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#CritiComics - Alla ricerca onirica dello sconosciuto Kadath con I.N.J. Culbard

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La ricerca onirica dello sconosciuto Kadath
di I.N.J. Culbard
Traduzione di Giorgio Saccani
Magic Press Edizioni, 2016

pp. 144
€ 15.00

Scritto nel 1926 e mai portato a termine (la versione che possiamo leggere - che corrisponde a una prima stesura del testo - è stata infatti pubblicata postuma), La ricerca onirica dello sconosciuto Kadath è uno dei racconti lunghi più celebri di H.P. Lovecraft, anche se di certo non uno dei più riusciti. In una lettera ad August Derleth, lo scrittore di Providence descrive questo suo racconto come una storia di avventure picaresche: la ricerca degli dei tra mille disavventure e pericoli, ed è scritta come Vathek, senza soluzione di continuità e senza divisione in capitoli, benché contenga una serie di episodi ben definiti [1]E in effetti il racconto si presenta come una raccolta di storie d'avventura ambientate nel mondo dei sogni, se non fosse che la narrazione scorre e scivola via rinnegando qualsiasi logica umana e affidandosi esclusivamente a un divenire onirico e illogico che non tiene conto di alcuna regola che non sia la continua voglia di Lovecraft di stupire il lettore.

Lo scopo di Lovecraft era quello di riunire in un solo scritto tutte le sue idee visive e spirituali sul Mondo dei Sogni, prendendo spunto da alcuni racconti precedenti (Celephais, The Other Gods, Nyarlatothep) che fa convergere in questo testo ampliandone e approfondendone la mitologia, e utilizzando Randolph Carter (personaggio che aveva già visitato il mondo dei sogni in altri racconti) come viaggiatore ed esploratore di queste terre misteriose.  La ricerca onirica dello sconosciuto Kadath diventa così una sorta di diario di viaggio onirico, in cui Randolph Carter descrive creature e mostri, luoghi e paesaggi, persone e usanze, cercando di tracciare le linee guida di un corposo trattato enciclopedico sotto forma di storia, che sappia contenere la descrizione etologica, cartografica e sociologica del mondo dei sogni.




Peccato che a conti fatti le aspirazioni di Lovecraft risultarono essere superiori al risultato. Sempre nella lettera indirizzata a Derleth, lo scrittore di Providence dice di temere che le avventure di Randolph Carter siano arrivate al punto in cui il lettore può uscirne francamente annoiato. Così Lovecraft finirà con l'abbandonare la scrittura del racconto, lasciandoci un manoscritto incompleto, sicuramente privo di coerenza e di una struttura narrativa forte (che d'altronde non è mai stato uno dei pregi dello scrittore), ma così visivamente ricco da renderlo un luogo esplorabile.

I.N.J. Culbard, che di Lovecraft aveva già adattato Il caso Charles Dexter Ward e Le montagne della follia, comincia la sua esplorazione del classico lovecraftiano conscio dei limiti e dei difetti dell'originale. Compie il primo passo rimodellando la struttura del racconto, che rimane invariata nel susseguirsi degli episodi ma trova una sua stabilità nel cambiamento di ruolo di Randolph Carter, che da esploratore diventa indagatore. Questo aspetto, presente nel romanzo ma soffocato dalle descrizioni, riesce a fare emergere quella trama sotterranea che per Lovecraft era un pretesto e per Culbard diventa le fondamenta del suo fumetto. Se in questo modo la narrazione perde quasi del tutto l'approccio affabulatorio che ricercava Lovecraft, ne guadagna in compattezza senza snaturare peraltro le intenzioni originarie dello scrittore visto il risalto che Culbard dà alle avventure picaresche di Carter.

La ricerca onirica dello sconosciuto Kadath si trasforma tra le mani di Culbard in un racconto avventuroso, meno visionario e stupefacente del racconto di Lovecraft ma con una narrazione più salda e compatta, che trova una quadra anche con un finale forse non perfetto ma coerente con le atmosfere e soddisfacente per il lettore.



Nella parte grafica invece Culbard non tradisce Lovecraft: la sua terra dei sogni è luminosa, ricca di creature, architetture e paesaggi come quella progettata dallo scrittore. La vera sfida di Culbard è quella di riuscire a trasferire nelle illustrazioni gli infiniti dettagli di quel mondo che Lovecraft aveva cesellato con la sua scrittura. Ed è sorprendente come il disegno riesca a stare pari passo con la penna dello scrittore, riuscendo a cogliere le infinite sfumature della Terra dei Sogni. Il tratto chiaro e preciso di Culbard si rifà a tutta la tradizione weird che da anni accompagna i lavori di Lovecraft (il cui massimo esponente è oggi Jacen Burrows), ma trova qui una sua cifra stilistica sia nei colori accessi e luminosi delle tavole, sia in una regia che non tende a guidare lo sguardo dello spettatore verso la scoperta del mistero, ma a celarlo continuamente bloccandoci la visuale, rendendolo se non irraggiungibile, perlomeno oscuro e sfocato.

Culbard ci propone una versione mediata del racconto di Lovecraft, normalizzata con una narrazione più tradizionale e che forse per questo molti troveranno priva del suo reale punto d'interesse (quell'andamento onirico e sfuggente dell'originale). Culbard accompagna il lettore in territori sconosciuti ma meno impervi di quelli lovecraftiani, Se il racconto di Lovecraft è un safari, allora il fumetto di Culbard è uno zoo: stessi animali ma da una parte abbiamo territori sconfinati e dall'altra delle gabbie. A voi scegliere se preferire l'avventura o la sicurezza, il pericolo di annoiarsi o la protezione di una gabbia narrativa riconoscibile.

[1] Questa e le altre citazioni presenti nel testo sono tratte da "Tutti i racconti: 1923 -1926", (Mondadori, 2009) a cura di Giuseppe Lippi, anche autore della traduzione. 

Matteo Contin
@matteocontin


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