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"Lo spirito del Natale" di Marco Gionta

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Lo spirito del Natale
di Marco Gionta

Auralia Edizioni, 2014

pp. 218


Tutti noi siamo testimoni consapevoli in misura più o meno maggiore dello sgretolamento dei valori dell'etica, siano essi di matrice laica piuttosto che riconducibili a un sublime afflato mistico-religioso legato a tradizioni millenarie. Fra queste, rientra certamente a pieno titolo la celebrazione della Natività di Gesù, la cui vera essenza è sacrificata ormai da numerosi decenni sull'altare di un consumismo che occhieggia al paganesimo. Nondimeno, nelle civiltà in cui prevale storicamente il culto del Cristianesimo, almeno una volta l'anno gli uomini sono condotti a pensare all'esistenza di Gesù. Persone che non hanno mai pronunciato il suo nome, una volta l'anno offrono doni in suo nome.
Per questo motivo, come ci spiega l'autore, anziché dolersi per la crescente banalizzazione del Natale, sempre più percepito come un'incombenza talora affrontata con malcelato fastidio per via di tutti quei riti obbligati come l'acquisto dei regali e le riunioni di famiglia non sempre foriere di gioia e armonia, sarebbe forse più saggio meditare sui fatti che accaddero quel giorno, così come narrati dai Vangeli, per riscoprire il vero significato di tale ricorrenza e viverla al meglio.
L'epoca, che ha fatto da cornice alla nascita di Gesù, era avvolta dall'oscurità spirituale, a significare che l'individuo, non sapendo distinguere il Bene dal Male, si ritrovava puntualmente a scegliere il Male, considerato come l'unico viatico per la propria sopravvivenza. Come tutt'ora accade, il Male indossava i panni mendaci di un Bene fittizio e illusorio, chiamato ad assecondare le istanze egoistiche degli esseri umani. L'illusione di doversi aggrappare a un egoismo salvifico per sopravvivere ha tuttavia sospinto l'uomo verso il baratro dell'odio, della vendetta, della crudeltà e dell'intolleranza, che di fatto sono manifestazioni generate dalle pulsioni di morte e non dalla Luce della vita.
Gesù è venuto in questo mondo per insegnarci che esiste un'alternativa a questa non-vita a cui ci siamo inconsapevolmente auto-condannati. Come avevano profetizzato, anche con vari secoli di anticipo, alcune figure particolarmente evolute come Abramo, Confucio e Zoroastro, una pura e giovane donna avrebbe dato alla luce il figlio di Dio, e Cristo sarebbe giunto nelle vesti di un bambino.
L'amore, la tolleranza, l'umiltà, la fratellanza e la solidarietà rappresentano gli insegnamenti di Gesù che, ora come allora, ci permettono, se davvero lo vogliamo, di illuminare la nostra anima e di irradiare questa Luce su ogni creatura vivente che incrocia il nostro cammino.
Ora come allora, però, siamo spesso inclini a respingere questa Luce purificatrice che mal si concilia con i desideri malsani, le passioni violente, le ambizioni disoneste e le fantasie nocive saldamente avvinte a certi schemi comportamentali con i quali giustifichiamo le nostre scelleratezze in nome di un sedicente bisogno di non soccombere alla malvagità dilagante.
Come ci ricorda l'autore, la verità è che molte persone ancora oggi, pur dichiarandosi Cristiane, hanno allontanato questo bambino divino dalla propria porta. E a ogni modo, pur essendo nato per tutti, il Salvatore non avrebbe mai voluto dimorare in questi luoghi tenebrosi.
Gesù parla al cuore degli umili e dei puri di cuore, rinnovando il miracolo della Natività nel silenzio e non visto, nello stesso modo in cui nacque nella caverna, rammentandoci che l'unica vera umiltà non è quella che cerchiamo di mostrare attraverso la preghiera ma quella che portiamo con noi ogni giorno, nella nostra vita ordinaria.
