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#GiornataDellaMemoria - La verità dietro il cucchiaio

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La Giornata Della Memoria 
per Manuela


Le parole che incontriamo nel corso della nostra vita la condizionano irrimediabilmente. Alcune tra le parole che lacerarono di più il mio animo di bambina non giunsero né da un libro né dalla bocca di qualcuno, ma erano incise nel manico di un cucchiaio.
Ricorderò per sempre il giorno in cui chiesi a mia nonna perché il cucchiaio dello stufato portasse dietro una scritta in tedesco. Per la prima volta sentii parlare dei campi di concentramento. Mi spiegò che nonno lo aveva con sé il giorno in cui tornò dalla guerra. Era il suo cucchiaio durante la prigionia. 
Ogni prigioniero aveva diritto, al giorno, a infilare una volta soltanto il suo cucchiaio nel pentolone che conteneva acqua bollita e patate. I giorni buoni erano quelli con tre o quattro pezzi di patata.

Quando fui più grande mi raccontarono che nonno fu prigioniero di guerra in un campo in Germania. Del suo internamento non si è mai saputo granché. Mia nonna diceva che non ne parlava mai e mi regalò un plico di fogli legati a quel periodo. Tra quelle cose ho ritrovato appunti sul campo di sterminio di Buchenwald, ma tutte le lettere dell’epoca della prigionia provengono da un campo della Sassonia: Stammlager XI-B. Le lettere sono in realtà cartoline o moduli prestampati che riportano nome e numero del prigioniero e il codice del campo. In tutte campeggia la raccomandazione, in tedesco e in italiano, di non uscire dalle righe adibite al contenuto. Per quanto riguarda quest’ultimo, si tratta sempre di rassicurazioni sul suo stato di salute, ringraziamenti per le lettere ricevute e richieste di sigarette. Trapela la pesantezza della parola, calibratissima per non incappare nella censura, a filo tra il tentativo di non mentire e la volontà di non spaventare chi quella lettera l’avrebbe letta. In una racconta che il suo lavoro è costruire treni, in un’altra del compagno che si è ammalato ma che almeno non sarà obbligato lavorare. Parla della Pasqua, della gioia di essere riuscito in qualche modo a celebrarla. Raramente si trovano riferimenti alla sua vita prima della guerra, e quando ne parla la evoca come un’esperienza lontana che forse non ritornerà.
Dopo che il 16 aprile del 1945 quel campo venne liberato non si sa con esattezza cosa accadde a mio nonno. Si sa soltanto che al momento della liberazione pesava una quarantina di chili e che ci mise un anno per fare ritorno. Tornò portando quel cucchiaio. Il cucchiaio fece il suo ingresso in famiglia ed entrò a pieno ritmo nelle dinamiche casalinghe, eletto a strumento di equa spartizione di quel che conteneva ogni giorno la pentola. Ma quando ne compresi il significato, quell’oggetto divenne per me la concretizzazione del male che un uomo può infliggere a un suo simile. Come possa un uomo deliberatamente affamarne un altro, è un interrogativo che peserà sempre sul mio cuore. 

Manuela Cortesi