in

L'Atlante di Elvira Seminara: un catalogo dialogato sui vestiti dell'anima

- -

Atlante degli abiti smessi
di Elvira Seminara

Einaudi, 2015


Ci sono libri che si fanno leggere sempre, in ogni stagione, con ogni clima o temperatura, non ti appesantiscono e non ti alleggeriscono, come succede inevitabilmente con certi abiti. Devi solo avere il tempo per riconoscerli, dopo le prime pagine, e i primi sguardi. Un innamoramento che profuma di colpo di fulmine e poi resiste, ai giorni, alle ore rubate per non lasciare le parole in bilico, tra i fogli e il comodino. È successo con Atlante degli abiti smessi di Elvira Seminara. Ho sfogliato le prime pagine su un volo che mi riportava verso i miei affetti, e mentre attorno a me i passeggeri si perdevano nelle loro vite e nei loro discorsi, io piangevo. Un pianto che conteneva affetto, cura e dolcezza. Non è che ci fosse un motivo particolare per farlo, ma era l’atmosfera del dialogo tra una madre e sua figlia a rendermi caro e famigliare quel lessico e quell’inventario sentimentale che è il filo conduttore dell’intero romanzo.

Sentimenti in catalogo che sbirciano dai giorni, negli armadi delle nostre vite, e che spesso ci accompagnano inconsapevoli, verso rotte e naufragi. Il merito del romanzo è quello di affascinarci, come dentro un grande magazzino dell’anima, tra stoffe e umori, passando in rassegna la vita di una famiglia e il rapporto tra due generazioni. Spesso non riusciamo a mettere a fuoco la trama di quel grande tessuto che è la nostra vita, dove ogni ricordo ha un colore - che la Seminara trasforma in qualcosa di concreto, palpabile - nel fermo immagine di una stanza e di un momento, nel flashback di un pensiero scostato da una gruccia e riportato in vita, appeso al filo dei nostri interni più intimi. Nel dietro le quinte di scene quotidiane si celano bottoni, orli, merletti e un campionario di stoffe colorate, alcune floreali altre anonime, alcune impegnative, altre adattabili a qualsiasi occasione. La meravigliosa compostezza del ripetersi di questo schema, in cui il racconto, come un piccolo inserto, viene cucito nel catalogo della vita della protagonista, appiccicato al suo presente, ritagliato dal suo passato restituisce al lettore un’atmosfera rassicurante. 
La notte è il tessuto che preferisco. E non solo per il tatto, perché è lucida e setosa. Ti copre e nasconde senza soffocare, e puoi anche allungare un lembo - quando vai in giro - a nascondere le brutture del mondo (buche, bocche sdentate, muri lerci e spaccati).
È come ritrovarsi davanti ai bauli della propria infanzia, o sui letti delle mamme intente nel cambio di stagione. Non è solo incredibile l’architettura di questo armadio-racconto, ma anche l’ordito delle parole scelte con cura, la capacità di appassionare ai colori delle città in cui si ambienta la storia, Firenze e Parigi e la voce narrante della protagonista, che trascina nella narrazione le vite degli altri protagonisti, in un gioco di contumacia che assomiglia ad un monologo teatrale ben riuscito, a rendere subito caro al lettore questo libro. 

Non ho avuto tempo di continuarlo dopo quel volo, ma ogni volta pensavo di voler allungare l’attesa, per non pensare troppo al libro, per distaccarmene, e nello stesso tempo non vedevo l’ora di riprenderlo. L’ho fatto all’inizio di un’altra stagione, quando i colori e le giornate restituiscono un’aria ferma alle cose, più risolute. Pensavo che la primavera fosse in un certo senso un contesto troppo ammiccante per regalarmi la giusta distanza e poter concepire con più sicurezza la mia idea di queste pagine. Non è servito e ne sono sollevata. Perché leggendo ho dimenticato il caldo e l’afa, mi sono ritrovata in quella penombra da cui sbirciano le stoffe, ho assaporato gli interni parigini, gli inquilini francesi e le fughe d’amore. 

Ho compreso che questo Atlante dipinge la vita di ognuno di noi, non attraverso la ruvida pesantezza dei corpi, né ricorrendo alla semiseria compostezza di maschere di pirandelliana memoria, piuttosto cataloga i momenti presenti e passati e gli ammonimenti futuri come in una elegante collana bergsoniana, in fila come su un filo di perle eleganti. Ognuno può scegliere il suo momento, sfilarlo dal proprio campionario personale e indossarlo, leggendo l’etichetta che la scrittrice ha pensato per lui. Un libro cucito addosso al lettore che vorrà indossarlo, senza temere stropicciature, senza insolenti pieghe a rovinarne la linea, senza merletti ingombranti, ma capace di valorizzare la figura di chi lo indossa e saprà riconoscersi nell’eterno bisogno di raccontarsi a chi amiamo.