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La lezione del Genio: sopravvivere si può

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Il Genio
di Harold Bloom
BUR, 2002

pp. 922
€ 12,OO

 Il lettore già esperto di Harold Bloom conoscerà sicuramente opere come Il canone occidentale (The Western Canon) e Shakespeare: l’invenzione dell’uomo (Shakespeare: the Invention of the Human) nelle quali il critico letterario americano riconosce un numero di ventisei scrittori come i più grandi di tutti i tempi fra cui campeggia il bardo, il più alto esempio di mente creativa.
 Il Genio (Genius: a Mosaic of One Hundred Exemplary Creative Minds), l’opera che intendo recensire, offre una prospettiva diversa dal consueto rigore di Bloom. In essa egli si interroga su che cosa sia il genio e propone cento nomi di scrittori che hanno fatto la Letteratura. La lettura de Il Genio rappresenta una sfida ambiziosa per il lettore che vuole addentrarsi nella complessità della storia letteraria dalle origini alla contemporaneità. Un ampio arco cronologico lungo ben venticinque secoli, fitto di poeti, romanzieri, drammaturghi, persino gli autori della Bibbia sono annoverati in questa densa carrellata. Di carrellata si tratta, perché Bloom non fornisce informazioni dettagliate ed esaurienti sui nomi citati, questo presuppone, pertanto, che il lettore conosca già i personaggi selezionati, che ne abbia familiarità, allo scopo di comprendere le ragioni per cui Bloom decide di inserirli nel firmamento del Genio.
Come l’autore afferma, i testi che hanno fornito un modello per Il Genio sono The Literary Character of Men of Genius di Isaac D’Israeli, On Heroes, Hero-Worship and the Heroic in History di Thomas Carlyle, Representative Men di Ralph Waldo Emerson e Vite parallele di Plutarco. Si tratta di opere nelle quali vengono analizzate le figure di grandi uomini sia di lettere che non, adottando una prospettiva che permetta di avvicinarsi al concetto di “genio”, “eroe”, “personalità”. Il taglio dato da Bloom al suo lavoro è, invece, prettamente letterario, con una strutturazione che affonda le radici nel pensiero ebraico, più precisamente quello cabalistico. Bloom, che è di religione ebraica ed ha dedicato parte dei suoi studi alla cultura israelita, individua un modello attraverso il quale suddividere gli scrittori contemplati ne Il Genio. Tale modello si basa sulle dieci sefirot (singolare sefirah) che, secondo la Cabala, la dottrina esoterica ebraica, rappresentano gli attributi di Dio, intimamente legati alla natura divina e a quella umana nella sua accezione primordiale, quindi, antecedente la Caduta. Da questo punto di vista, dunque, gruppi di scrittori vengono identificati da Bloom con caratteri particolari assimilabili alle qualità divine, a seconda della loro vicenda biografica e letteraria.
Il testo è suddiviso in dieci sezioni che portano il nome di una sefirah, comprendenti un numero di scrittori che per motivi di spazio non elencherò interamente in questa sede. Ciascuna sefirah presenta due sottoinsiemi di cinque che Bloom chiama “lustri”. Di seguito i raggruppamenti in sefirot e tra parentesi alcuni autori non in ordine cronologico, così come sono elencati da Bloom:

