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Un'ossessione chiamata Fuji: il monte sacro del Giappone nelle celebri vedute di Hokusai in un nuovo cofanetto da collezione

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Hokusai.
Le trentasei vedute del monte Fuji
a cura di Amélie Balcou
traduzione dal francese di Margherita Botto
L’ippocampo, 2019

Cofanetto con:
pp. 48 (opuscolo)
pp. 228 (stampe)

€ 29,00 (cartaceo)




Ci si dimentica sempre, nell’ammirare La grande onda di Kanagawa di Katsushika Hokusai (1760-1849), di come l’elemento protagonista della celebre stampa ottocentesca non sia, in fin dei conti, quello acquatico. Perché a dispetto del titolo autografo e dell’occupazione pressoché totale della superficie da parte dei flutti increspati, ciò che l’artista intendeva omaggiare era il rilievo vulcanico all’orizzonte, il veneratissimo monte Fuji, esaltandone l’imperturbabile quiescenza rispetto alla dinamica potenzialmente mortale del mare in tempesta. Apparentemente piccolo perché lontano e tuttavia maestoso – mentre effettivamente e anche empaticamente piccoli sono gli uomini sulle imbarcazioni in primo piano, in balia del maltempo – il vulcano innevato sarebbe stato al centro di una numerosa serie di incisioni con cui il maestro giapponese, ormai settantenne, fu in grado di rivoluzionare l’arte del suo Paese e di condizionare quella del continente europeo, con un’eco estetica che ancora oggi non ha cessato di esercitare la sua influenza. L’ippocampo ha appena reso omaggio proprio a Le trentasei vedute del monte Fuji pubblicando un cofanetto celebrativo completo di tutte le incisioni e di un catalogo esplicativo con i testi di Amélie Balcou. E si tratta, neanche a dirlo, dell’ennesima squisitezza editoriale, stavolta carica di quelle suggestioni che più di un secolo fa furono in grado di ammaliare l'Occidente in modo irreversibile.

All’interno della bella custodia in cartoncino rigido decorata proprio con l’iconica onda che stregò Ando Hiroshige alla pari di Claude Debussy e Camille Claudel, il lettore troverà difatti un piccolo opuscolo – contenente un breve saggio della curatrice e i commenti singoli per ciascuna immagine – più, a parte, tutte le stampe a colori uniformate in un curatissimo formato leporello, che compatta tra due tavolette sciolte, rivestite con una tela di un bel blu cangiante, la lunga fisarmonica di riproduzioni grafiche (da sfogliare in senso rigorosamente inverso rispetto a quello occidentale di lettura!). E se è vero che basterebbe già questa gradevolezza tutta oggettuale a giustificare l’acquisto, sono la storia e il significato della serie realizzata da Hokusai negli anni Trenta dell’Ottocento a potenziare di rimando il fascino visivo dell’album; un lavoro destinato a riscuotere talmente tanto successo che il suo autore, terminate le prime trentasei incisioni, preparò dieci tavole supplementari (di cui il volume L’ippocampo dà conto) e successivamente, tra il 1834 e il 1836, realizzò ancora un altro libro intitolato Cento vedute del monte Fuji, esempio e conferma di un rinnovato amore per la rappresentazione della flora e della fauna locale che si sarebbe espresso in album come Neve, luna e fiori, Grandi fiori, Piccoli fiori, Otto vedute delle isole Ryukyu, Mille immagini del mare e Viaggio intorno alle cascate del Giappone.

