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Misteri di famiglia (sotto e sopra le coperte): un'inattesa Bianca Pitzorno

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La vita sessuale dei nostri antenati
spiegata a mia cugina Lauretta che si vuol credersi nata per partenogenesi
di Bianca Pitzorno
Mondadori, 2015

pp. 468
€ 19 cartaceo



Confesso che quando ho letto di questo libro, ho provato un primo moto da reazionista: Bianca Pitzorno si misura con un romanzo per adulti? Lei, la mia eroina dell'infanzia, che mi ha tenuto pomeriggi di compagnia con veri e propri capolavori per ragazzi come Ascolta il mio cuore, Polissena del Porcello, Diana, Cupìdo e il Commendatore...? Poi ho bloccato il déjà vu da piccola lettrice quasi bulimica di storie e mi sono detta che non è giusto incapsulare un autore nel genere che ci ha tanto a lungo insegnato ad apprezzare. Solo perché ha vinto decine di riconoscimenti (tra cui la ripetuta e meritata assegnazione del premio Andersen, anche in anni di fila), non significa che Bianca Pitzorno non possa staccarsi dall'immagine che noi siamo soliti attribuirle. Perché - tra le altre cose - Bianca Pitzorno ha scritto anche saggi e vanta una formazione classica colta che non ha mai smesso di alimentare. Un dettaglio? Direi di no, soprattutto in questo La vita sessuale dei nostri antenati, romanzo che sfrutta tutta la consapevolezza letteraria dell'autrice per costruire un'epopea familiare di generazione in generazione, che ha al centro le ipocrisie, le scoperte e anche le confessioni sentimentali e sessuali della famiglia Bertrand Ferrell