Attraverso la pratica costante dell'umiltà, scaturiscono altre pregevoli qualità dell'anima come la gratitudine, la tolleranza e la capacità di ascolto. Quest'ultimo in particolare sembra essere stato fagocitato da un bisogno impellente di affermare la propria presenza nel mondo azzerando l'attenzione nei confronti degli altri.
Eppure, un'interazione armoniosa e gratificante con gli altri non può prescindere dalla volontà di mettere da parte le proprie opinioni, i preconcetti e il desiderio di parlare di sé. L'umiltà rappresenta la chiave di volta per una comunicazione autentica e priva di asimmetrie, dove il silenzio viene privilegiato al suono talora inutilmente vuoto delle parole.
A questo proposito, Marco Gionta cita l'esempio della Scuola Pitagorica, una compagine iniziatica aperta a chiunque fosse intenzionato a realizzare il fine morale della vita, a condizione di preservare il silenzio per cinque anni. Pitagora non permetteva a nessuno che non avesse superato questo noviziato di vedere il suo volto.
Anche in diversi monasteri trappisti dell'antichità, vigeva la regola del silenzio perpetuo, interrotto solo dalla preghiera e dal reciproco saluto dei fratelli nel momento in cui si incontravano.
Ora come ora, questa atavica importanza attribuita al silenzio risulta ancor più legittima e fondata se pensiamo alle frivolezze, alle maldicenze e alle mezze verità che caratterizzano gran parte delle conversazioni quotidiane. Spesso le parole vengono lanciate come proiettili con il preciso intento di accusare e ferire, e non per elevare e fortificare. Il silenzio, allora, diviene un rimedio prezioso, poiché ci impedisce di essere malevoli e superficiali. Inoltre, ci aiuta ad apprendere i rudimenti del servizio disinteressato, tenendo a bada il nostro ego.
Sfortunatamente, le nostre pulsioni meno nobili ci rendono abilissimi nel tacitare la coscienza al cospetto di coloro che soffrono o che si trovano in difficoltà, anche a costo di colpevolizzarli crudelmente per i momenti avversi che stanno attraversando. Il nostro timore, quasi sempre infondato, di doverci prodigare in chissà quali sacrifici che potrebbero scalfire la nostra libertà di azione, ci spinge a scansare in malo modo i nostri fratelli meno fortunati. Eppure basterebbe pochissimo per illuminare la loro vita e anche la nostra: un sorriso, una parola gentile o un piccolo gesto di incoraggiamento rappresentano un balsamo potentissimo per l'anima di chi soffre, un raggio di Luce che fende le nubi del loro tormento, e che al tempo stesso ci eleva poiché ci pone a contatto con il nostro Io Superiore.
Come ci ricorda saggiamente l'autore, il cuore umano ha fame di affetto, noi siamo stati creati per amare e per essere amati, e la durezza nei nostri confronti ferisce il nostro spirito nello stesso modo in cui il gelo tocca i fiori. La gentilezza, invece, è come un'estate calda che invade la vita e, con le sue proprietà nutrienti, stimola nell'animo la crescita di splendide qualità.
Contrariamente alla quasi totalità delle nostre azioni, che scaturiscono da una fredda pianificazione, la gentilezza promana in modo spontaneo dal cuore di colui che la pratica. Le persone gentili [...], che amano il proprio prossimo come un fratello, non sono consapevoli della profusione di amore, cortesia e disponibilità che elargiscono, [...] come aveva fatto Gesù, simbolo e testimone di una nuova era d'amore.

Marco Gionta, già redattore e speaker di Radio Vaticana nonché autore di vari libri sul mondo degli Angeli che ho avuto il privilegio di leggere e recensire, ci aiuta a riflettere sull'importanza del Natale come simbolo di rinnovamento interiore. La scrittura lieve e quasi musicale rende ancor più vero e sentito il percorso di questo nuovo viaggio introspettivo.

Il volume è impreziosito da numerose tavole che riproducono i capolavori più suggestivi dell'arte sacra rinascimentale.

Cristina Luisa Coronelli