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«Devo ammetterlo, l'avventura non fa per me. Sono uno scrittore che vive da solo, e va bene così»... David Thomas, a guardare il mondo

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Non ho ancora finito di guardare il mondo
di David Thomas
Marcos y Marcos, 2016

Traduzione di Maurizia Balmelli

pp. 192
€16 (cartaceo)


A prima vista, potrebbe sembrare una raccolta di racconti o di frammenti? Meglio forse vedere Non ho ancora finito di guardare il mondo come una raccolta di visuali diverse sul mondo, da prospettive inconsuete che, talvolta loro malgrado, si compenetrano e tracciano fili invisibili all'interno del libro, che pare rispondere a una calibratissima costruzione a posteriori, dopo aver annotato/rivisto/elaborato puro istinto messo su carta. 
Anche se i frammenti, tutti dotati di titolo e di diversa lunghezza, possono essere letti disgiuntamente, va detto che sono spesso accomunati dall'ironia, spesso irridente, che nasce dalla forte discrasia tra il luogo comune e il suo gustoso sovvertimento. Ma l'ironia non è altro che il contraltare della malinconia, esprime il tentativo di affrancarsi dalla sofferenza (Sette anni) e dalla solitudine (Transumanza), altri due temi approfonditi e molto presenti. Sono i rapporti amorosi a essere colti nel loro naufragio, tra rabbia (Un uomo), ripensamenti (Errore), nostalgie, profonda mancanza. E allora si tratta dell'abbandono (fisico e/o amoroso), tra addii ricevuti (Quando ho smesso di fumare), dati (Dieci anni esatti) o rimandati (Urli). Altrove si leggono i compromessi di chi ogni giorno ama e si lascia deludere dall'altro (Caverna); eppure non sa rinunciare a questo cocktail di sentimento e frustrazione (Sola con te seguito da Solo con te; Cercare). Ma c'è anche la forza dell'innamoramento (inspiegabile, in Niente di più semplice), con il trasporto e la soddisfazione di chi si è staccato da una naturale inettitudine (Casa). Non manca l'abitudine dell'amore, quello tra vecchi coniugi ormai avvezzi l'uno all'altro (Brutta; Topi di campagna). 

In netto contrasto, tutto lo stupore davanti alle coppie che resistono al tempo e alla potente demistificazione dell'amore (Come fa la gente; Non forzare).
Se leggerete il libro di Thomas rapidamente, vi chiederete istintivamente: meglio restare soli oppure in coppia, oppure stare ad ascoltare i vicini come un voyeur (cfr. Fare l'amore)? 
Entrambe le facce di questa medaglia vengono mostrate da David Thomas con disinvoltura, senza orpelli. Non c'è canzonatura, ma neanche filtro nel tamponare le piccole e grandi crudeltà quotidiane a cui ci sottopongono l'amore (Colpo in canna) e la società (Famiglia numerosa). In fondo, cosa si è, se si rinuncia a tutto? 
Sparire per me è sempre stato un esercizio rasserenante, rigenerante. Così, quando esco per una passeggiata in quelle città straniere, non mi porto mai dietro i documenti. E spesso mi capita di pensare che se morissi all'improvviso in un incidente o per un attacco cardiaco o cerebrale nessuno se ne preoccuperebbe e nessuno verrebbe a identificarmi. Allora sarei solo un corpo sconosciuto di cui non si saprebbe cosa fare. Mi piace molto quest'idea di non essere niente per nessuno. (da Un corpo, p. 147)
Foto di ©GMGhioni
Dunque, la solitudine è una delle possibili soluzioni dei protagonisti senza nome (sono quasi tutti io-narranti): essere soli significa anche non avere alcuna responsabilità affettiva, gestire solo sé stessi e chiudere un occhio davanti a rituali depressivi (Mobili), con la possibile evasione in sogno (Un sogno; Un sogno per due o tre giorni). Non di rado questa solitudine è causata o alimentata perlomeno dalla tecnologia e dalla burocratizzazione della vita (Sono un essere umano).
Accanto a qualche svagata incursione nel passato fino all'infanzia (Una bella fine), anche il ruolo dello scrittore viene in parte denudato e certamente demistificato: vi sono raccomandazioni stilistiche (Se per dirlo) e un goduriosissimo e iperbolico racconto di un aspirante scrittore alle prese con 5000 copie del suo primo romanzo (Un vero successo), accanto a un paradossale e divertente Mai fidarsi dei libri di Richard Brautigan (non posso anticipare nulla della trama...). Per non parlare dell'ultimo brano, metaletterario, dedicato a Le fini, da leggere e sottolineare.

Dopo questa lunga ma comunque parziale carrellata attraverso le tematiche di Non ho ancora finito di guardare il mondo, va detto che uno dei grandi pregi di questo libro è l'apparente semplicità della forma. Un lessico essenziale, senza tanti sofismi, porta il lettore ad abbassare la guardia; è allora che Thomas infila un'enumerazione di dettagli irrisori, o un dialogo graffiante che si insinua oltre le difese del lettore. Il colpo di scena, alternato a forme di agnizione, fa il resto: in molti di questi frammenti Thomas sfida il paradosso, lo schiaffeggia e non teme nemmeno di rompere la quarta parete, rivolgendosi al lettore. 

GMGhioni