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«Ti auguro che il viaggio sia favorevole, qualunque cosa tu stia cercando». Matteo Caccia e la nobile arte di raccontare la vita

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Il silenzio coprì le sue tracce
di Matteo Caccia
Milano, Baldini & Castoldi, 2017

pp. 192
16,00 (cartaceo)
9,99 (ebook)



Per chi non lo conoscesse, Matteo Caccia è uno dei talenti più limpidi dell'attuale panorama radiotelevisivo italiano: attore teatrale, conduttore radiofonico su Radio Due, scrittore. Tra le sue creazioni citiamo, a mero titolo esemplificativo, Amnèsia, sceneggiato in cui lo stesso speaker, dicendo di essere stato colpito da un'amnesia retrogada, ricostruisce pezzo dopo pezzo la propria vita, raccontando la propria esistenza al microfono della radio. Il programma divenne nel giro di poco tempo un vero e proprio cult, delineandosi quasi come un esperimento antropologico. Altra conduzione degna di nota che possiamo citare è quella di Una vita – viaggio nelle età di ognuno, splendido programma in cui si raccontavano le diverse fasi della vita, attraverso il racconto di una persona che sta vivendo quell'età, fino a coprire tutto l'arco di un'esistenza.
Il lavoro di Caccia si è, a poco a poco, distinto nel panorama radiofonico italiano poiché egli possiede uno straordinario talento, quello di raccontare storie. Lo storytelling, divenuto molto popolare negli ultimi anni, trova in Matteo Caccia un portavoce di eccezionale bravura, capace di entrare, con discrezione e incisività nelle pieghe più intime dell'anima di una persona, senza mai risultare invadente o eccessivo e capace, invece, di creare una profonda empatia con l'interlocutore, rendendoci partecipi della sua storia. L'efficacia dello storytelling di Caccia, infatti, sta proprio nella sua capacità di ascolto, e nella sua abilità a rendere trasversali vicende estremamente personali, in un'ottica antropologica e profondamente umana, a riprova di quante cose accomunino gli esseri umani tutti. Matteo Caccia, insomma, possiede la nobile arte di raccontare la vita, quella reale, in tutte le sue sfumature, e ha certamente gli strumenti narrativi adeguati per farlo.
Date queste premesse, ritrovarmi tra le mani il suo libro, il terzo dopo Amnèsia (2009) e Il nostro fuoco è l'unica luce (2012), non poteva non destare qualche aspettativa.

Il silenzio coprì le sue tracce racconta la storia di Zambo, un uomo che ha deciso di raggiungere una casa in Maremma, luogo paterno, per riportare lì una pistola appartenuta al padre. Per farlo decide di percorrere a piedi la tratta che lo porterà alla meta, e durante il viaggio il protagonista incontra diverse persone, entrando in contatto con chi ha deciso di dedicare la propria vita a quei luoghi apparentemente ostili. Scoprirà la natura selvaggia e viaggiando tra le storie del passato – partigiani e altri uomini che hanno stretto un patto con quel luoghi disabitati per sopravvivere –  e quelle del presente – entrando in contatto con i lupi che vivono tra quelle vette – Zambo giungerà infine ad un nuovo punto della propria esistenza.
Quella raccontata nel libro è una natura severa e algida, rivolta al cielo, indifferente alle vicende degli uomini che si intrecciano e si stringono, spettatrice distaccata dello spettacolo della vita che si consuma sotto i suoi occhi. E chi decide di sfidarla, è perduto:
«La favola del ritorno alla natura è una enorme cazzata inventata da chi non la conosce davvero. Questo posto può diventare un inferno e lo fa nel silenzio della neve che cade».
Il vecchio si piegò per accarezzare Tobia sdraiato sotto il tavolo.
«Perchè ci rimani, se è tanto terribile?»
«Perchè resistere è il mio modo di vivere». (p. 71)
Caccia, il più delle volte affida ai propri personaggi le invettive più dure contro la vita di montagna:
Il marito, un uomo tarchiato con il volto segnato dallo sforzo e dall'alcol di una vita, disse che quelle montagne erano un posto dannato: «Bisognerebbe abbandonarle a se stesse. Fa bene, chi se ne va». (p. 60)
Ciononostante, le stesse vette che possono essere letali per chi incautamente sceglie di gareggiare con loro, incantano chi si ferma ad ammirarle, in tutta la loro solennità. Ed è qui che la scrittura di Caccia raggiunge altezze vertiginose, calandosi in parentesi descrittive di chiara efficacia:
Si svegliò in piena notte senza sapere perché. Tobia dormiva, rannicchiato in un angolo. Lui aprì il sacco a pelo, si infilò la giacca e uscì. Il fuoco era spento e l'aria immobile. Un temporale lontano esplodeva in lampi silenziosi tra le nubi a ovest. Si rollò una sigaretta e prima di accenderla sceso di qualche passo il poggio. Osservava la neve bucata dai suoi scarponi allo stesso modo in cui faceva da bambino, con il rimpianto di averne deturpato irrimediabilmente il manto. […] Fu lì che sentì dei tonfi. Su di un pianoro a un centinaio di metri un lupo balzava in aria e ricadeva sparando lapilli di neve verso il cielo. Si rotolava e si rialzava rimanendo per un istante immobile a fissare un punto dritto davanti  a sé, e poi con uno scatto zompava a destra e a sinistra tendendo gli agguati immaginari di una danza solitaria e antica. (pp. 54-55)
Nel libro si ritrova fin da subito l'abilità narrativa tipica di Caccia. La sua è una scrittura intima, attenta e precisa, tesa a definire le vicissitudini interiori più che quelle esteriori, come accade, d'altronde anche nei suoi racconti radiofonici. La storia, seppur abilmente intessuta e ricca di colpi di scena interessanti, passa in secondo piano rispetto alla fulgida capacità narrativa dello scrittore.
Il protagonista, Zambo, si muove tra i paesaggi dell'Appennino con l'agilità propria dell'uomo che conosce la montagna e trova nel paesaggio la descrizione del proprio io. Zambo è un uomo di poche parole, quasi aspro, che si muove tra i personaggi del racconto pronunciando poche parole, quelle necessarie alla prosecuzione della vicenda. Ciò che colpisce, infatti è il silenzio che ammanta l'intero libro: pagina dopo pagina, percepiamo chiaramente la quiete della montagna e il silenzio interiore dei personaggi, le cui battute sono ridotte all'osso. Nessun monologo romantico sull'esistenza o sull'amore – nonostante durante la storia si crei un legame affettivo – nessuna scenata furiosa tra innamorati e, infine, nessun soliloquio dell'autore che vada oltre il necessario. Tutto, dalle descrizioni ai dialoghi, è pazientemente calibrato, essenziale, senza una parola di troppo. Forse perché, come lo stesso Caccia scrive «spiegando tutto si sbriciola» (p. 19).

Valentina Zinnà