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Simonetta Agnello Hornby presenta Il veleno dell’oleandro all’Italian Bookshop di Londra

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Dopo i suoi “racconti ai fornelli” (Un filo d’olio e La cucina del buon gusto), Simonetta Agnello Hornby ritorna, e riempie le librerie con un nuovo romanzo: Il veleno dell’Oleandro, uscito a febbraio per Feltrinelli. L’avevamo incontrata due anni fa a Siena, quando ci aveva raccontato la storia della monaca Agata (leggi qui), e ora la ritroviamo a Londra, sua seconda città, dove sabato 27 aprile ha presentato all’Italian Bookshop il suo ultimo libro. In dialogo con lei c’è Nicola Gardini, professore all’Università di Oxford e scrittore (Le parole perdute di Amelia Lynd, I baroni), che subito introduce il libro come “bellissimo, leggibilissimo, complesso”. “Disorienta come in un labirinto”, aggiunge,  – “e cioè ci fa perdere, ma all’interno di una struttura ragionata”. Sì, perché Il veleno dell’oleandro presenta un incredibile intreccio di storie e personaggi: le voci narranti di Bede e di Mara ci guidano tra i delicati equilibri di una famiglia siciliana, svelandocene a poco a poco il passato e i segreti.


La Agnello Hornby ripropone ancora una volta i suoi due temi tipici: la famiglia e il mistero. Ma ne introduce anche di nuovi, alcuni sconosciuti ai suoi romanzi come quello dell’anoressia. “Volevo parlare dell’inquietudine delle nostre vite”, dice l’autrice. “Sono tutti personaggi che vanno da un posto all’altro, da un compagno all’altro”. E di storie di inquietudini la Agnello Hornby ne ha sentite parecchie: per il suo lavoro di avvocato ha difeso minori e si è occupata di casi di violenze familiari.  Sabato ci  ha rivelato inaspettatamente che presto abbandonerà la professione forense e, poiché –  dice lei – non potrebbe mai scrivere a tempo pieno, si occuperà della creazione di una filiale Italiana della Global Foundation for the Elimination of Domestic Violence. Per pubblicizzare l’attività della fondazione e per finanziare il progetto ha scritto un libro sulla violenza domestica, insieme a Marina Calloni dell’Università Milano-Bicocca ed edito sempre da Feltrinelli. Si intitola Il male che si deve raccontare. Per cancellare la violenza domestica, il ricavato delle vendite sarà interamente devoluto alla fondazione e uscirà tra pochissimo:  mercoledì 8 maggio.

Non solo inquietudini, ma anche tabù e tra gli altri – ci racconta – “c’era n’era uno che volevo smentire: quello della donna che sta con un ragazzo più giovane di lei”. La storia, infatti, si svolge accanto al capezzale della morente Anna, i cui rapporti con Bede, uomo affascinante e legato alla famiglia da molti anni, sono estremamente complessi. Tutto il libro gioca su un duplice binario: è un romanzo sulla soglia tra la vita e la morte, tra maschio e femmina, tra dentro e fuori. E Bede – come dice giustamente Gardini – è la figura conturbante che fa da filo di Arianna. È un personaggio liminale anche lui, nella sessualità e nella sua condizione di instabilità. La Agnello Hornby confessa che inizialmente il romanzo era molto più incentrato sul personaggio di Bede, tanto da esserne il protagonista che dava il titolo al libro. Ma Bede non poteva sapere tutto ciò che avveniva nella trama, e quindi l’autrice ha dovuto inserire un altro personaggio e un altro punto di vista, quello di Mara. Mara e Bede formano una coppia narrativa, ma non sono protagonisti. L’unico protagonista del libro, come rilevato da Gardini, è Pedrara: il luogo dove si svolge la storia e che l’autrice fa coincidere con Pantalica (SR). Come sempre la penna dell’Agnello Hornby eccelle nelle descrizioni: della villa pieni di passaggi segreti, delle cave che nascondono occhi che sembrano lucciole, delle pozze d’acqua e degli oleandri. “Pantalica”, ci spiega la scrittrice,  “è l’unico posto della Sicilia dove non sono andati gli invasori. È raro per la Sicilia, che è stata colonizzata praticamente da tutti. E lì ci sono cave risalenti all’età del Bronzo che non si vedono, nascoste dalla vegetazione”. Il  luogo ideale per nascondere un mistero.

Il veleno dell’oleandro è un libro concretissimo e molto caratterizzato, a volte fino all’esasperazione. Probabilmente la trama avrebbe potuto essere ambientata in un altro periodo, se non fosse per quegli “sgambetti di modernità” – come li chiama Gardini – che spuntano inaspettati tra le pagine: iphone, blackberry, mail e sms che si inviano i personaggi, … .“E se non fosse per gli immigrati” aggiunge la scrittrice. Ecco, Il veleno dell’Oleandro parla anche di immigrazione. E allora sorge il dubbio che ci sia un po’ troppo per essere un unico romanzo: problemi familiari, bisessualità, omicidi di stampo mafioso, anoressia, violenza domestica, immigrati sfruttati.  Se l’autrice voleva parlare delle “inquietudini della nostra vita” c’è sicuramente riuscita, aggiungendone forse un po’ più del necessario, col rischio di appesantire l’opera e il lettore. Probabilmente la stessa autrice ne è consapevole: “Il libro è stato scritto molto velocemente, ed è stato difficile non perdere il lettore. So di avergli chiesto tanto”, ammette davanti al pubblico della libreria, “chiedo che si fidi di me: alla fine l’enigma si risolverà!”.
Ma all’ultimo romanzo della Agnello Hornby manca quella sottile ironia, che - forte della connotazione territoriale  - faceva affezionare ai personaggi dei suoi primi due romanzi. C’è tuttavia qualcosa della Mennulara anche qui: la struttura innanzitutto – un racconto che sviluppa la storia in un arco di tempo limitato andando avanti e indietro tra passato e presente - ; l’elemento misterioso legato a un oggetto – lì i vasi, qui le pietre - ; il funerale e il disvelamento dell’eredità come momenti decisivi dell’intreccio;  la presenza di un personaggio factotum,  proveniente da uno strato sociale inferiore che si lega alla famiglia ricca e ne conquista la fiducia. Nonostante ciò, Il Veleno dell’Oleandro è un libro che ci sentiamo di consigliare, non fosse altro che per la sua estrema godibilità e per la splendida ambientazione della storia.
La Agnello Hornby confessa che vorrebbe imparare a creare un personaggio maschile come protagonista di un suo romanzo, dato che fino ad ora ha sempre avuto delle eroine. E dato anche che nel suo ultimo romanzo il protagonista maschile è una figura troppo borderline per incarnare un’alternativa di genere alle donne che sono la Mennulara, Costanza della Zia Marchesa o la monaca Agata. Noi glielo auguriamo di avere prima o poi un “figlio maschio”, e di continuare a crescere nel suo percorso di scrittura creativa. Le auguriamo soprattutto buon lavoro e, per aiutare il progetto Eliminate Domestic Violence, andremo sicuramente in libreria la prossima settimana a comprare una copia del suo nuovissimo libro, Il male che si deve raccontare.