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#IlSalotto - A tu per tu con Franco Faggiani, il ricercatore di storie

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Federica Privitera @la_effesenza e Franco Faggiani al #SalTo19
Ci sono autori che ami per come scrivono; ci sono quelli, poi, da cui non riesci a staccarti per le tematiche che scelgono di raccontare. Nell’uno o nell’altro caso a emergere è la loro genialità e si è sicuri di avere appena letto dei testi di elevatissima qualità. Dei capolavori, che uniscono queste due caratteristiche, non sto neanche a parlare. Ma c’è una quarta categoria che trasforma la lettura in un’attività onirica, di evasione e fuga momentanea. È la letteratura fatta di belle storie scritte con lo stile che ti aspetti. Il guardiano della collina dei ciliegi di Franco Faggiani rientra perfettamente in questa categoria. L’autore ha recuperato una storia pressoché dimenticata, quella del maratoneta giapponese Shizo Kanakuri, l’ha restituita al mondo con una veste tipicamente orientale unendo la realtà, frammentaria, dei fatti alla sua fantasia di narratore. Esattamente quello che ci si aspetta da un libro ambientato nel Giappone della prima metà del XX secolo. Probabilmente i lettori che avevano amato La manutenzione dei sensi proveranno un iniziale smarrimento di fronte a una storia dal ritmo completamente diverso. Ma non dimentichiamo in quale categoria si trova il romanzo: in quella del sogno. Ho incontrato Franco Faggiani al Salone Internazionale del libro di Torino e ho cercato di scoprire le sue idee dietro ai temi forti del suo ultimo romanzo: la natura, lo sport, la filosofia di vita orientale


Inizio facendole i miei complimenti: da filogiapponese, in questo suo ultimo romanzo ho ritrovato la dimensione e il mondo che cerco in ogni testo che abbia a che fare con il Sol Levante. Ma iniziamo con le domande. Sia La manutenzione dei sensi che Il guardiano della collina dei ciliegi raccontano storie a partire da eventi realmente accaduti. Mi potrebbe raccontare il suo modo di procedere nella ricerca e nella scrittura?
Premetto che la sfida che ho voluto accogliere con i due romanzi è stata diversa. Con Il guardiano ho voluto sperimentare uno stile totalmente diverso, molto più orientale, tanto che la prima volta che la mia agente l’ha letto mi ha detto: “Di’ la verità, hai tradotto il testo di uno scrittore giapponese?”. Non volevo ripetermi, principalmente. Se per La manutenzione dei sensi il processo di scrittura è stato più semplice perché, essendo ambientato nei luoghi che io conosco, nel libro è molto forte la componente autobiografica, ne Il guardiano ho dovuto effettuare un lungo percorso di studio e di ricerca preliminare, sia perché la storia è ambientata più di un secolo fa, sia perché i luoghi non sono più quelli a me familiari. Essendo un amante di Haruki Murakami, mi sono ricordato di quando diceva «le storie più belle si trovano anche nel fondo di un cassetto». Così ho voluto raschiare il fondo di una storia pressoché sconosciuta e trasformarla in un romanzo partendo da personaggi e vicende invisibili. In realtà, mi viene naturale mettermi alla ricerca, perché faccio il giornalista da quando avevo diciannove anni e mi sono fatto le ossa in un’epoca in cui non c’era internet ad aiutarci. Ho sempre fatto il ricercatore di storie.

Il protagonista, Shizo Kanakuri, decide di concludere la sua maratona dopo cinquantaquattro anni, per chiudere un capitolo della sua vita lasciato in sospeso. Crede quindi che ci sia sempre tempo per dare un senso alle cose o è più incline alla teoria del treno che passa una sola volta?
Non c’è mai un treno solo, ci sono sempre più treni. La difficoltà sta solo nel salirci, prima o poi, perché con gli anni - soprattutto - diventa sempre più difficile fare un salto su un vagone in corsa. Il rischio è che uno non abbia più voglia o stimoli a sufficienza. Io ho settant’anni e cambio vita in continuazione, perché penso che per rimanere vitali bisogna sempre avere voglia di affrontare nuove avventure. Quando mi chiedono: “Ma lei cosa vuole fare da grande?” io stesso non so rispondere. E forse non mi interessa neanche. Vado un po’ a vela, con energia.

