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Pillole d'autore: La banda dei sospiri di Gianni Celati

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Gianni Celati è uno scrittore vagabondo dallo stile inconfondibile che non ha mai smesso di scrivere e spostarsi. I suoi scritti sono caratterizzati da un’evidente spontaneità, immediatezza e comicità. Secondo Celati narrare significa disperdersi, far divagare la propria mente, allontanarsi dagli schematismi e dalle convenzioni, come quando si guardano le nuvole in cielo cercando di indovinarne la forma mutevole. Tra le sue opere, oltre a La banda dei sospiri, si possono ricordare: Comiche, Le avventure di Guizzardi, Lunario del Paradiso, Narratori delle pianure, Quattro novelle sulle apparenze, Verso la foce, Avventure in Africa, Cinema naturale, e Fata Morgana.

Il romanzo La banda dei sospiri, pubblicato per la prima volta da Einaudi nel 1976 e più recentemente da Quodlibet, è la storia di un allegro, puzzolente e tragicomico ragazzino di nome Garibaldi, e della sua sgangherata famiglia che include: un padre sbraitone e bestemmiatore, una madre sarta che fa compassione, un disgraziato fratello, inventore di storie strampalate e aspirante romanziere, e vari zii, nonni e cugini, ognuno con i loro tic e le loro manie. Il piccolo Garibaldi, come ogni ragazzo della sua età, frequenta la scuola, descritta come un luogo strambo in cui a insegnare c’è un maestro pelato con la fissa delle poesie a memoria, e a tentare di imparare dei bizzarri compagni, che più che pensare a studiare sono soliti masturbarsi sotto i banchi mentre il loro insegnante svolge le sue lunghissime e noiosissime lezioni su Leopardi. In mezzo a questo divertente e giocoso sfondo, Garibaldi, con i suoi occhi di bambino, indaga sulle attività dei grandi come la politica, la religione e il sesso traendone delle spassose conclusioni. La banda dei sospiri è un libro comico perfetto che rallegra il lettore portandolo in un mondo infantile e colorato.

(Edizione di riferimento: La banda dei sospiri di Gianni Celati, Quodlibet Compagnia Extra, Macerata, 2015)


Il mio disgraziato fratello ha sempre avuto tante pretese nella vita, e da piccolo non mi lasciava mai in pace a volermi raccontare tutte le sue storie e sogni da ragazzo. Io non sapevo neanche di cosa parlasse, ma per calmarlo facevo quella funzione di ascoltare i suoi discorsi e applaudirlo, in quanto ero il fratello minore.

Io piccolino dormivo in un letto grande in mezzo a queste due sorelle, la bruna di qua e la bionda di là. Loro mi mettevano una mano per di sotto e mi venivano dappertutto con le dita a solleticarmi, che quindi io facevo dei salti. Perché una sorella mi stuzzicava il manico, e l’altra mi stuzzicava il sedere, e anch’io dunque volevo stuzzicarle loro tra le gambe per una forma di scherzo, strappandogli magari qualche pelo per divertirci.”

“Nel quadro c’era dipinta una donna con due grosse tette. Io prendevo una lente d’ingrandimento e montavo sopra una sedia per guardarmela meglio. Questa donna era sdraiata, con una mano si grattava il mento, e l’altra mano l’aveva sulla topa, per tenerci sopra un velo. Io sulla mia sedia spiavo tra le sue dita, e speravo molto di vedere cosa c’è sotto il velo. Ma questo neanche con la lente d’ingrandimento si riusciva a vedere. Allora ho preso un temperino, e andavo a scrostare dove c’è il velo, per vedere cosa c’è sotto. Ma sotto il velo c’era la tela e non la topa. Ci sono restato un po’ male. Poi ho tappato il buco con pane masticato.”

“Nella mia scuola c’era uno scalone con due statue in basso di donne con l’elmo in testa e le sottane corte. Noi passando da lì facevamo sempre il gesto di mettere una mano sotto le sottane di quelle donne, e di godere molto con spasimi di gioia in faccia. Poi certe volte negli intervalli scolastici, non visti scappavamo giù per le scale e montavamo sopra le statue per di dietro facendo le mosse dei cani in calore. Certuni hanno anche estratto il loro manico per metterglielo nel buco sotto la sottana a una di queste statue, e fare le mosse dei cani in calore. Però il buco essendo di pietra gli ha graffiato tutto il manico, che dopo hanno dovuto fare gli impacchi. I compagni hanno  cominciato a dire questa storia, che cioè quelle statue a metterglielo dentro si godeva moltissimo, ma addentavano.”

“Come era composta la nostra scuola? Tutti scolari maschi! Le scolare femmine erano in un’altra scuola vicina, dove noi delle volte andavamo a fare rappresaglie contro le bambine che vorrebbero avere da noi corteggiamenti. Alle bambine noi gli sputavamo in testa perché non ci piacciono, siccome non hanno le tette!”

“Era così. Io le mettevo un braccio intorno alla vita e stringevo tutto contento, perché non l’avevo mai fatto questo, di mettere un braccio intorno a una donna. Allora la scruto negli occhi e lei si lascia scrutare, sempre un po’ ridendo. Allora ridevo anch’io dalla soddisfazione, e adesso siamo molto abbracciati. E qui stavo a guardarle da vicino quel rossetto luccicante che porta sulle labbra, e mi chiedevo: sporcherà questo rossetto? Lei ha voluto darmi la prova che non sporca mollandomi un bacio. Un bacio a me sulla bocca, che mi ha dato all’improvviso. Ohè mi ha fatto girare la testa. Tant’è che dopo le mangiavo anche un po’ di capelli masticandoli molto entusiasta. Perché era proprio una roba da sogno questo bacio che non si dimentica, con noi due così stretti abbracciati per la strada quella sera.”

“Si pensava a quei tempi che se uno andava da una ragazza e la baciava, tutto era fatto e lei doveva essere sua fidanzata per sempre. Noi però non eravamo mai riusciti a dare a nessuna un bacio così, prima di tutto perché le bambine della nostra età non ci piacevano, e le mandavamo via con parole e sputi se venivano a fare le smorfiose. Secondo perché alle ragazze alte e signorine non ci arrivavamo ancora come altezza a baciarle sulla bocca, e dunque come fare?”

“Con tutti i guai della vita ci manca anche questa invenzione degli innamoramenti d’amore per far perdere tempo alla gente.”

“Si credeva a quei tempi che dovesse abbastanza in fretta scoppiare una rivoluzione, con ammazzamento di tutti i maiali superiori e trionfo del popolo e della libertà. Invece poi a quanto pare la rivoluzione non scoppia mai, e i maiali superiori ricchi e furbi sempre continuano a vivere alle spalle dei poveri miserabili che tirano la carretta.”

“Essendo un vagabondo che va libero per le strade senza pensieri in testa e con la bocca chiusa, non sapevo dove andare e andavo per divertimento al cimitero a leggere tutti i nomi sulle tombe e a guardare i ritratti dei defunti.”

“Con mio fratello delle volte alla sera progettavamo fughe per girare il mondo con un sacchetto in spalla. Si doveva prendere il treno, poi a piedi attraversare certe foreste che mio fratello conosceva benissimo perché se le era sognate di notte. Poi ci imbarcavamo su una nave diretta chissà dove. Però le fughe a chiacchiere sono una cosa e quelle vere un’altra. A dir la verità il mio disgraziato fratello preferiva stare a casa a leggere tanti libri e menarselo. E il massimo che abbiamo fatto come fuga è stato di andare alla stazione, dove lui si è letto tutti gli orari dei treni e poi siamo tornati a casa in silenzio.”