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#ScrittoriInAscolto - "Il segreto è la contaminazione culturale", Dorit Rabinyan ci racconta il suo Borderlife

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“La società europea si faccia contaminare dalle diverse identità utilizzando anche il sapere arabo”
Queste sono le prime parole che mi colpiscono, durante la bella intervista a Dorit Rabinyan, a cui ho partecipato grazie all'incontro riservato ai blogger che la casa editrice Longanesi ci ha regalato in una mattina di fine maggio, in occasione della presentazione del suo ultimo romanzo al Salone del Libro di Torino, quando la scrittrice ci incontra per raccontarci qualcosa di più del suo Borderlife
Non è il suo primo libro; Dorit Rabinyan, nata nel 1972 in Israele, da una famiglia ebrea trasferitasi dall'Iran, ha già scritto due romanzi e anche un soggetto televisivo, oltre ad alcuni libri per bambini. In Borderlife, uscito nel 2014 e vincitore nel 2015 del premio della fondazione Bernstein, il soggetto è quasi autobiografico; ma la fortuna del libro è dovuta soprattutto alla censura. È infatti stato bandito dalle letture liceali in Israele, ed è immediatamente diventato un caso internazionale. La polemica mediatica che si è scatenata e che ha visto l’autrice sostenuta da altri scrittori famosi come Amos Oz è Abram Yehoshua nasce perché in questa storia d'amore, tra un un'ebrea e un palestinese, lo stato di Israele ha visto un incitamento ai matrimoni misti.
Liat, la protagonista, incontra Hilmi a New York e in un pomeriggio autunnale i due si innamorano, e decidono di fare insieme un pezzo del loro cammino. La loro storia, intralciata dagli uomini, è quasi benedetta dalla natura, in grado di capire il più delle volte meglio degli uomini la complessità dei sentimenti, perché spesso sono proprio gli uomini a complicare le relazioni. New York, splendida e gelida, non è solo una quinta, non è solo uno spazio in cui la storia nasce e cresce, ma è una protagonista del racconto. La prima domanda che i blogger pongono è chi sia questo artista palestinese conosciuto a New York e la Rabinyan risponde che si tratta di Hassan Hourani:
“Ma la storia non si è solo basata sui ricordi - precisa l’autrice - tante è vero che confesso che ci sono voluti ben sei anni per poter scrivere questo libro, perché non ho voluto creare un memoriale a questo ragazzo; il giovane protagonista è quasi uno spunto iniziale per poi abbandonarmi all'ispirazione perché tra tra la creazione e la vita vera c’è la fantasia, questa sorta di droga che mi aiuta a dipingere la vita”
Alla domanda su quale sia stato l'impatto della critica negativa della censura israeliana sul libro, risponde:
“Il risultato di tutte queste polemiche è il successo del libro, perché tutti ne hanno iniziato a parlare, attraverso i social, e i giovani lo acquistavano anche solo per curiosità. Hanno trasformato quello che poteva essere una storia bella e importante in un caso e addirittura dei ragazzi si avvicinavano a confessare che ne avevano comprato cinque o dieci copie proprio per andare contro questo divieto di leggere il libro”
Un’altra domanda è sulla compassione, vista come il sentimento che la colpisce di più nel romanzo:
“Se la compassione è questa tenerezza che va oltre l'amore, sì è vero - annuisce la scrittrice - perché ognuno deve guardare in faccia l'altro per avere compassione e trovo che la compassione sia un sentimento quasi imperativo, peraltro la dimensione romantica in cui si inquadra questo sentimento è meno comune dell'amore in generale e a aggiunge all’insieme la delicatezza”
Altro aspetto imprescindibile, per la Rabinyan è il voler comunicare, il voler dare un nome alle cose, il voler essere un oggetto di comunicazione, che è ciò che permette al libro di superare quella barriera interiore che troviamo in ognuno di noi. Riflettendo su queste parole, così come sul nome della stessa protagonista “Liat”, che vuol dire tu sei mia ho posto la mia domanda, chiedendo dove è stata attinta la radice di profonda spiritualità che c’è nel libro, se sfoci nel senso di appartenenza, che è cosa diversa dal volersi appartenere e dal voler appartenere a qualcosa, sentimenti che spesso sono in conflitto e in generale sul riflesso che la religione ha in questo rapporto. New York, nella mia lettura del romanzo, sembra quasi una nuova Gerusalemme terrestre in questa sua capacità di far dialogare le due persone attraverso l'amore, ma ha anche il merito di essere una terra franca, una terra promessa, dove la volontà di Dio, che si rivela nell'amore, finalmente può avere luogo. Ed è stato emozionante vedere come la comparazione di queste due città, in senso biblico, abbia profondamente colpito la Rabinyan, che ha esclamato:
“Questo è di sicuro un dono, il fatto che i tuoi lettori possano leggere nel tuo libro qualcosa che tu hai proiettato inconsciamente e te ne restituiscano una lettura unica e originale lo trovo in assoluto un dono. Noi scrittori non siamo più intelligenti degli altri, scriviamo solo perché abbiamo delle antenne emotive molto sviluppate e questo ci permette di cogliere l’eco di sentimenti e situazioni che poi si riflettono quasi inconsciamente dentro i nostri libri, e per tornare a questa lettura finora mai fatta del mio testo, posso dire che mi ha molto aiutato la città ma anche il contesto climatico. L’inverno di New York è un inverno ortodosso, ti travolge e spinge i personaggi a vivere in simbiosi. Se ci fosse stato bel tempo non so come sarebbe andato. Ci sono dei colori che alla fine possiamo definire colori religiosi e che ritroviamo nel contesto ambientale. In questo senso è affascinante l’idea di una rinnovata Gerusalemme terrestre che unisce le persone e le riporta alle origini.”
Il momento dell'autografo - Dorit e Samantha

Per la Rabinyan la questione della religione è importante, soprattutto oggi, perché alcune religioni non sono così come ci fanno credere, è il caso dell'Islam: “Tra i due la più radicale sembravo io”, ha commentato, proseguendo:
“La religione è diventata oggi quasi la fonte dei nostri problemi del mondo, ma in realtà sta all'uomo confinare in determinati luoghi, nella parte interiore, la religione e non esteriorizzare non farla diventare motivo di scontro o di odio.”
Il messaggio che infine la scrittrice ci ha consegnato è che forse per essere davvero se stessi bisogna allontanarsi, e questo libro ci invita a far questo, a guardare le cose con una prospettiva diversa, al di là della storia d'amore, che non è una storia d'amore come tutte le altre, c'è la voglia di trovarsi, di appartenersi, di capire infine come relazionarsi all'altro, come incontrarlo, come vincere i propri pregiudizi e infine diventare se stessi attraverso l'altro.


Samantha Viva