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La scabra autenticità della miseria

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L'Arminuta
di Donatella Di Pietrantonio
Einaudi, 2017

pp.  176
€ 8,99 (ebook)
€ 17,50 (cartaceo)



Nel mese dello svezzamento le due famiglie si erano spartite la mia vita a parole, senza accordi precisi, senza chiedersi quanto avrei pagato la loro vaghezza.
Una delle paure più forti di ognuno di noi: aprire gli occhi e scoprire che non siamo davvero figli di quella che chiamavamo madre fino a pochi momenti prima, ma che siamo stati adottati. Parte così L'Arminuta, questo straordinario romanzo di Donatella Di Pietrantonio, anzi parte dall'arrivo al paese dove si trova la famiglia vera della protagonista. Niente a che fare con il benessere e i vizi a cui la ragazzina era stata abituata: adolescente da poco, si ritrova immersa nella miseria di una famiglia numerosissima, ruvida come carta vetrata, ma pronta a dividere il poco che ha nel piatto con lei. E in pochissimo la protagonista si ritrova a dormire con i piedi della sorellastra Adriana in faccia, quando dividono il lettino che emana odore di urina e sogni inquieti. Non ci sono più le lezioni di danza, non c'è il mare, non c'è l'abbraccio di Adalgisa, quella che per anni si è fatta chiamare mamma. Ci sono solo le rudi attenzioni di questa nuova madre, che cela il suo sguardo attento ai dettagli dietro una finta noncuranza. Eppure si accorge che tra la nuova arrivata, "L'Arminuta" (la ritornata), e sua figlia Adriana si sta stringendo un rapporto strettissimo, che tuttavia non riesce a placare le domande della prima: perché ha dovuto andarsene? Tutti sono molto reticenti sulla malattia della madre adottiva e il non sapere annienta le notti dell'Arminuta, non avvezza allo stile di vita della sua nuova/antica famiglia:
La sua eccitazione mi stupiva. Quella brama degli occhi sopra le banconote. Io non conoscevo nessuna fame e abitavo come una straniera tra gli affamati. Il privilegio che portavo dalla vita precedente mi distingueva, mi isolava nella famiglia. Ero l'Arminuta, la ritornata. Parlavo un'altra lingua e non sapevo più a chi appartenere. Invidiavo le compagne di scuola del paese e persino Adriana, per la certezza delle loro madri. 
Poi ci sono le attenzioni di questo fratellastro, che l'Arminuta non sa come inquadrare, ma sanno di autenticità, di bisogni fisici e di curiosità atavica verso la sua bellezza. Forse sono proprio lui e Adriana una cura contro lo strappo violento dal suo passato di merletti e portate di pesce prelibato? Anche il fratellino minore Giuseppe, nato con un ritardo mentale, è una dolce presenza che mette l'Arminuta alla prova giornalmente: l'accudimento richiede senso pratico, manualità e anche tanta maturità, cose che Adriana manifesta con naturale dimestichezza.
Lentamente, pur non riuscendo a trovare nuove risposte, l'Arminuta lotta per introdursi nella vita di paese, ma il suo linguaggio e i suoi voti scolastici altissimi non fanno che allontanarla dai compagni: lei è diversa, viene dalla città; tutti lo sanno e una rete di pettegolezzi e risatine di scherno si diffonde senza pietà. Solo Adriana, complice e sostenitrice a prescindere, è lì accanto, ad accompagnare pianti e tentativi di riscossa, piccoli regali e conquiste. E Adriana non intende lasciare la nuova sorella per nessuna ragione, anche se questo significa seguirla dappertutto e assecondare il suo bisogno di capire perché, da chilometri di distanza, la madre adottiva continui a mandare regali e a rispondere ai bisogni dell'Arminuta. Ma, certo, non può rispondere al bisogno più grande: quello di una telefonata, di una chiacchierata, di un abbraccio. 
E presto all'Arminuta viene il dubbio che quella scabra nudità di sentimenti in paese, la disperazione nella tragedia e il senso del risparmio, l'affetto dimostrato cedendo una coscia di pollo, in realtà siano molto più autentici di ciò che conosceva prima. Soprattutto perché il mondo di "prima", quando tornerà a ripresentarsi, verrà ormai guardato con gli occhi cresciuti dal paese, dove ogni minuscola briciola di pane raffermo è un dono.
Ed è proprio attraverso briciole di passato che affiorano qui e là che Donatella Di Pietrantonio intesse la splendida narrazione con alcuni cupi indizi che lasciano presagire al lettore ciò che l'Arminuta non vuole neanche immaginare. Ma è anche con il gusto fragrante di un pane appena sfornato che si seguono le sfide quotidiane della protagonista e ci si commuove per le piccole tappe della sua crescita, ben consci che il vuoto lasciato resterà incolmabile:
Nel tempo ho perso anche quell'idea confusa di normalità e oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza. È un vuoto persistente, che conosco ma non supero. Gira la testa e guardaci dentro. Un paesaggio desolato che di notte toglie il sonno e fabbrica incubi nel poco che lascia. La sola madre che non ho mai perduto è quella delle mie paure.
GMGhioni