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CriticaLibera: Libro mio, quanto mi costi!?

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Composizione oscena di velleità pubblicanti
"Ho scritto un libro". Una delle frasi che da quando ho creato CriticaLetteraria sento più spesso dopo la stretta di mano. Alternativa? "Sai, il mio amico Tizio ha scritto un libro". Poi si passa alla fase B: "Mi piacerebbe molto fartene avere una copia... Sai, il suo editore è piccolo, gli ha fatto ritirare una vagonata di copie e adesso lui/lei non sa che farne". Sottobicchieri? Omaggi ai parenti? Self-promotion fuori dagli ipermercati? Cerca, giustamente, di attivare il passaparola tra amici, critici, siti internet, social network, patina il suo trentadue denti dopo una passata di bicarbonato, impomata quel po' di autostima a suon di cocaina (più o meno simbolica), e parte con l'autopromozione, illuso di poter fare il miracolo, il migliaio di vendite al giorno e, per gli utopisti incalliti, un picco in borsa. E tutto da una settimana all'altra, chiaro, perché il valore di quel libro non può passare sotto silenzio, è troppo bello-innovativo-originale-sperimentale per non essere subito apprezzato. Sogni di bandelle pubblicitarie che segnalano la quinta ristampa in tre giorni, con un numero di zeri spropositato a numero di copie vendute. Record. L'autore cerca il record: in fatto di tempi, di incassi e, per gli ambiziosi, di valore letterario (1). Perché molto spesso, diciamocelo, l'aspirante autore è un po' come un bambino davanti al luna-park: vuole lo zucchero filato mentre ancora è in preparazione, e ignora che mangiarne troppo può dare carie ai denti. Così per la pubblicazione. La vuole subito, e non bada alle conseguenze pratiche, a quelle che sembrano sterili, vuote e soprattutto riprovevoli per un artista. Un esempio? Non bada ai prezzi, vuole tutto e subito

Un po', okay, è colpa delle leggende metropolitane: scusa, ma non sai che Svevo si è autoprodotto? E Saba? Idem. Persino Moccia, e guarda oggi quanto vende! Queste frasi, buttate così a caso, mi fanno decisamente innervosire. Innanzitutto, un errore di immodestia: ma con che presunzione ti accosti a Svevo o Saba (e potremmo aggiungere anche Moccia, a suo modo genio del mercato, e sottolineo del mercato)? E poi, in secondo luogo, contali questi casi: ti accorgi o no che stanno sulla punta delle dita (in Italia potremmo aggiungere di una mano sola)?
Bene, mettiamo pure che questo non fermi il nostro autore, e che scelga la via dell'editoria a pagamento  per vedere il proprio libro pubblicato quanto prima. Qualche tempo fa, nel campo regnava il massimo della follia: mancavano distribuzione, pubblicità, editing, e addirittura in alcuni casi gli autori più faciloni si vedevano stampare i propri malloppi senza ISBN! Ora la giungla sta assumendo, volente o nolente, qualche regolamentazione in più, ma si sono moltiplicate (casualmente?) le note in dimensione 3 a pié di pagina dei contratti. E poi fioccano gli editing improvvisati, quelli che si fanno pagare 16 € a cartella (giuro, ho visto con i miei occhi!) per sbagliare l'ortografia, i nomi dei protagonisti e giocare alla roulette russa con la consecutio temporum. Poi, gli accordi per il numero di copie (e qui viene il bello): qualche anno fa andava molto di moda che tu, autore, ti ritiravi qualche centinaio di copie da distribuire autonomamente; le pagavi un po' meno, certo, e te la cavavi. Le conseguenze?

... Delirio: post-pubblicazione a pagamento [tragicomici effetti raccolti per pietà]...
 Ho amici che, durante i traslochi, hanno visto ingiallire scatoloni interi di libri, che mi raccontano quanto la sciatalgia abbia fatto venire in odio persino la copertina del loro libro... 
Un bicchiere di rosso, una musica soffusa e una pupa affianco sul divano: corteggiamento a buon punto quando... il libro! Che compaia tra i cuscini del divano o in un discorso, ecco il tarlo! E così l'autore novello inizia a parlarne, e la pupa si scoccia dopo la prima mezzora di discorsi autoreferenziali, tristissimi tirate sull'ingiustizia del mondo, e se ne va.
All'autore non resta che passare all'altra fase: comprare giacche con tasche straordinariamente capienti, zainetti dagli scomparti nascosti: perché ci vuole decenza, non si può esibire del tutto il libro, no? Ma quelle tre, facciamo quattro non-si-sa-mai, copie bisogna pur portarsele dietro! Mettiamo, un viaggio in treno un po' lungo, un professore universitario o uno-che-ne-sa che è lì per caso, e si parla, e salta fuori del libro... Vuoi non potergliene dare una copia? Il fatto, poi, è che quelle tre-quattro copie mediamente l'autore novello se le porta dietro per qualche anno, le sostituisce perché gli angoli si sono spiegazzati, un rivolo di pioggia ha sbiadito la copertina,... E le copie sono sempre lì, lì che lo guardano, si alza alla mattina e sul tavolo, di fianco alla tovaglietta, un paio di copie pesano, disordinate e orfane, pesano con il loro codice a barre non passato, con le loro pagine compattate tanto bene da non essere mai state aperte o toccate, pesano per assenza di commenti a margine e per quelle dannate cento-e-passa copie gemelle infilate ovunque, fino al parossismo. La giornata dell'autore novello parte triste, sconsolata, gli ricade il mezzo savoiardo inzuppato e gli occhi, pieni di lacrime amare, restano fissi su quei dannati titoli... E la domanda è sempre la stessa, dalla mattina alla notte: me ne libererò mai??? Perché quei libri sono un'appendice di lui, buttare tutto nel cestino inquinerebbe. Anche se, tutti quei cassonetti bianchi per la carta... 

