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«Dopo tutta questa immediatezza, dopo tutta questa insta-quotidianità, si tornerà alle lettere»: intervista a Giorgio Biferali

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Giorgio Biferali
Quanti modi esistono per raccontare l'amore di oggi? Giorgio Biferali, di cui ho recensito poco tempo fa "Il romanzo dell'anno" (clicca qui per la recensione)  ha scelto la via del dettaglio. I protagonisti del romanzo vivono del loro passato: un po' perché la ragazza è in coma in un letto d'ospedale, un po' perché quando una storia finisce ci sono quelli che potremmo chiamare "contemplatori di ciò che è stato". Niccolò fa proprio così: prende carta e penna e scrive a Livia tutto ciò che non è mai riuscito a dirle, condividendo anche spunti sul presente che lei non può vedere e preoccupazioni per il futuro senza di lei. 
Per approfondire alcune delle tante scelte narrative presenti nel libro, ho pensato di proporre un'intervista a Giorgio, che ha accettato con grande disponibilità e che ringrazio personalmente per la generosità e l'entusiasmo.  

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Nel tuo romanzo il protagonista scrive lunghe lettere d’amore a Livia, in coma in un letto d’ospedale. Dunque, il tempo delle lettere d’amore non è finito? 
Secondo me no, ho l’impressione che dopo tutta questa immediatezza, dopo tutta questa insta-quotidianità, dove ci si scrive anche quando non si sente davvero il bisogno di scriversi, si tornerà alla carta, a quel senso di attesa, di illusione, a quella cura che c’era dietro ogni parola quando si scrivevano le lettere. Io la vedo come Niccolò, forse sui muri delle città si possono trovare le tracce delle ultime lettere d’amore che la gente si scrive, delle tracce però esplicite, evidenti, spudorate, e per questo bellissime. Qualche giorno fa, in Sicilia, ho letto una frase sopra un muro accanto a un supermarket: “Ma tanto tutte queste cose le sai già”. Non c’era scritto altro. Ecco, per me quella frase rappresenta il senso più profondo di tutto quello che oggi ci stiamo perdendo. 

Ne hai scritte anche tu, con carta e penna? 
C’è qualche immagine vaga dentro di me, devo averlo fatto, sì, ma non ricordo bene quando e per chi. E spesso nei ricordi mi capita di confondere le lettere che (forse) ho scritto io con quelle che mi hanno scritto gli altri, è una cosa strana, che somiglia a quello che provo ogni tanto quando ripenso ai miei personaggi.

Il romanzo dell'anno
di Giorgio Biferali
La Nave di Teseo, 2019

pp. 217

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Il romanzo dell’anno vive di dettagli: ne hai strappati dalla tua quotidianità o è pura invenzione? 
Entrambe le cose, direi. Vorrei poter dire di avere sempre con me un taccuino dove mi segno tutto quello che mi sorprende mentre vivo, tutte quelle volte in cui mi sembra che la realtà voglia attirare la mia attenzione, ma no, faccio una cosa un po’ meno romantica, mi appunto le immagini nelle note del cellulare. Altre volte, invece, alcune immagini mi arrivano mentre sto scrivendo una scena, e poi, non appena l’ho scritta, mi viene da guardarmi intorno, perché è qualcosa che ancora non mi so spiegare. 

A un certo punto nel romanzo il tuo protagonista si chiede: «Ma quindi è così che si scrive un romanzo? Cioè è tutto autobiografico? Non c'è nulla di inventato? Chi ti conosce deve stare attento a quello che dice, a quello che fa, che se no rischia di diventare un personaggio?». Cosa ne pensi tu dell’autofiction? 
Come diceva Nanni Moretti in uno dei suoi primi film, “io non parlo di cose che non conosco”. Quindi, come genere, se fatto bene, mi piace molto. 

Sei un lettore di autofiction? Se sì, quali titoli hai amato in particolare? 
Potrei rispondere tranquillamente la Divina Commedia o I promessi sposi, anche lì si tratta di autofiction. A volte mi sembra che si possa parlare di autofiction per qualsiasi cosa. Comunque, ho amato molto il Libro dell’inquietudine di Pessoa, i romanzi di Roth e di Vonnegut, Sylvia di Leonard Michaels, i racconti di Zambra. 

Nel romanzo, sebbene questa non sia una tematica principale, tratti anche il tema degli amori al tempo dei social network. A livello narrativo, credi che offrano nuove trame? 
Nuove sicuramente, interessanti, poi, dipende. In tanti, soprattutto quelli un po’ più grandi, quelli che ci chiamano “millennials”, ecco, in alcuni casi ignorano totalmente l’esistenza dei social network, cioè il fatto che il mondo sia cambiato per sempre, e in altri, invece, credono che basti metterci qualche elemento qua e là per avere la coscienza tranquilla, per autoconvincersi che stanno raccontando davvero i nostri tempi, ma la verità è che poi vengono fuori dei libri tremendi. Per me i social network rappresentano il quotidiano, perché ne faccio uso sempre, dalla mattina alla sera, e in più offrono mille possibilità narrative, come capita nel romanzo a quello che chatta e si innamora di una sconosciuta. L’importante è non abusarne, nella vita e nei romanzi.


Lasciando perdere Giorgio-autore, Giorgio-uomo come vive questo dilagare della dimensione digitale anche negli amori e nei rapporti con gli altri? 
Be’, non è poi così male essere sempre connessi con le persone cui vogliamo bene. Con gli amici è più semplice, il rapporto può diventare ancora più leggero, e quindi può migliorare. Negli amori è un’altra storia, a volte ho l’impressione che ci abbiano offerto nuovi modi per litigare, per farci del male. Come nel caso del revenge-porn, o anche semplicemente quando due stanno insieme, e uno si arrabbia per i like dell’altro, è assurdo. 

Il romanzo dell’anno è decisamente un libro che trasuda vita e spontaneità: è un obiettivo che hai perseguito con revisioni successive o la narrazione si è sviluppata in modo naturale? 
Io non riesco mai a scrivere una storia, finché non la sento davvero. È successo anche per L’amore a vent’anni, e questo mi permette di immaginare le scene, di provare gli stessi sentimenti dei miei personaggi, o di far sì che loro provino i miei. Cerco di scrivere sempre una storia che somigli alla vita. 

Un’ultima domanda, solo se non sei troppo superstizioso: c’è qualcosa di nuovo all’orizzonte?
Un libro per bambini, intanto. Poi tornerò al romanzo.

Intervista a cura di Gloria M. Ghioni