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#Pnlegge2014 - Venerdì: al via la Mappa dei sentimenti

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© GMGhioni


La giornata del venerdì a Pordenonelegge ha una caratteristica: oltre ai consueti incontri, otto scrittori sono stati chiamati a intervenire su sentimenti universali (amore, amicizia, felicità, inquietudine, invidia, per dirne qualcuno), creando un racconto ad hoc e (quando vogliono) commentando con il pubblico. Un bell'esperimento, che impegna gli autori in un lavoro originale: il famoso spunto dall'esterno, per intenderci... Ma andiamo con ordine.

UN RISVEGLIO A SUON DI LÙBRICO O LUBRÌCO


Espressione giustamente sconvolta in un bel "no"
No, non sono impazzita: è che la mia mattinata a Pordenonelegge si è aperta a suon di grammatica: quando ho sentito che erano presenti Valeria Della Valle e Giuseppe Patota non ho potuto resistere! Un po' per attaccamento alle mie radici accademiche, un po' (tanto) per le simpatiche e competenti ospitate dei due a "La lingua batte" su Radio 3, mi sono precipitata al Convento di San Francesco, dove ho avuto una piacevole sorpresa: grammatica, etimologia, lessico e curiosità letterarie sono state trasformate in un "quizzone" per le scuole. I ragazzi, agguerritissimi, avevano lasciato gli smartphone negli zaini fuori, per non "vincere facile", e in effetti le prime risposte drammatiche hanno dato prova d'onestà.
I nostri linguisti preferiti non si sono persi d'animo, e anzi sono riusciti a distribuire più 'dantini' agli studenti che hanno poi vinto copie dei loro libri.

La cosa più sconvolgente? La passione con cui partecipavano anche i ragazzi della saletta esterna, che assistevano in streaming all'evento. Parrà retorico, ma ci credo: anche la grammatica può essere divertente; basta saperla trattare in maniera accattivante e senza bacchettare troppo!
Se vi state chiedendo se ho ceduto alla tentazione del libro, la risposta è: sì, chiaramente sì...


ISTRUZIONI PER LA FELICITÀ

Foto di © GMGhioni
Grande attesa per la presentazione del nuovo libro di Armando Massarenti, Istruzioni per rendersi felici (Guanda).  E d'altra parte, va detto che questo Pordenonelegge ospita numerosi filosofi, dalle impostazioni ben diverse (Regazzoni e Giorello ieri; Cacciari e Recalcati in serata).

Il famoso epistemologo italiano rintraccia molti punti in comune tra la filosofia antica e certe forme di meditazione contemporanee. In breve, ci toglie tanti pregiudizi filosofici legati da sempre all'insegnamento liceale; un esempio? Gli epicurei non erano degli edonisti, ma semplicemente erano filosofi fortemente materialisti, alla ricerca dell'equilibrio.
Un interrogativo inevitabile riguarda l'idea stessa di felicità: in cosa consiste? E quali sono i suoi rapporti con il bene comune? Perché in fondo la stessa idea di bene è continuamente messa in gioco dall'intervento di fattori esterni e non ponderabili:
L'uomo ha la vocazione alla felicità, ma i momenti veramente felici sono pochi. 
L'unica cosa che ognuno di noi può fare è pensare a come si interverrebbe in situazioni ben peggiori: è una strategia antica, ma funziona ancora oggi. Ci sono poi tentativi di trasformare la felicità in un bene misurabile, e qui si cita l'esperienza estrema del Buthan, che ha adottato una valutazione del benessere del popolo in base al FIL (Felicità Interna Lorda). Certo, questo è un caso ben particolare, ma pur sempre indicatore di quanto benessere economico non corrisponda direttamente con benessere interiore.
A volte, d'altra parte, basterebbe poco per farci sentire meglio; e Massarenti cita l'esperienza sempre drammatica delle code negli uffici in Italia: lì si dispiegano numerose dinamiche sociali di educazione e senso civico, che possono intaccare il nostro benessere quotidiano. Anche per questo occorrerebbe aumentare il senso civico delle nuove generazioni, per rialzarci da simili errori quotidiani: e la proposta di Massarenti è di portare la filosofia fuori dalle ore istituzionali di filosofia, per far toccare tangibilmente la pragmaticità della disciplina.


