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Un viaggio nella Grecia del V secolo a.C. con un romanzo di Alessandro Barbero, "Le Ateniesi"

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Le Ateniesi
di Alessandro Barbero
Mondadori, 2018

1^ edizione: 2015

pp. 211
€ 13 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)



Diciamolo subito: non è un romanzo perfettamente riuscito, questo Le Ateniesi di Alessandro Barbero, perché è tutto troppo. Troppo programmato a tavolino, troppo carico nell'esprimere le tesi sottese, troppo carico nel rendere la violenza. Eppure, se lo si legge come nella Grecia del V secolo a.C, è utile per capire come si viveva nella tanto decantata democrazia ateniese, pochi anni dopo la battaglia di Mantinea. 
La violenza e la scurrilità sono ovunque, e le ragazze devono stare bene attente a non cadere vittima di stupri e di sopraffazioni fisiche e psicologiche; le bassezze e gli istinti più bassi corrono di bocca in bocca, nelle battute tra la gente e a teatro.
Lo vediamo molto bene nel romanzo, perché mentre si discute la possibilità di portare ad Atene la tirannide e di soffocare la libertà della democrazia, la gente partecipa a teatro e si lascia coinvolgere senza pari da una commedia di Aristofane, la Lisistrata. Commedia rischiosa da mettere in scena, perché tra gli attori c'è anche chi scimmiotta l'accento spartano (odiatissimo e al tempo stesso temuto, perché dopo Mantinea alcune truppe spartane sono rimaste accampate a Decelea, a pochi chilometri da Atene). E sulla scena, le donne - proprio le donne, abituate ad essere sottomesse o battute per i loro capricci - propongono una strategia tutt'altro che ironica per far finire la guerra. Poco conta che il messaggio sia nascosto da frizzi e lazzi, battute sconce e altre bassezze: sotto lo strato apparentemente frivolo, si cela un'istanza rivoluzionaria, che lascia molti spettatori a riflettere.
Tra loro, ci sono anche due reduci della guerra, Trasillo e Polemone, che sono lì mentre le loro figlie, a casa, rischiano la vita per la frivolezza della loro adolescenza. Quasi per gioco o per il piacere della trasgressione, infatti, Charis e Glicera hanno accettato l'invito di portare due cesti di fichi a un loro vicino di casa, il giovane e ricco Cimone. Loro, che sono state abituate a camminare scalze fin da bambine e a rispettare i dettami paterni, ignorano che dietro l'invito eccessivamente affettato di Cimone si nasconde una trappola. 
La narrazione procede su due piani paralleli e spesso antitetici: mentre sul palcoscenico si dibatte della libertà riconquistata delle donne e della loro forza intrinseca, nella casa del vicino il pericolo iniziale cresce in un climax narrativo drammatico: riusciranno le due ragazze a salvarsi dalle violenze in serbo per loro? E Trasillo e Polemone riusciranno a rientrare a casa per salvare le figlie? 
In molti hanno rilevato negli obiettivi sadici dei giovani echi inquietanti di storie di cronaca anche più recenti, come il dramma del Circeo; ma non è necessario muoversi attraverso la storia: è più utile osservare nell'obiettivo di Barbero quello di delineare cosa può accadere quando gli istinti più bassi prevalgono sul rispetto dell'altro, quando la superiorità fisica e di classe sociale viene ostentata fino a disumanizzare chi si ha davanti, solo perché povero o schiavo. 
Ecco allora che in tal senso - dunque senza voler cercare un particolare valore letterario - Le Ateniesi è una testimonianza di grande impatto, senza dubbio, che non lascia indifferenti. Poi, certo, sta a ognuno di noi decidere se l'Alessandro Barbero storico ha più autorevolezza del Barbero narratore. Nella narrazione manca l'equilibrio disinvolto tra informazione e affabulazione che ammalia nelle lezioni di Barbero; eppure, in tralice, si scoprono molti usi e costumi sulla società e sulla mentalità del tempo che è possibile sottolineare e fare propri. Per non rischiare di attualizzare troppo quel che ormai risale a quasi duemilacinquecento anni fa. 

GMGhioni