Meravigliosamente ossessionato dalla vetta sacra, l’artista la riprodusse in una varietà di circostanze e da molteplici punti di vista, dando vita a un sapiente sincretismo di valori estetici orientali e occidentali che riguardò soprattutto i riferimenti prospettici e la ricerca di effetti inediti di profondità e tridimensionalità. Mettendo al centro del suo lavoro un paesaggio reale – e non frutto della fantasia come prescriveva la tradizione del movimento artistico ukiyo-e, impostosi nel periodo Edo (1603-1867) e votato alla rappresentazione delle cosiddette “immagini del mondo fluttuante”, slegate da riferimenti alla realtà effettiva di luoghi e personaggi rappresentati – Hokusai ebbe il merito di compiere nel suo Paese una vera e propria rivoluzione estetica e contenutistica, offrendo un racconto per immagini che fosse aderente a una verità topografica, sociale e culturale testimoniata anche da titoli lunghi e minuziosi. Stagioni, circostanze meteorologiche, occasioni di vita quotidiana oppure eccezionali vennero viste sotto la luce di una nuova tipologia di racconto, che fece un uso sapiente del colore come anche della sintesi e dell’analisi grafica: linee leggere che evocano interi orizzonti si alternano a dettagli che descrivono con perizia anche i più piccoli elementi antropici e naturalistici, mentre i tocchi incantevoli del blu di Prussia – pigmento arrivato in Giappone dall’Olanda negli anni Venti dell’Ottocento – conferiscono una brillantezza e un’intensità inedite all’insieme (si pensi che il pubblico venne talmente conquistato dagli effetti di questa tinta che due stampe della serie, Il lago Suwa nella provincia di Shinano e Ejiri, nella provincia di Suraga, vennero successivamente realizzate in esclusiva monocromia blu dopo le prime due tirature policrome). L’onnipresente monte Fuji – ora vicino ora lontano, ora innevato dai fiocchi ora arrossato dal tramonto – assiste imperturbabile agli eventi come fosse una divinità sovrana al cospetto delle sorti degli umani, forte di quel potere eterno che lo accomuna alla saggezza ontologica degli elementi naturali e in cui si fondono credenze buddiste e scintoiste.

Esempio eccellente di ricerca estetica e di espressione spirituale, punto di congiunzione tra culture lontane che seppero reciprocamente contaminarsi, quello con Le trentasei vedute del monte Fuji è un autentico cofanetto da collezione che trova il suo acquirente ideale in ogni estimatore di Hokusai e in ogni appassionato di cultura, estetica e arte dell’estremo oriente. Vero e proprio approfondimento monotematico che allude a molte di quelle ossessioni che faranno la fortuna, tra gli altri, degli impressionisti e dei post-impressionisti, il volume pubblicato da L’ippocampo si distingue stavolta più che mai come libro-oggetto-feticcio data l’eccellenza del formato. Tale artista, dunque, tale editore: se il primo, soprattutto a partire di questa famosa serie, fu in grado di riformare e innovare l’arte della stampa, il secondo riesce ancora una volta a spiccare nella categoria dei libri illustrati, con proposte che non smettono di suscitare l’ammirazione dei lettori più fedeli, quelli più sensibili al fascino delle belle pagine oltre che delle belle parole.

Cecilia Mariani





Lo si dimentica sempre, quando si ammira "La grande onda" di Katsushika Hokusai (1760-1849), eppure il protagonista della celebre stampa non è l'elemento acquatico, bensì quello terrestre: è il monte Fuji, il vulcano sacro che assiste sullo sfondo al maremoto in primo piano, un'altura così amata che l'artista la raffigurò trentasei (più altre dieci, più altre cento) volte, dando sfogo a una magnifica ossessione visiva destinata a rivoluzionare la tradizione orientale dell'ukiyo-e e l'intera storia dell'arte occidentale, presa all'amo dalla fascinazione per il giapponismo. Esce in questi giorni per L'ippocampo @ippocampoedizioni un prezioso cofanetto da collezione dedicato all'album realizzato nei primi anni Trenta dell'Ottocento dall'artista ormai settantenne: un opuscolo e una raccolta in formato leporello che faranno la gioia di chi ama le cose belle e i bei libri 🌊🗻 Cecilia Mariani lo sta leggendo in anteprima per noi, prestissimo la sua recensione in arrivo sul sito! 🗻🌊 #libro #book #instalibro #instabook #leggere #reading #igreads #bookstagram #bookworm #booklover #bookaddict #bookaholic #libridaleggere #librichepassione #libricheamo #criticaletteraria #recensione #review #recensire #recensireèmegliochecurare #hokusai #lippocampo #arte #art
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