AMICIZIA E FELICITÀ FUORI DAI LUOGHI COMUNI

Marcello Fois - Foto di @GMGhioni
Ero molto incuriosita dalla mappa dei sentimenti, come dicevo all'inizio, e devo ammettere che il primo approccio in mattinata è stato sconvolgente: purtroppo arrivavo tardi per una sovrapposizione di eventi, ma ho fatto bene a infilarmi comunque nel tendone dove Marcello Fois stava parlando dell'inquietudine. Purtroppo ho perso il racconto, ma ho sentito Fois parlare di quanto l'inquietudine sia alla base della scrittura, e anzi sia l'unico vero motore che innesca la spinta narrativa. Quando alla scrittura, Fois non ha dubbi:
Lo scrittore ha il dovere ontologico di scrivere bene. E il lettore deve pretendere la stessa competenza che pretenderebbe da un cardiologo. 
Dunque, certi scimmiottamenti di stile giornalistico nei romanzi e, viceversa, uno stile troppo letterario nei quotidiani, sono da rigettare. La polemica serrata, scritta e letta  con uno stile affascinante e fluviale, difficile da trascrivere ma assolutamente conturbante, si scaglia anche contro i tanti «sacerdoti dell'autofiction», che fanno di tutto per cercare un consenso, studiano il pubblico e scrivono solo quanto può incontrare i gusti del mercato editoriale. Non da meno, la critica per chi vuole a tutti i costi entrare nel canone della letteratura; Fois conclude, con incredibile umiltà:
Se i romanzi che abbiamo scritto saranno letteratura, semplicemente ci sopravviveranno. 
E, in conclusione, il sentimento dell'inquietudine è per Fois imprescindibilmente legato all'atto narrativo:
Se rinunciamo a cambiare il mondo, allora è inutile che scriviamo.
Laura Pugno - Foto di © GMGhioni
Nel pomeriggio, è stata la volta dell'amicizia, raccontata da Laura Pugno. Il rischio di cadere nel banale o nel retorico era forte, ma avrei scommesso sull'autrice romana fin da quel giorno in cui aprii Quando verrai (leggi la recensione). Piuttosto riservata ma estremamente generosa (e credetemi, non è un'antitesi), Laura Pugno ha letto il suo "Sottacqua", racconto che si occupa di quel momento fragilissimo in cui un'amicizia di spezza, apparentemente senza motivo:
Ci si lascia, nell'amicizia, come nell'amore.
Nel racconto, i due protagonisti maschili aiutano Laura a prendere la distanze dalla materia trattata, e a dipanare con maggiore razionalità un tema fortissimo, che coinvolge tutti: quante volte le amicizie finiscono per mancanza di chiarimento? Certo che per allontanarsi senza chiarimenti, ci vuole una grande rabbia... Invece, l'amicizia «prosegue con le persone in cui ci riconosciamo».

La frase più bella in risposta a una domanda del pubblico:
Forse la letteratura è una sorta di telepatia con cui calarsi nella soggettività dell'altro.

Antonio Pascale - Foto di © GMGhioni
«Quando mi hanno telefonato, mi hanno detto: nessuno ha voluto la felicità, tocca a te!». Inizia con l'ironia Antonio Pascale, che da sempre ha una grande capacità performativa e decide di non leggere il suo racconto ma di... raccontarlo! Non è solo un gioco di parole, né un tentativo di essere originale: come dice Antonio, non ha fatto i compiti, e quindi deve rimediare sul momento.
In realtà, Pascale stupisce per la sua consueta visione di taglio del mondo: racconta la felicità isolandola in quattro momenti fondamentali della sua vita, dall'adolescenza al presente, toccando dalla felicità sessuale a quella amorosa e familiare. Il tutto, con raccordi, ammiccamenti tra autobiografia e finzione.
E quando alla fine dell'incontro gli chiedo se ci sia più felicità in una forma di manutenzione degli affetti o concedendosi delle attenuanti sentimentali, Antonio sceglie forse la manutenzione. E parte dalla canzone di Battiato, "La cura": bellissima, certo, ma lui non l'ha mai amata, perché pensare di dispensare una cura mette il soggetto in una posizione di superiorità, mentre il paziente non ha forza né capacità di agire. Molto meglio una modesta forma di manutenzione, che sani laddove può, in una forma di quotidiano accudimento.

La frase che più riassume la posizione di Pascale:
La felicità è un po' come l'amore: più la si invoca, e meno c'è... Molto meglio l'inquietudine... La felicità invece è quasi... tragica! 


CHE NE SARÀ DEL RACCONTO?


Serata pienamente letteraria, con le riflessioni di Giulio Mozzi e Rossella Milone nel ridotto del Teatro Verdi.

Si parte riflettendo sulle possibili ragioni dell'indifferenza editoriale nei confronti del racconto, difficile da vendere: innanzitutto, c'è una difficoltà di comunicazione. Come riassumere ai giornalisti ad esempio la sinossi in un tempo ragionevole? E poi c'è la discontinuità, che spesso pone il lettore in una situazione difficile da gestire, che richiede grande energia e attenzione nel lasciarsi trasportare da uno scritto all'altro.

Tante anche le difficoltà incontrate dallo scrittore di racconti: secondo Milone, è fondamentale che un racconto abbia forte intensità, tensione e significazione. E, d'altra parte, scrivere racconti è anche uno status menti. Infatti, per Milone:
Quando vieni dai racconti, scrivere un romanzo è come se facessi un trasloco. Devi organizzare le stanze.
Poi si viaggia nella storia editoriale del racconto, che in passato trovava la sua sede naturale nelle riviste e nei quotidiani. E, d'altra parte, la soluzione di vendere racconti separatamente è impraticabile per varie ragioni, non solo economiche.
Alla domanda su come salvare il destino editoriale del racconto, Mozzi non ha dubbi: l'editore deve investire in tanti romanzi che facciano buone vendite, per poi permettersi coi guadagni di dare anche respiro a collane di racconti, senza andare in perdita.
Tanti gli interventi del pubblico, con passione e urgenza di esprimere un parere che sembra urlare: salviamo il racconto! Certo, le proposte sono nebulose, e Mozzi ipotizza una eventuale agonia seguita dalla morte di questa forma narrativa. Ma la reazione del pubblico fa pensare che i lettori forti esistono ancora, e che la forma-racconto sopravviva in particolari e selettive forme di affezione.

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