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Silenzi a memoria di M. Gramegna

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Silenzi a memoria
di Maurizio Gramegna
La Vita Felice, 2011

con prefazione di Sebastiano Aglieco
€ 12.00

Dopo la bellissima prova narrativa di Caduti in volo, Maurizio Gramegna, con Silenzi a memoria, ci regala un "Bildungsroman poetico" assai particolare: si tratta infatti di un romanzo autobiografico, che tuttavia comprende una fenomenologia di "figure" estesa oltre l’arco vitale del poeta. Questo perché la Weltanschauung di fondo di Gramegna è, nel senso più lato ed alto del termine, francescana. E’ il poeta stesso a dircelo, in maniera sottintesa, ma spesso anche esplicita: noi siamo in tutto, e tutto è parte di noi. Proprio nella contemplazione/identificazione con la natura tale sentimento, che non mai è banale evocazione paesaggistica della terra natale – l’amatissimo Oltrepo pavese, con la forte presenza del fiume in primo piano e delle colline sullo sfondo – trova una voce potente, singolare:


Per chi tra noi un giorno è stato fiume
ed ha memoria dei greti e degli odori
sa che la riva bassa è la difesa
che il limo che riveste e che lo preme
sarà la culla di ogni suo germoglio
crosta che stringe linfa alle radici.

L’esperienza di formazione invocata, dunque, è estesa a tutte le figure avvertite a vario titolo come sorelle: la natura, i cari trapassati (letti nel proprio specifico tempo, non solo in funzione egocentrica o con finalità grettamente rivolte al presente); le altrui vite e le memorie storiche (come già nel romanzo, ambientato - lo ricorderemo - durante la Resistenza). Come già accennato, il tempo in cui va in scena la narrazione non è soltanto quello empirico dell’esistenza personale; è il tempo trascendentale della vita universale, di cui la biografia del poeta è parte, punto d’osservazione, monade di destino. Le esperienze stampate nella memoria comprendono uno scenario dilatato di cui fa parte anche la morte intesa come inveramento della vita, in senso profondamente e quasi involontariamente religioso: benché sia laica la consapevolezza di non poter trovare risposte dogmatiche, definitive al mistero della perdita, al nonsenso del dileguarsi di tutto. I percorsi umani procedono paralleli, quasi fuori tempo, e non vi è mai un reale incontro:

Vi scorgi un transito che non si spiega
che trova ampiezza e slargo
in orme parallele
(pag. 62).
Avvertiamo tuttavia, come si è detto, una parentela col creato, una contiguità creaturale. E’ il poeta a percepirle, poiché sa mettersi in ascolto. La poesia è dunque preparazione alla morte, come fu la filosofia secondo Platone; è preludio, stavolta, all'affratellamento pieno con la natura. Poesia come redenzione ed espiazione, parole frequenti che evocano, come sottolinea la bella prefazione di Sebastiano Aglieco, una dimensione sacra, rituale, estesa anche alla scrittura.

