in

Raccontare le parole che chiudono le donne (e liberarle)

- -

Brave con la lingua
Come il linguaggio determina la vita delle donne
a cura di Giulia Muscatelli
Autori Riuniti, 2018

pp. 171

€ 15,00 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)


È uscito poco più di un mese fa il libro Brave con la lingua, che ora è in un tour di presentazioni di successo per le librerie italiane. È una raccolta di quattordici racconti scritti da quattordici autrici - tutte provenienti dal mondo dell’editoria o del giornalismo o della comunicazione – e preceduti dalla prefazione della curatrice del volume e ideatrice del progetto, Giulia Muscatelli. 
Ogni storia ha un titolo e una parola o un’espressione di riferimento, come ad esempio "che fai, piangi?", "sei sicura di farcela?", "donna con le palle", "almeno non sei da sola", "frigida". Sono parole chiuse, così come la curatrice stessa ha detto lo scorso 10 maggio durante la presentazione del libro al Circolo B-locale di Torino, uno degli eventi del Salone Off di quest’anno. "Parole dette e ripetute da altri, che determinano le donne, parole che possono essere indirizzate a tutti, ma che sulle donne hanno un effetto diverso". 
Le autrici non offrono nessun compendio sulle espressioni scelte, bensì partono da queste per costruirci attorno delle storie, che hanno stili molto diversi tra loro. Alcune sono autobiografiche, lo è apertamente ad esempio quella di Simonetta Sciandivasci che riflette sul suo essere rabbiosa; altre autrici rielaborano invece in modi diversi l’esperienza del linguaggio che almeno una volta nella loro vita le ha costrette dentro ruoli che non volevano avere.
Irene Roncoroni, Francesca Manfredi, Silvia Pelizzari e
Domitilla Pirro alla serata del Salone Off a Torino
Molte parole affondano le radici della loro dolorosa ripetizione nell’infanzia, al tempo dei grandi pranzi di famiglia – come nel racconto di Francesca Manfredi –, o dei suoni che hanno rappresentato una routine per un certo periodo della nostra vita, come le ruote di una macchina il cui arrivo si attende con ansia, così nel racconto di Silvia Pelizzari. Altre parole comportano una frustrazione più matura, dovuta per esempio all’uso sessista del linguaggio sul posto di lavoro – come nel racconto di Noemi Cuffia, quando a dire "sei una bambina, una bella bambina" alla nuova stagista è il responsabile dell’ufficio. O alle violenze verbali e psicologiche tra le mura domestiche, come quelle del racconto di Vittoria Baruffaldi, la cui protagonista arriva a coincidere con la sua stessa cellulite agli occhi del marito. 
È un libro che ha come protagoniste donne vere, con complicati rapporti con le loro madri, donne che fanno i colonnelli, donne che fanno le prostitute. Nel racconto La casa di Irene Roncoroni – il più lungo e forse il più articolato, ci si dimentica che non si sta leggendo un romanzo – c’è anche una donna che scompare, e intorno a lei una famiglia atipica che ricostruisce gli affetti nell’assenza. 
L’unico passaggio del libro con cui mi sono trovata in disaccordo è nell’introduzione, quando Muscatelli scrive: 
E cosa c’è di più inspiegabile di una donna? L’unico essere che può riprodursi, l’unico che porta con sé il concetto d’infinito. È facile capire come mai si cerchi di placare qualcuno con queste caratteristiche. La risposta è intrisa di paura, di timore – una volta ancora – di quello che non riusciamo a comprendere. Ma non potevano buttarci fuori di casa – in quella casa, in fondo, desiderano che restiamo – e allora ci hanno messo all’angolo: prima come madri, poi come casalinghe, puttane, pazze, isteriche, belle ma solo belle, intelligenti ma inguardabili. Nonostante tutto questo, ancora oggi, non sono riusciti ad afferrarci.
Questo senso di "inspiegabilità" mi è sembrato molto pericoloso: l’uomo – l’altro – ci deve "afferrare", non nel senso di rinchiudere o delimitare, ovviamente, ma nel senso di comprendere. Si deve capire il nostro riprodursi, il nostro "concetto di infinito" che portiamo in noi: "l’inspiegabilità" è una trappola bella e buona, perché se siamo inspiegabili il rischio che si diventi da "venerare" o da "temere" per le nostre caratteristiche uniche e che ci si appaghi di questo è alto, e il passo verso l'esclusione dal discorso politico breve. 
Noemi Cuffia, Irene Roncoroni, Francesca Manfredi,
Silvia Pelizzari, Domitilla Pirro e Giulia Muscatelli
Sono stata incuriosita da queste frasi, che non mi sembrava andassero nella direzione di ciò che poi il libro si rivela essere. È stata Giulia Muscatelli stessa – pronta al dialogo (che bellezza quando succede!) e preparatissima – a sciogliere l’incomprensione, con generosità. "Non penso che le donne siano esseri speciali, o migliori", mi dice, "e affermarlo è solo l'ennesimo modo di chiuderci e, anche se in maniera apparentemente positiva, di categorizzarci. Il mio riferimento al riprodursi e al concetto di infinito, sta a sancire una differenza netta tra maschio e femmina. Differenza che io credo esista e che credo vada esplorata. La donna può mettere al mondo dei figli, per me questo rappresenta un enorme potere, forse il più grande di tutti (ma attenzione, con ciò non voglio dire che tutte le donne siano obbligate a farlo, o che abbia meno potere chi tra di noi sceglie di non farlo o non può). Proprio perché detentrici di questo potere, siamo sempre state giudicate come pericolose e spesso odiate - di un odio crudele che ha portato a violenze e ingiustizie atroci: da noi tutto dipende, con noi tutto può finire. Se un giorno ci svegliassimo, tutte insieme, e decidessimo di non generare più bambini, cosa succederebbe al mondo? Io penso che storicamente ci sia sempre stata un'enorme paura riguardo a questo tema e, proprio come si fa quando non si riesce a gestire il soggetto della propria paura, si è 'deciso' di placarci. Io non credo che l'uomo debba 'capirci', sono una Lacaniana, non credo neanche che noi stessi potremmo mai capirci, ma credo fortemente nell'accettazione pacifica di una mancanza di senso. Credo in un guardarci, tra esseri umani, e serenamente ammettere che ci saranno per sempre delle cose che l'uno dell'altro non comprenderemo mai, e che queste cose non devono essere il terreno fertile per una battaglia, ma terreno di dialogo e soprattutto scoperta". 
Durante l’animata serata torinese Irene Roncoroni ha detto che spera che leggere l’antologia faccia sentire più libere. Sì, lo fa senza dubbio, perché Brave con la lingua è una pubblicazione coraggiosa che libera le donne (e le lettrici) che secondo qualcun altro piangono troppo, sono troppo poco giudiziose, o troppo bambine, o fanno l’amore troppo poco e così via. Ed è un libro coraggioso anche per la lodevole decisione di devolvere il ricavato delle vendite in beneficenza a chi combatte la violenza di genere.

Serena Alessi
@serealessi