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"Cambogia. Diario di un viaggio in solitaria", di Federica Puccioni

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Cambogia. Diario di un viaggio in solitaria
di Federica Puccioni
goWare, 2016

pp. 114
cartaceo €18.99 
ebook 4.99


A metà tra guida turistica e diario di viaggio, il libro di Federica Puccioni introduce il lettore a un mondo sconosciuto. La Cambogia, dite? Non esattamente: la terra di cui parlo è del tutto immateriale. E' la giungla di sensazioni dell'uomo occidentale al suo primo contatto con la cultura dell'estremo Oriente. 

Federica (mi scuserà se la chiamo per nome, ma, dopo aver letto il suo diario, sento un po' di conoscerla) ha 34 anni quando decide di partire per la Cambogia. Insegnante d'inglese, Federica è  "una di noi": divisa tra le necessità del lavoro e la voglia di tornare a casa, tra le confortanti abitudini quotidiane e la voglia di lasciare gli ormeggi, tra il desiderio di partire alla volta di un'avventura e le paure e i dubbi che la bloccano. La sua isola che non c'è è la Cambogia: la sente nominare un giorno, per caso, e decide di innamorarsene. 
Passano anni prima che Federica trovi il coraggio di partire e, come spesso accade con le scelte decisive della vita, un giorno qualunque acquista il biglietto per un viaggio di tre settimane in solitaria.


Fin dalla partenza, Federica annota in un diario le sue emozioni, quelle che poi andranno a costituire la parte più consistente del libro. Se nei primi momenti a prevalere è l'insicurezza, la paura di non cavarsela, l'ansia di programmare il giorno dopo, col passare dei giorni Federica si lascia contagiare dalla tranquillità del luogo. Questo passaggio è segnato anche dal suo percorso: dalla grande metropoli di Bangkok, Federica passa a esplorare città e poi villaggi sempre meno turistici, conoscendo l'anima vera della Cambogia e collezionando immagini a bordo dei tuk-tuk. 

Tempio dopo tempio, Federica annota sempre meno particolari concreti: non descrive l'architettura, ma la sensazione che il luogo le comunica; non parla della ricetta che ha provato nel ristorante, quanto della compagnia che ha incontrato. Al lettore comunica la sua trasformazione, o le lezioni che apprende di giorno in giorno (più qualche consiglio pratico per chi decida di viaggiare con lo zaino in spalla). La descrizione dei luoghi e dei volti è affidata alle fotografie che corredano il volume (purtroppo raggruppate alla fine, invece che nei diversi capitoli). 

Fa eccezione la visita alla scuola-prigione di Tuol Sleng: è evidente l'impressione di orrore che il museo suscita nell'autrice, che a questo luogo dedica una dettagliata e coinvolgente riflessione, soffermandosi anche sulla storia delle crudeltà perpetrate ai danni delle persone che ne furono le vittime. 

Pur con questa esperienza, Federica non perde la fiducia nei confronti del grande popolo cambogiano: un popolo di persone sorridenti e tranquille, che affrontano le difficoltà quotidiane con una serenità che, per un occidentale, è al tempo stesso una lezione e un pugno allo stomaco. 

Vale la pena di leggere il libro per le sue foto, per il senso di distensione che è in grado di infondere, e tenendo appunto presente che, al di là di quello che può comunicare la copertina, si tratta non di una guida, ma di un diario. Avrei evitato le lezioni alla fine, che nulla aggiungono alla narrazione e, anzi, un po' la sviliscono. Quello che soprattutto se ne trae è la speranza di poter fare cose che sembrano più grandi di noi. In questo senso, l'unico vero insegnamento del diario è questo: sei esattamente dove dovresti essere, o, detto in altre parole, la nostra vita è nelle nostre mani. Buon viaggio.