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CriticARTe - La bellezza di Melozzo

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La bellezza di Melozzo

MELOZZO DA FORLÌ. L’umana bellezza tra Piero della Francesca e Raffaello
Forlì, Musei di San Domenico, 29 gennaio - 12 giugno 2011
A cura di Antonio Paolucci, Daniele Benati e Mauro Natale


Catalogo Silvana Editoriale (384 pp., 35€)

Forlì rende omaggio al suo artista più famoso, probabilmente meno noto al grande pubblico rispetto ai sommi maestri del Rinascimento, ma altrettanto degno di essere annoverato tra i grandi.
Ne1l’uso della prospettiva, Melozzo sta accanto al "monarcha" Piero della Francesca e agli altri artisti "famosi e supremi", i "quali sempre con libella e circino lor opere proporzionando a perfection mirabile conducono. In modo che non humane, ma divine negli occhi nostri si rappresentano. E a tutte lor figure solo el spirito par che manchi. 
Così, nel 1494, Luca Pacioli definisce l’opera di Melozzo e forse più di altre, queste parole racchiudono il senso di questa mostra: Melozzo ha saputo coniugare la prospettiva matematica pierfrancescana alla grazia e alla bellezza che caratterizzerà l’opera di Raffaello.
L’esposizione vuole contestualizzare l’opera dell’artista forlivese affiancando il suo limitato corpus di opere mobili ai lavori di altri grandi maestri, mostrando la formazione, i contatti con gli altri artisti del suo tempo, le reciproche influenze e l’influsso di Melozzo nella storia dell’arte successiva.
Melozzo degli Ambrogi (1438-1494), nativo di Forlì, si forma sotto le influenze della Scuola Ferrarese e padovana, soprattutto del Mantegna (in mostra con una stupenda Sant'Eufemia del napoletano Museo di Capodimonte), dal quale desume l’attenzione per la prospettiva e per gli scorci prospettici e la monumentalità delle figure.
Ad Urbino, alla corte di Federico da Montefeltro, entra in contatto con Piero della Francesca, Bramante, Laurana, Pedro Berrugete, perfezionando lo studio prospettico con la misura matematica dello spazio e con l’uniformità spaziale attraverso la luce e l’attenzione minuziosa dei dettagli, tipiche della pittura fiamminga. Uno dei massimi esempi del clima urbinate è la Madonna di Senigallia di Piero della Francesca, restaurata per l’occasione, in cui la luce proveniente dalla finestra nel corridoio sullo sfondo unifica e rende vividi personaggi e oggetti.
A Roma, negli anni’70 del Quattrocento si dedica ad opere devozionali, come i suoi primi lavori noti, il San Marco evangelista e il San Marco Apostolo per la chiesta di San Marco, e il Salvatore ora alla Galleria Nazionale di Urbino. Entra in contatto con la famiglia Riario e con gli ambienti pontifici, dove frequenta i pittori della corte papale, da Beato Angelico a Botticelli, dal Ghirlandaio al Perugino, da Bartolomeo della Gatta ad Antoniazzo Romano. Capolavori romani sono l’affresco nell'abside della chiesa dei Santi Apostoli a Roma (1472-74) e il grande affresco Sisto IV nomina Bartolomeo Platina Prefetto della biblioteca, realizzato per la Biblioteca Vaticana nel 1475. Queste opere sono sicuramente le più affascinati del’artista, in cui emerge in tutto il suo splendore la sua bravura, e in cui si sommano le molteplici esperienze di Melozzo, la perizia tecnica e la delicatezza e dolcezza dei tratti.
In particolare, negli affreschi dei Santi Apostoli, ne gli Apostoli e gli Angeli musicanti, Melozzo raggiunge risultati eccelsi, unendo agli straordinari scorci prospettici, la bellezza e la purezza di queste figure, che sembrano realmente appartenere alla sfera celeste.
Sisto IV nomina Bartolomeo Platina Prefetto della biblioteca è uno dei primi esempi di pittura cronachistica al servizio del potere -  il cui rimando più immediato è la mantovana Camera degli Sposi del Mantegna – poiché raffigura un episodio reale e vuole esaltare la figura di Sisto IV, patrocinatore delle arti e della cultura, fondatore della Biblioteca Vaticana. Entro un ambiente architettonico ricco di elementi preziosi e di un’eleganza classica, si stagliano papa Sisto IV, raffigurato sul trono e di profilo, secondo la ieraticità rinascimentale, circondato da alti dignitari e prelati (si riconoscono il cardinale Pietro Riario in piedi al centro, Giuliano della Rovere – il futuro papa Giulio II - dietro al papa, e a sinistra i due nipoti laici Girolamo Riario e Giovanni della Rovere), in atto di nominare l'umanista Bartolomeo Sacchi – detto il Platina – Prefetto della Biblioteca Apostolica, inginocchiato, come si addice alla solennità dell’evento, e raffigurato di tre quarti, mentre con l’indice indica un’iscrizione da lui composta che esalta l’attività del papa nella città santa.
In quest’opera è evidente il percorso dell’artista, la prospettiva, la ieraticità, l’attenzione minuziosa ai particolari, evidente in special modo nella caratterizzazione dei ritratti (si riescono a scorgere le rughe sul volto degli astanti), la perfezione formale si unisce all’attenzione nei confronti del reale.
L’ultima sezione della mostra propone un’ampia sequenza di opere dei suoi allievi, Marco Palmezzano in primis (Madonna in trono col Bambino, San Michele Arcangelo e San Giacomo Minore), e di artisti che si sono ispirati a Melozzo, in particolare Raffaello (bellissimo il San Sebastiano dell’Accademia Carrara di Bergamo).
Dopo i lavori nella sagrestia di San Marco a Loreto (1484-1493) presenti in mostra grazie ad una intelligente, ma poco riuscita, riproduzione in 3D, sarebbe stato molto interessante poter concludere la mostra con la visita alla Cappella Feo nella chiesa forlivese di San Biagio, uno degli ultimi lavori di Melozzo, purtroppo distrutta da un bombardamento durante la Seconda Guerra Mondiale (visibili in mostra grazie a schizzi e disegni). 

Elisa Laboranti