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"Non più briciole" di Alessandra Arachi: non sempre è bene trovare il colpevole

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Non più briciole
di Alessandra Arachi
Longanesi, 2015
 


pp. 200
€ 14,90




Sgombrate la testa, se potete, prima di leggere questo libro, perché questo non è un libro facile, nonostante la “mole leggera” e l’italiano semplice. Lasciate stare i cliché sui “libri che parlano di anoressia e anoressiche”, perché questo non è un libro che parla di queste cose, o meglio le sfiora appena, per volare via con un volo di farfalla, quasi impercettibile, verso territori più profondi di una "elementare" diagnosi clinica. Non preoccupatevi se righerete la carta del libro o del vostro ebook-reader di qualche lacrima: questo non è un libro per cui non valga la pena anche di piangere.


Alessandra Arachi, l’autrice del celebratissimo Briciole, ritorna a 21 anni di distanza con questo Non più briciole. Lo abbiamo detto all’inizio: è un libro importante questo, che va affrontato con una buona dose, mi si consenta la parola, di coraggio. È la storia, in primis, di una madre, Marta De Bellis che si trova costretta ad affrontare una tragedia: sua figlia, Loredana, ragazza piena di brio, spigliata, quasi un genio a scuola, “cade” letteralmente risucchiata nel vortice dell’anoressia, con tutti i baratri di angoscia e disperazione che ne conseguono. La vicenda si dipana così da questo grosso problema che prende le fattezze di una sorta di bestia infida e sozza, che non si riesce a scacciare da casa propria. L’anoressia viene sviscerata, anche grazie all’aiuto di molti “psicologi tipo” (dalla scuola junghiana a quella lacaniana, dallo psicologo troppo comprensivo a quello freddo come un inquisitore) che vengono contattati dai genitori di Loredana per tentare di salvare la figlia.
Lo si legge con un groppo di considerevoli dimensioni in gola questo libro, perché è secco e tagliente, un libro “duro”, dato che non si vuole indorare la pillola. Ma se da un lato non si tace su cosa voglia dire avere a che fare con una ragazza che passa dall'essere “florida e sana di bellezza” ad avere “i denti traballanti, i capelli di stoppa e le scapole visibili ad occhio nudo, che quasi vogliono scappare dalla schiena”, dall’altro non si vuole minimamente (grande pregio della Arachi, del “suo lieve tocco”, molto più particolare di certe ricerche fine a se stesse) indulgere ad effetti ed effettacci, magari andando ad insistere sui risvolti più ributtanti della questione.
Questo, utilizzando ancora una volta il metodo della descrizione “a togliere”, non è certamente un libro “pulp”. Non lo è per un motivo molto semplice, eppure in una certa misura, quasi spaventoso: non si può aggiungere altro dolore ad una malattia, l’anoressia appunto, talmente squassante e totalizzante
Il lettore segue quindi le vicende della famiglia De Bellis che con fatiche immani, resistendo agli strali della sorte,  sembra quasi sul punto di crollare, di finire per parcellizzarsi sempre più nel proprio “dolore individuale”. Ma, essendo questo un libro anche sulla famiglia, i De Bellis si ritrovano e insieme, almeno apparentemente, riescono ad uscire da questa situazione.
La verità non sarà così rosea, eppure non è questo quello che conta. La cosa importante è che Non più briciole sia una specie di libro denuncia, denuncia che parte in sordina per detonare verso il finale della storia, sulla cronica “colpevolizzazione” delle madri, da parte di psicologi e psicoterapeuti, rese le principali “imputate” di tutti i disturbi particolari che capitano ai loro figli.
Alessandra Arachi, raccontandoci la storia di Marta, madre certamente “non perfetta” (e forse per questo tremendamente vera), è come se volesse dirci che sarebbe bello, tristemente bello, se tutta le colpe potessero essere addossate alle madri. Purtroppo non è così perché nessuno sa ancora “come si fa a curare l’anoressia”. Non c’è una cura, nel senso di cura generale di questa “malattia vile”. C’è la cura giusta per Loredana, per Viola, per Clio o per Susanna. C’è insomma la cura particolare per tutti, ma va ricercata con calma e pazienza, con estrema calma e pazienza.
Nel libro si può leggere pressappoco così: “ogni malattia ha il suo giusto medico”. L’importante è trovarlo quel medico, dice fra sé e sé mamma Marta. E chissà che anche noi, leggendo questo libro importante (lo voglio ripetere), non capiremo quanto “anche le briciole”, le cose piccole, le minuzie insomma contino nella vita e come sia troppo semplice rifugiarci dietro le grandi certezze senza se e senza ma e i colpevoli “usa&getta” che la società, e talvolta la comunità scientifica, ci offrono come estremamente facili e riduttivi capri espiatori.   
Talvolta, come in qualche libro giallo di grande pregio, è il colpevole quello a mancare, non il delitto.

Mattia Nesto