Il guardiano della collina dei ciliegi
di Franco Faggiani
Fazi Editore, maggio 2019


pp. 230
€ 16,00 (cartaceo)
€ 7,99 (e-book)
La filosofia di vita giapponese è un sincretismo perfetto tra buddismo e scintoismo e predica l’armonia e l’accettazione. Tutti i personaggi de Il guardiano, in un modo o nell’altro, chi sulle colline, chi sulle montagne, chi sul mare per seguire i propri interessi commerciali prende atto di cosa la vita gli presenta davanti e lo compie con serenità. Crede che questa dimensione di vita e pensiero manchi nel mondo occidentale?
Secondo me sì e nel futuro dovremmo impegnarci di più nella ricerca di questa armonia. Siamo bombardati da cose che ci influenzano in negativo, penso alla ipertecnologia e all’esigenza di essere sempre connessi, e invece dovremmo riconquistare una dimensione più genuina delle cose. La società attuale ci porta a cercare qualcosa, incessantemente, senza comunque dirci cosa. Io ero così fino a non molto tempo fa. Dopo La manutenzione e Il guardiano sto diventando quasi scintoista, senza saperlo. Vivendo a contatto con la natura e in montagna sono diventato estremamente minimalista, mi sono spogliato del superfluo che si era appropriato della mia vita e mi sono accorto di una cosa incredibile: vivo meglio di prima! E non mi sembra neanche un caso che il paese al mondo con più ultracentenari sia proprio il Giappone. Evidentemente la semplicità – che è tipica di un paese invece spesso identificato solo con il sushi o con le metropoli futuristiche – è l’arma vincente per vivere meglio.

Non possiamo parlare di questo romanzo senza citare lo sport. La corsa diventa ne Il guardiano della collina dei ciliegi una metafora di salvezza. Se è vero che lo sport è di frequente un mezzo di evasione positivo, esiste secondo lei un confine tra salute e ossessione nel praticarlo?
Lo sport diventa negativo quando diventa ossessivo, certamente. Io corro, molto, ma lo faccio come Shizo. Inizio a correre in montagna ma non porto con me un cronometro per registrare la mia prestazione. Dico semplicemente: voglio andare lì. Quando facevo corsa agonistica, però, tutta l’attività sportiva veniva gestita in funzione di quel minuto che dovevo risparmiare rispetto all’allenamento precedente, e mi ammazzavo di regole ferree, piani alimentari, disciplina. Certo, se sei un atleta di punta e lo sport è il tuo lavoro è un conto, ma registrare questa mania in chi lo fa in modo amatoriale per me è dannoso. Si perde la bellezza dello sport in sé. E anche Shizo, secondo me, se avesse concluso la sua maratona la prima volta e fosse diventato un atleta avrebbe rischiato di dimenticare la genuinità di un’attività che sin da bambino l’aveva portato a contatto stretto con la natura. Nel corso della scrittura di questo romanzo, poi, ho scoperto anche altri aspetti legati all’attività sportiva. Ho scoperto che per i giapponesi la corsa ha un significato quasi religioso. C’è un evento che blocca il popolo giapponese una volta l’anno: è la maratona Ekiden. E sapevi che su 100 maratoneti olimpici 94 sono africani e dei 6 non africani 5 sono giapponesi? Io sono rimasto sorpreso quando l’ho scoperto. Poi, ripensandoci, l’amore per le lunghe distante è perfettamente coerente con il discorso che abbiamo fatto prima circa il godimento del percorso e non il pensiero di raggiungere la meta.

Ne La manutenzione eravamo immersi sulle Alpi, Il guardiano della collina dei ciliegi ci fa scendere un po’ di quota e ammicca spesso al mare (del resto il Giappone è un arcipelago). Per chiudere le chiedo: che il prossimo romanzo sia ambientato nell’altro pezzo di orografia che manca, il mare appunto?
(ridendo) No. Certo, la natura è un gran contenitore di moltissime cose belle come laghi, fiumi e spiagge. Ma per il prossimo libro niente mare: il romanzo sarà ambientato sugli Appennini. Non escludo nulla per i miei romanzi futuri. Ma tieni presente che ho fatto la mia prima vacanza al mare dopo non so quanti anni solo l’anno scorso. Amo la montagna, c’è poco da fare.

E su questo, noi, non avevamo alcun dubbio!

Federica Privitera