Fin qui, tutto bene (e sostanzialmente nulla di nuovo): ma a tessere un intreccio composito, mai magmatico ma sempre ben orchestrato è un gusto lievemente canzonatorio per la ripresa in minore, con sapiente ironia, di tanta tradizione letteraria. Qualche esempio? Partiamo dal titolo, che ha un andamento da trattato del passato e fin da subito allude alla giocosità dell'opera, che non si prende sul serio per proporre invece contenuti serissimi. Poi prendiamo l'anello, oggetto apparentemente ininfluente che invece collega le varie parti della storia: il gioiello, di poco valore (niente a che fare con gli anelli dei poemi scandinavi) viene lasciato alla professoressa Ada Ferrell, a Oxford per un importante convegno, da una sua collega, Estella, che ha una parte marginalissima nel corso del romanzo. L'anello resta ad Ada come ricordo di un soggiorno burrascoso (come burrascoso l'incontro sotto le coperte con un affascinante sconosciuto la notte prima del suo speech) e compagno indesiderato dei sei mesi a venire. Sei mesi in cui Ada metterà fortemente alla prova sé stessa, le sue convinzioni di donna (restare con il compagno di sempre, Giuliano, o tornare alla vecchia vita godereccia con l'amica Daria? Veramente non è contemplato un figlio nel suo futuro?), di figlia e di nipote. Sì, perché la famiglia Bertrand Ferrell, che al tempo della narrazione è ormai ben vista, non ha conquistato la Villa Grande nel paese di Donora (tutto inventato) in modo canonico: il passato della famiglia è piuttosto misterioso, e gran parte del romanzo è proprio impegnato a scoprire le tante ombre che hanno oscurato il viso di donna Ada, nonna della protagonista e suo opposto: tanto libertina la nipote quanto severa la nonna. Anche lo zio Tancredi, venerato dalle nipotine Ada e Lauretta (quella nominata nel titolo, sì), non è solo il nume tutelare della famiglia, lui che non si è sposato per restare accanto a nonna Ada per crescere i nipoti senza genitori. Qualcosa si cela nel suo passato, a cominciare dallo strano rapporto che ha con Armellina, la sua storica serva che pare più comandare che ubbidire. Fin dalle premesse del romanzo, il lettore e la destinataria, la fantomatica Lauretta, sanno che si imbatteranno in qualcosa di inatteso:
Cara Lauretta, cara cugina come me orfana e come me allevata dalla inflessibile nonna nel culto della nostra nobilissima stirpe, perdonerai mai all’autrice di avere scritto questo libro sui nostri antenati? Di averne rivelato i segreti e i peccati più insospettabili a partire dal lontano Cinquecento, quando una firma del Vicerè su una pergamena rese blu il nostro sangue che prima era rosso come quello di tutti gli altri abitanti di Ordalè e di Donora? Adesso che abbiamo quasi quarant’anni, che abbiamo vissuto la liberazione sessuale e le sfrenatezze del Sessantotto, che abbiamo messo la testa a partito, non ci dovrebbe risultare così difficile accettare che anche i nostri antenati, e specie le antenate, abbiano avuto le loro storie di letto, e non sempre esemplari. Lo so che per chiunque è difficile pensare che i propri genitori hanno avuto una vita sessuale, e che se così non fosse noi non saremmo qui… E i nostri nonni, come immaginarli a rotolarsi peccaminosamente tra le lenzuola? Ma con i bisnonni non dovrebbe essere così impossibile, specie se sappiamo che hanno messo al mondo quindici figli. Per non parlare dei trisnonni e dei quadrisnonni. Senza l’attività sessuale dei nostri antenati il genere umano si sarebbe estinto. Eppure tu, Lauretta, quando accenno a questo argomento ti turi le orecchie e strilli: “Bisogna essere proprio dei maniaci sessuali per pensare a certe cose”. Lauretta, Lauretta, ti piace tanto sapere chi erano e cosa facevano i nostri antenati, che rapporti c’erano tra zio Tan e Armellina, chi era il pittore che ritrasse Garcia e Jimena nella Cattedrale di Ordalè… Conservi con cura l’abito di broccato che la nonna, donna Ada Ferrell, indossò nel giorno delle nozze. Le nozze, appunto, il letto comune! Cosa avveniva in quel letto una notte dopo l’altra? E negli anni a seguire i sette figli. Li aveva mandati lo Spirito Santo in forma di colomba? Lauretta, bisogna proprio che ti spieghi come sono andate le cose? Ora, passata anche quest’ultima tempesta, ascoltami: ti racconterò molti segreti che neppure immagini. Tua Adìta.
Attorno ai personaggi principali, altre figure minori rendono molto utile l'albero genealogico all'inizio del libro, per non perdersi tra le parentele. Vari personaggi prendono la parola, con gli escamotage concessi dalla narrazione e un'ironica rottura dell'ordine logico-cronologico: ad esempio, la defunta nonna Ada commenta in diretta la lettura del suo diario da parte delle nipoti; e all'interno del manoscritto ci sono numerose prolessi, che smentiscono l'hic et nunc della scrittura diaristica. Insomma, Bianca Pitzorno non rinuncia affatto alla sua giocosità compositiva; al contrario, ammicca al lettore offrendo un ricco sottobosco di letture, fonti, rimandi letterari (alcuni confessati in una eterogenea bibliografia finale). Così i miti classici nel romanzo, legati alla carriera accademica di Ada, si sposano molto bene con reinterpretazioni del presente, sciogliendo ancora una volta il nodo cronologico-temporale del romanzo. Il passato appare plastico, e l'antichità (familiare, letteraria, mitologica) conversa con l'oggi in modo incontrovertibile. Qualche rimando alla sveviana presa di distanza dalla psicoanalisi, poi: Ada non si sottrae alla terapia, anzi!, la sua razionalità la spinge ad arrovellarsi su tanti sogni che l'analista ridurrà d'importanza (un po' paradossalmente). E ancora, qualcosa nella fantasiosa combinazione di vicende familiari e storiche fa pensare alla chiara e prolifica fantasia calviniana del Barone rampante, che si muove tra luoghi inventati (così Donora e Ordalè) e, in nome dell'elemento fiabesco, scorta il lettore in un mondo inventato ma verosimile, dove la fantasia è vera protagonista e al lettore non resta che lasciarsi trasportare.

GMGhioni



Avevamo intervistato Bianca Pitzorno al Bologna Children's Bookfair: leggi qui