“Un tappo e un foglio bianco
come un invito; un espiare” (pag. 38).
Come se la vita costituisse una caduta in senso orfico-pitagorico, un fallo da scontare, e la scrittura fosse strumento privilegiato di catarsi. Ciò che le religioni positive tentano di insegnare, la poesia semplicemente fa. (“Nuovo sole avrà la lucertola, e io/ avrò il tempo di sentirmi marcire”, pag. 46). Il tema, evidentissimo nei versi appena citati, della poesia come ritorno alla terra, si fa particolarmente insistente nella sezione "Disegnati a memoria", centrale - anche dal punto di vista meramente fisico e materiale - nel libro. Qui si attua un dialogo serratissimo col tempo, in cui gli interlocutori sono così vicini da essere identificati l'uno nell'altro. Il poeta evoca e consuma nella pagina il proprio destino mortale, inteso come completamento metafisico (“c'è una purezza che appare/come spiaggia dopo la marea/ quando l’onda è ormai lontana”, pag. 42 ). Gli interlocutori del dialogo sono tanti, forse omologhi: per questo il poeta li confonde, per questo il colloquio non è mai a senso unico, ma felicemente disturbato dai rumori di sottofondo dell’essere. Parlare al tempo significa infatti parlare a se stessi, al noi che eravamo e non siamo più, che non era e non sarà; ai padri, al mondo che lasceremo, al fiume, al fuoco che consuma e scalda, alla morte. Poesia è anche questo: un dialogo differito e ininterrotto con le generazioni, con l’essere.
Fiume e fuoco, come in Eraclito, sono due figure assai presenti nella poesia di Gramegna. Figure del tempo e del divenire, ma anche correlati oggettivi rubati al paesaggio, al bosco, al fiume, che così acquistano immediata e persistente dimensione simbolica. Emblematica la poesia a pag. 66 sul significato esoterico del bruciare come energia di trasformazione: “Forse tutto il senso è nel crepitare/ a scoppi, a lampi, a briciole di luce/ nel dare ombra a sedie contro il muro”. Proprio il verbo "sovrapporsi", evocante la circolarità, è il titolo di un’altra sezione e il verbo principe di un verso sul tempo, così alto da apparire quasi sapienziale: “Il tempo non è mai un allinearsi/ un procedere di ricordi, è invece piramide./ Un sovrapporsi.” (pag. 65). Circolarità anche fra le generazioni, fra il padre scomparso e il figlio, ora padre; fra il non più e il qui-ed-ora. Ancora un sovrapporsi di interlocutori, strofe e antistrofe di un coro senza soluzione di continuità; l'andamento delle sezioni è spesso simile a quello di un salmo, variamente collegato nelle sue parti (a seconda della presenza o meno di un proemio, come all'inzio, e di sezioni contigue oppure numerate).
La redenzione attribuita alla poesia consiste essenzialmente nell'adozione responsabile della parola avvertita come irripetibile, come nostra. Verso la fine del libro c’è la chiave del riscatto, la soluzione dell’assenza metafisica:

Accogliere il mattino come un dono
porta in sé una fatica, un abbandono.
a non si comprende, si accetta il tempo
come in un nido l’uovo del cuculo
ed è solo un rifugio
lasciare ad altri le risposte.

Si fanno tendini le ore
fragili come ossa antiche le sere.


Dono come abban-dono, accettare la vita come qualcosa di non nostro, eppure da amare: il figlio adottivo del cuculo. Proprio perchè la nostra vita, già in partenza, non è soltanto il limitato cronospazio biologico; è un breve, intensivo transito d’eternità. Viene in mente un aforisma di Carlo Betocchi (poeta assai affine alla ricerca di Gramegna), che mi piace citare per intero: ”La poesia è nata da sé, spontaneamente su un'onda d'amore, sull'onda d'amore per le cose che erano intorno a me che sentivo fraterne e unite in uno stesso destino e in una stessa fine.” Proprio perché ci è dato far emergere l’appartenenza, spetta a noi l’ultima scelta: o l'in-differenza, il puro transito, l’anonimato (ciò che il poeta, in un altro testo capitale, chiama la "via"), oppure l'appartenenza, il nome, l'orizzonte, il destino (la "strada"). “Ogni strada può rimanere solo via/ se percorsa dritta/ e senza alzare gli occhi” (pag.77). Dipende da noi, dal senso che sappiamo dare a questo passaggio, da quanto lo pensiamo appartenente al tutto (alzando gli occhi, dunque!) eppure irripetibile, nostro: fermandoci là dov’è casa. Non dimentichiamo (i poeti, a volte, sono linguisti inconsapevoli!) che l’etimo dei due termini è proprio questo: strada, dal latino “strata”, indicava la via vera, il selciato lastricato della civiltà romana, contrapposto al polveroso sentiero primitivo; “via” deriva invece da una radice sanscrita che rimanda, come nella parola inglese away, al passaggio veloce, al non-luogo. Ciò a cui il poeta vuole richiamarci è il concetto di responsabilità, che letteralmente significa (come aveva ben compreso Cristina Campo) “risposta” al nostro destino. La responsabilità del poeta consiste nel dare alle cose il nome esatto, l’appellativo fragile della transitorietà: “Passare su un sentiero e dire pianta/ è come camminarti accanto e dire uomo”. Soltanto così ogni essere ha il proprio vero posto nel mondo, e “l’uno o l’altro non sono indifferenti”. (pag. 76).
l poeta, che è stato fiume, tornerà un giorno fiume, spiaggia dopo la marea: tornerà terra, come tutto, ma nella verità detta; non nell’indifferenza muta di una rapida corsa. “Diventa ciò che sei”, ammoniva Nietzsche. Ma chi scrive può fare questo in un modo soltanto: chiamando le cose una ad una, per nome.