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Pillole d'autore Eugenio Montale

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Nella poesia di Eugenio Montale Xenia I e II, sezione inaugurale di Satura (1970) in memoria della moglie, segnano uno smottamento. La tensione espressiva, che aveva supportato la ricerca dell’assoluto o almeno della subitanea illuminazione del mondo al di là del muro, si stempera nel lessico e nella brevità della composizione strofica. Ne risulta una poesia più affabile, senza perdere in efficacia rappresentativa e in testimonianza di una inappagata (e forse inappagabile) sete di trascendenza. 
Da Tutte le poesie, Mondadori 1984, scegliamo da Xenia I i componimenti che ci sembrano più significativi.



1
Caro piccolo insetto
che chiamavano mosca non so perché,
stasera quasi al buio
mentre leggevo il Deuteroisaia
sei ricomparsa accanto a me,
ma non avevi occhiali,
non potevi vedermi
né potevo io senza quel luccichio
riconoscere te nella foschia.
2
Senza occhiali né antenne,
povero insetto che ali
avevi solo nella fantasia,
una bibbia sfasciata ed anche poco
attendibile, il nero della notte,
un lampo, un tuono e poi
neppure la tempesta. Forse che
te n’eri andata così presto senza
parlare? Ma è ridicolo
pensare che tu avessi ancora labbra.
3
Al Saint James di Parigi dovrò chiedere
una camera ‘singola’. (Non amano
I clienti spaiati). E così pure
nella falsa Bisanzio del tuo albergo
veneziano; per poi cercare subito
lo sgabuzzino delle telefoniste,
le tue amiche di sempre; e ripartire,
esaurita la carica meccanica,
il desiderio di riaverti, fosse
pure in un solo gesto o un’abitudine.
4
Avevamo studiato per l’aldilà
un fischio, un segno di riconoscimento.
Mi provo a modularlo nella speranza
che tutti siamo già morti senza saperlo.
5
Non ho mai capito se io fossi
il tuo cane fedele e incimurrito
o tu lo fossi per me.
Per gli altri no, eri un insetto miope
smarrito nel blabla
dell’alta società. Erano ingenui
quei furbi e non sapevano
di essere loro il tuo zimbello:
di essere visti anche al buio e smascherati
da un tuo senso infallibile, dal tuo
radar di pipistrello.
13
Tuo fratello morì giovane; tu eri
la bimba scarruffata che mi guarda
‘in posa’ nell’ovale di un ritratto.
Scrisse musiche inedite, inaudite,
oggi sepolte in un baule o andate
al màcero. Forse le riinventa
qualcuno inconsapevole, se ciò ch’è scritto è scritto.
L’amavo senza averlo conosciuto.
Fuori di te nessuno lo ricordava.
Non ho fatto ricerche: ora è inutile.
Dopo di te sono rimasto il solo
per cui egli è esistito. Ma è possibile,
lo sai, amare un’ombra, ombre noi stessi.