... Però ci sono quei libri che non ti pubblicherebbe nessuno... 
E qui diventa difficile trovare obiezioni. Quando il nostro autore è un espertone di licheni, un antropologo che studia la popolazione XY africana, o un filologo che propone un'edizione critica rarissima di PincoPallo... Ma chi ti pubblica? Il numero dei lettori interessati (o potenzialmente interessati) alla tua opera è ristretto, per un insieme di motivi: specializzazione allo stremo, pre-requisiti di conoscenza, o perché - ammettiamolo, dai - il libro è proprio un mattone. Magari l'autore lo ammette per primo, ma gli serve per "far numero", tra le pubblicazioni da portare a qualche benedetto concorso di lavoro... Può essere paradossale sborsare un "contributo" per pubblicare un libro che dovrebbe darti poi lavoro, ma diciamo che potrebbe essere un investimento sul futuro. E qui, se non si tratta di salasso economico, potrei anche capire l'editore, col rischio del reso, il pagamento di un ISBN che poco frutterà, ecc... Mi chiedo: cosa cambierà con l'e-book? Forse per simili micro-realtà sarà lo sbocco normale e più conveniente, sia per autore che per editore?   

... Che, poi, diciamocelo, manca la soddisfazione ...
Ma tornando alle opere creative, diciamocelo, caro autore che hai pagato, ma non ti manca il gusto di qualcuno che investa sulla tua opera? Sarò ancora idealista in questo, non so, ma ho anch'io i miei scartafacci nel cassetto, e penso che resteranno tali finché non troverò un editore che creda in me al punto da rischiare con e su di me.(3) La soddisfazione di vedere il proprio nome in copertina e sapere quanto sudore buono, sofferenza e fatica c'è su quelle pagine non viene un po' intaccata se aggiungo l'odore delle banconote spese? E qui lascio aperto il pensiero. Ditemi voi, se e quando siete stati o vi fareste pubblicare a pagamento... Io? Mi sa proprio di no. E per questo vi risparmierete un po' di libracci col mio nome!

... E con CriticaLetteraria come la mettiamo?...
So che molti di voi si chiederanno: e allora non fate recensioni di libri pubblicati a pagamento? Sappiate che non è mai una scelta facile, in redazione abbiamo posizioni piuttosto diverse, ed è vero che generalmente la qualità cala più ci avviamo nella sfera dell'editoria a pagamento ma... Sul sito vogliamo dare spazio ai libri, ovvero ai testi: dunque non possiamo fermarci al marchio in copertina. Una possibilità la diamo a tutti: capita di trovare perle anche quando/dove meno ce lo potremmo aspettare... Spesso non accade, ma il nostro "risollevarci dal menefreghismo letterario" non comprende pregiudizi... 

Gloria M. Ghioni


(1) Va aggiunta per onestà e per una risata in compagnia che ho un caro amico, talentuoso a mio parere, che va assurdamente controcorrente. Ha pubblicato un paio di titoli per editori che non hanno neanche una redazione, tiene le sue copie a casa, su un registro segna parsimoniosamente ogni copia venduta, con lo stesso dispiacere di perdere un figlio. Mi guarda e, ogni volta, sospira: "Chissà cosa ne faranno, poi, se lo tratteranno bene". Non vuole recensioni e non cerca complimenti. Però - e qui casca come tutti gli altri - è convinto che scopriranno il suo valore dopo la morte. E sarà un capolavoro postumo. Ognuno ha le fantasie di successo che si merita, ottimismo più ottimismo meno... 
(2)  magari un Tavernello, perché gli artisti spesso hanno palati fini, ma non vogliono darlo a vedere per non rischiare di passare per snob e poi, dai, per un po' devono amortizzare i costi della pubblicazione.
(3) n.d.a. In realtà, gli scartafacci resteranno tali al 90% per picchi ipercritici e crolli di autostima, ma consideriamo realizzabile l'ipotesi sopra, tanto per chiacchierare un po'...