Keter: la corona, chiamata anche Eyin “il nulla”. Essa è il tutto e il niente e, secondo Bloom, rappresenta quei geni assoluti, il cui valore è al di sopra di ogni cosa, come Shakespeare, Milton e Virgilio.
Hokmah: la saggezza. Bloom riconosce tale virtù a figure religiose come San Paolo e Maometto, ma anche a scrittori quali Samuel Johnson e Thomas Mann.
Binah: l’intelligenza attiva. Tra i suoi esponenti incontriamo Kafka, Proust e alcuni drammaturghi innovativi come Molière e Pirandello.
Hesed: il patto d’amore (l’Alleanza). Bloom associa autori che ironizzano sull’amore come John Donne e Swift ai cantori di un amore più penoso come le sorelle Brontë e Virginia Woolf.
Din: il giudizio severo. Con questa sefirah si identificano i poeti visionari americani come Emily Dickinson e T. S. Eliot, nonché i Romantici tra cui Wordsworth e Leopardi per la loro carica immaginativa.
Tiferet: la bellezza. Bloom sceglie alcuni poeti dell’estetismo quali Swinburne e i Rossetti e i Simbolisti francesi come Baudelaire e Rimbaud.
Nezah: la vittoria di Dio, l’eterna resistenza. In questa categoria convivono Omero e altri due “epici”, il portoghese Camões e Joyce, nonché geni come Stendhal e Hemingway.
Hod: lo splendore dotato di forza profetica. Poeti-profeti come Walt Whitman e García Lorca e romanzieri quali George Eliot e Iris Murdoch.
Yesod: forza generatrice. Tra i vari vi sono vitalisti come Flaubert, Borges e Calvino, per i loro esiti nel fantastico, ma anche la forza profetica di Blake e la carica istintuale di D. H. Lawrence.
Malkut: il regno. L’ultima sefirah, attraverso la quale si possono raggiungere le altre. In questa caetegoria Bloom mette insieme scrittori molto diversi ma ugualmente uniti nel generare consapevolezza: Balzac, Dickens, Paul Celan e l’afroamericano Ralph Waldo Ellison.
           
Veniamo ora all’idea di genio, che secondo Harold Bloom, è legata al concetto di autorità, parola derivante dal latino auctoritas che, a sua volta, proviene dal verbo augere, ovvero “aumentare”. L’autorità, quindi, presuppone un accrescimento delle nostre conoscenze, obiettivo che Bloom si prefigge con questo libro, ovvero stimolare nel lettore l’apprezzamento di cento illustri personalità. Bloom promuove una sorta di culto del genio, favorendo, così, l’ammirazione per i personaggi descritti. Uno dei significati della parola latina genius è, infatti, quello di “generare”, “far nascere”, instillare qualcosa in chi ci succede. A tale proposito, Bloom cita il passo conclusivo di Representative Men di Emerson, un monito per le generazioni future a seguire le orme dei loro predecessori: 
“Il mondo è giovane: i grandi uomini che ci hanno preceduto ci chiamano affettuosamente. Anche noi dobbiamo scrivere Bibbie, per riunire ancora i cieli al mondo terreno. Il segreto del genio sta nel non lasciare che esistano finzioni; nel comprendere a fondo tutto ciò che conosciamo […]”.

Emerson è uno dei pensatori amati e seguiti da Harold Bloom il quale si ispira al celebre saggio “Self Reliance” dove il filosofo afferma che l’anima dell’uomo è della stessa sostanza del divino: Dio, il genio, la perfezione, è dentro di noi, da qui la totale fiducia in noi stessi. Le posizioni di Emerson furono dibattute, giudicate troppo ardite e lo stesso scrittore definito “un eretico cristiano”. Questi estremismi non riguardano Bloom che rimanda il lettore ad Emerson al solo scopo di sviluppare, in qualche modo, la nostra parte migliore ed attivare ciò che di più arcaico abita i meandri della nostra coscienza. Bloom non si propone certo di scoprire i geni del futuro, ma ci sprona ad esplorare le vite dei grandi uomini da lui descritti con l’intento di renderci più consapevoli.
Il genio ci permette di sopravvivere agli scompigli del presente, la stesura del libro, infatti, iniziò una settimana dopo l’evento che ha spazzato via le sicurezze dei nostri giorni, l’11 settembre 2001. Muto davanti alle ceneri del World Trade Center, Harold Bloom fa parlare le imprese di illustri uomini di lettere, le cui opere rimarranno per sempre immortali, perché, come egli scrive: “Se esiste un’immortalità laica, appartiene al genio”.


Martina Pagano