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#CritiComics - "La Repubblica del Catch" di Nicolas de Crécy

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La Repubblica del Catch
di Nicolas De Crécy
Traduzione di Fay R. Ledvinka
Eris Edizioni, 2016

pp. 220
€ 17.00

Dopo aver abbandonato per qualche anno il mondo del fumetto (continuando a dedicarsi alla pittura), Nicolas De Crécy ha l'occasione per tornare sul tavolo di lavoro ad affrontare una nuova sfida professionale e artistica. Lo stimolo gli viene dato dalla proposta di Shueisha, l'editore giapponese della rivista Ultra Jump, di pubblicare un manga a puntate rispettando modi e tempi della produzione nipponica. Così l'autore francese riesuma una vecchia idea nata per un cortometraggio animato che doveva essere realizzato con uno studio giapponese (ma che non vide mai la luce) e la ampliò sino a darle la forma de La Repubblica del Catch, pubblicato su Ultra Jump dall'agosto del 2014 e il marzo del 2015.

De Crécy affronta la sfida di unire bande desinée e manga, mutando il suo metodo di lavoro. I ritmi di pubblicazione lo obbligano a realizzare all'incirca venticinque tavole mensili, e per uno che solitamente impiega anni per portare a termine le sue serie, non è semplice gestire una mole di lavoro del genere. Così il suo stile si fa meno denso e meno pittorico, e sopratutto gli sfondi sono sintetizzati e meno ricchi di particolari rispetto al passato. Anche il tratto di De Crécy subisce dei cambiamenti e diventa più immediato e sporco, meno preciso nel delineare i contorni e i particolari delle figure. Eppure tutto questo non appare mai come un downgrade delle sue potenzialità di autore. La Repubblica del Catch vibra continuamente di quell'immediatezza obbligata dal metodo di lavoro, ha un'energia nel tratto che emoziona e coinvolge più del maestoso lirismo de Il celestiale Bibendum, e la consueta esplorazione cittadina smette di essere malinconica e meditabonda per tradursi in una serie di corse veloci e furiose in cui la città perde dettagli sino a sciogliersi in scie e contorni informi.

Il risultato più immediato a cui va incontro il lettore è un ritmo di lettura che, rispetto al passato, si fa decisamente più veloce. Non c'è tempo di soffermarsi troppo sulle tavole, l'occhio deve inseguire l'andamento della storia e le corse dei personaggi. Tutto è movimento ne La Repubblica del Catch e infatti la regia di De Crécy, da sempre ancorata ai movimenti dei suoi personaggi, sembra agganciarsi ai loro corpi in maniera ancora più intima. Se ne Il Celestiale Bibendum i personaggi erano il punto di partenza a cui lo sguardo del lettore doveva ancorarsi per leggere le tavole ed esplorare le panoramiche, i campi lunghi, le inquadrature a volo d'uccello su New-York-sur-Loire, ne La Repubblica del Catch occupano quasi tutte le vignette lasciando pochissimo spazio agli sfondi. L'attenzione del lettore è così catturata interamente dalle loro azioni e dai movimenti, che finiscono così per dettare ritmi e tempi della regia.

E non è un caso che in un libro come La Repubblica del Catch i corpi siano fondamentali. D'altronde è la storia di Mario, un uomo molto piccolo che stringe un'alleanza con un gruppo di freaks per combattere contro l'egemonia di suo nipote, un neonato dalla mente adulta a capo di un'organizzazione criminale che usa come scagnozzi i lottatori di wrestling. Il corpo è ancora una volta al centro della poetica di De Crécy, che lo utilizza per raccontarne le ovvie deformità. Al contrario di come molti fanno intendere però, La Repubblica del Catch non è un racconto burtoniano sulla rivincita di un gruppo di freaks nei confronti una società che si proclama perfetta, quanto più il racconto di uomini il cui corpo non è altro che il risultato evidente di quello che hanno fatto delle loro vite.

De Crécy ci prende in giro facendoci credere per gran parte del fumetto che la sua è una storia di rivalsa sociale e personale, per poi stupirci con un finale duro, indigeribile se incastrato in un libro con una storia all'apparenza semplice come questo. Perché, obbligato dalla tecnica, l'autore costruisce una storia lineare rispetto a quelle del passato, che si fa leggere in fretta e crea immediata empatia nei confronti di tutti i personaggi (persino nei cattivi). Ma è nel finale che De Crécy non rinuncia a un messaggio forte, inaspettato, e forse per questo ancora più potente di una trito lieto fine hollywodiano.

INIZIO SPOILER

La notte prima del match contro Bérénice, di punto in bianco, il protagonista è lasciato solo da tutti. Semplicemente spariscono, non si sa dove siano andati. Lui rimane seduto contro un muro, col suo corpo piccolissimo, ridicolo, rannicchiato su se stesso in attesa di chissà cosa. Una nuova alba spunta sulla città, il match si avvicina. Bérénice è in tenuta di battaglia (con quelle roselline di plastica che tanto piacciono al protagonista). De Crécy indugia il suo sguardo non tanto malinconico quanto insicuro: sconfiggerà Mario decretando la vittoria della Repubblica del Catch oppure eviterà lo scontro andando incontro però a morte certa? Mario nel frattempo si è rialzato, si è avvicinato a un piano e ne schiaccia un tasto. Ne fuoriesce una nota. E il libro finisce qui. De Crécy non ci regala un finale incompiuto o affrettato, ma al contrario dona a questo suo fumetto "semplificato" (perdonatemi la banalizzazione) quella spinta politica e poetica che sinora aveva fatto scorrere nelle vene più sottili e nascoste della storia.

FINE SPOILER

La nostra mente di lettori che già presagiva un commuovente finale disneyano, deve invece tornare a fare i conti con le incertezze, i dubbi, le insicurezze. De Crécy torna (ma in realtà non era mai cambiato) quello del finale de Il Celestiale Bibendum, quello che sà che ogni risposta data apre a mille e mille altre domande per interrogarci ancora una volta sula natura umana.

Matteo Contin
@matteocontin


Immagini riprodotte per autorizzazione della casa editrice