. Che poi, proprio sconfitto non è: se porge rassegnato la guancia all'avverso destino, non lascia però nulla d'intentato pur di raggiungere il proprio obiettivo. Se poi perde, pazienza. Almeno ci ha provato. E questo rende la disfatta meritevole del più assoluto rispetto. 
Si entra nel vivo del piccolo gioiellino cartaceo per vere e veri nerd: le trame dei sette anime sopra elencati. Quanti si ricordano a menadito tutti i fatti accaduti nei 52 episodi di Heidi? E quanti sanno che fu il primissimo anime mandato in onda in Italia (per la cronaca, nel 1974)? Come quasi tutti gli anime citati, anche Heidi è tratto da un romanzo, pubblicato anonimo, che riscosse grandissimo successo. E tra le più clamorose differenze tra libro e cartone animato, c'è Nebbia, il cane San Bernardo più amato dai bambini: è un'azzeccata invenzione dei giapponesi aggiunta al shōjo. 
Sebbene consti di circa sessanta pagine il libriccino è un tuffo nel passato per quelle tre generazioni che hanno seguito con stupore, incanto e amore almeno un paio dei cartoni animati citati. E come già evidenziato, è una graditissima fonte di curiosità svelate per ognuno di essi. 
Lo stile è frizzante, ma mai scadente o poco professionale: Enrico Cantino sulle prime sorprende per il piglio quasi scanzonato con cui imbastisce alcune frasi, ma una volta entrati nel genere e soprattutto data fiducia alla sua competenza, conquista con la sua sana leggerezza descrittiva e lapalissiana conoscenza dell'argomento. 
Solo un consiglio: quando state per leggere la trama dei sette shōjo anime, scoprite tra le prime righe di chi si tratta e fermatevi un secondo per riascoltare la sigla italiana originale. Per qualche minuto respirerete un'aria diversa perché sembrerà quasi di tornare bambini, quando di fronte alla televisione si aspettava l'inizio del nuovo episodio, tanto atteso dal giorno prima...

Alessandra Liscia 







Avete mai fatto caso che le principali eroine dei cartoni animati giapponesi trasmessi in Italia a partire dalla metà degli '70 sono orfane? Vi siete mai chiesti perché? A queste e ad altre piccole curiosità sul mondo degli shōjo anime (cartoni destinati ad un pubblico femminile che va dai 10 ai 18 anni) risponde agli appassionati Enrico Cantino con il suo breve e succulento saggio “Da Heidi a Lady Oscar, le eroine degli anime al femminile”. Le fanciulle (“shōjo” significa “ragazza”) esaminate sono: Heidi, Candy Candy, Charlotte, Peline Story, Anna dai capelli rossi, Georgie e Lady Oscar. Le sette eroine hanno molto in comune tra loro, per esempio il canovaccio: salvo qualche micro divergenza, mostrano tra loro tre punti in comune che presto vi sveleremo nella recensione di Alessandra Liscia @shanumi sul nostro sito! . . #EnricoCantino @edizioni.mimesis #Heidi #LadyOscar #eroine #Mimesis #MimesisEdizioni #anime #manga #cartonianimati #cartonianimatigiapponesi #recensione #femminismo #figurafemminile #Giappone #Europa #tv #Oriente #saggio #shojo #shojoanime #CriticaLetteraria
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