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L'utopia di una vita tranquilla

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La vita tranquilla
di Marguerite Duras
Universale Economica Feltrinelli, 1998

Traduzione di L. Guarino
pp. 158
€ 6.20


Esiste davvero una vita tranquilla? Vivere da sempre nella tenuta delle Bugues, in piena campagna francese, con la propria famiglia, e condurre una vita agreste a contatto con la natura parrebbero ottime premesse. Ma la famiglia di Françous è fuori dai canoni tradizionali: la narrazione si apre con lo zio Jerome picchiato a sangue dal nipote (nonché fratello di Françous) Nicolas e lasciato ad agonizzare in casa, con l'unica preoccupazione che le sue grida di dolore non attirino l'attenzione dei vicini di tenuta. Una scelta spietata, certo, motivata (ma non giustificata né commiserata dall'autrice, totalmente assente) dalla vita dissipata di Jerome, che ha speso e perso al gioco i soldi di famiglia, e stretto una relazione con Costance, moglie di Nicolas. Dunque, penserà il lettore, si tratta di un delitto passionale? Nient'affatto: da mesi infatti Nicolas non guardava nemmeno Costance, lì alla tenuta solo in qualità di madre del piccolo Noel. Le motivazioni che spingono Nicolas a quel gesto di feroce violenza sono varie, ma tutte appuntabili al suo onore e all'istigazione della sorella Françous che, con apparente ingenuità, segnala a Nicolas la relazione adulterina di zio e moglie, relazione sotto gli occhi di tutti ma volutamente ignorata. 
Viene da chiedersi quale ragione abbia mosso Françous, che ha l'impegno del suo lavoro nei campi e un amore bruciante anche se dichiarato solo implicitamente per un lavorante, Tiène. Il ragazzo, giunto alla tenuta per caso, senza apparenti motivazioni, e destinato a rimanere per un tempo imprecisato, ha intrecciato con Françous una relazione strana, tutta inespressa a parole, senza promesse né dichiarazioni sentimentali:


"Gli ho domandato se mi trovava bella. Se mi avesse trovata bella, avrei potuto credere che restava perché ero una ragazza desiderabile, ma neanche a questo ha risposto. Non potrebbe mai dirmi che sono bella, ovviamente, ma che gli piaccio, sì. Se avessi questa piccola certezza, mi sembra che potrei conoscerlo meglio, Tiène, invitarlo a partire dal mio volto. Ma non me l'ha mai detto, e neppure che mi ama. Mi prende fra le braccia e restiamo abbracciati sul suo letto. A quel punto non faccio più domande. Non possiamo più parlare. Il non sapere, fra noi, si trasforma lentamente. Lo sentiamo dissolversi e mutarsi in un'intesa che ci paralizza. Fa bene a farmi tacere, lo sento perfettamente. Non so neanche più perché gli ho fatto tante domande".

Allora per quale ragione denunciare Jerome e Costance? Per invidia, in parte, della loro semplice felicità; e soprattutto per troppo amore per Nicolas, fratello da sempre protetto, con una morbosità sempre solo allusa ma mai esplicitata. Il sentimento per Nicolas si accentua quando la partenza di Costance lascia Françous ad occuparsi del nipotino Noel, e quando alla tenuta torna Luce, vera amante di Nicolas. 


Tuttavia, non si pensi che il romanzo della Duras sia incentrato su un desiderio incestuoso inconscio; il vero e proprio perno della narrazione è questa ricerca inesausta ma pacata di una tranquillità polverosa, ma sostanzialmente rassicurante. Di primo acchito parrebbe strano che a cercarla sia un io narrante ventiseienne, ma questa necessità si comprende via via che si delinea la vita di Françous. Françous è sempre data per scontata: perno della casa, del lavoro, dei genitori anziani, del nipotino, del fratello,... Non meraviglia dunque che tutta l'incertezza della relazione con Tiène sia l'unico fattore di possibile cambiamento su cui Françous non ha alcun potere: la sua partenza potrebbe essere improvvisa, come improvviso potrebbe nascere un sentimento per un'altra donna. 

Solo una doppia tragedia smuove in Françous qualcosa: un desiderio insopprimibile di conoscere sé stessa. Per questo la protagonista si allontana come non ha mai fatto dalla tenuta, parte e va a vedere il mare, per la prima volta in vita sua; non sceglie un luogo di villeggiatura, ma un paesino in ottobre, poco frequentato, dove evitare nuove conoscenze e meravigliarsi, anzi, di riscuotere curiosità e interesse negli uomini della pensione. Ma Françous è impegnata a un incontro che davvero innescherà un cambiamento: l'incontro con sé stessa. Splendide e molto introspettive le pagine della seconda parte del romanzo: dopo essersi scoperta diversa davanti allo specchio, la protagonista si avvia alla progressiva presa di coscienza di sé, scavando nei propri sentimenti e analizzando criticamente tutto, compreso il suo sentimento per Tiène. Sono passi lenti, lenti quanto la tranquillità da perseguire, passi che oscillano tra il disfattismo di abbandonarsi al flusso del tempo e del destino e il desiderio pacato ma presente di indagarsi.

Nella terza e ultima parte del libro, il lettore vivrà da vicino il rientro di Françous e il cambiamento alluso per il futuro. Sono pagine di grande introspezione, e ogni pericolo di lentezza è sconfitto dalla vena narrativa di Marguerite Duras. La scrittrice, meno sperimentale che nei suoi L'amante e Occhi blu capelli neri, preleva dalla sua consapevolezza scrittoria le doti di grande affabulatrice per tempi lunghi, distesi, complessi neigli abissi psicologici dei personaggi. Ne deriva un'opera singolare, di grande potenza, tradotta con gusto e attenzione lessicale. Un gioiello da riscoprire.

Gloria M. Ghioni