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Quale Storia della Letteratura Inglese?

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Quale storia della letteratura inglese?

Lo scorso venerdì 7 maggio Gemma Persico, Rosario Portale, M. Grazia Nicolosi e Manuela D’Amore, docenti di Letteratura Inglese delle Facoltà di Lingue e Letterature straniere e di Lettere e Filosofia di Catania hanno organizzato nel nostro Ateneo un incontro intitolato: Quale storia della letteratura inglese?. Gli ospiti della conferenza erano Keir Elam e L. Maria Crisafulli, entrambi ordinari di Letteratura inglese presso l’Università di Bologna, oltre che influenti studiosi del settore e autori di numerose pubblicazioni che nel caso del primo riguardano principalmente gli studi di semiotica del teatro elisabettiano e shakespeariano, nel caso della seconda la questione romantica (la Crisafulli è anche la responsabile del Centro Interdisciplinare di Studi sul Romanticismo).
Ho voluto proporre ai lettori di Critica Letteraria una “cronaca” dell’evento perché ritengo che un dibattito sulle metodologie di costruzione delle storie letterarie (con una specifica riflessione su quelle contemporanee) possa costituire un forte motivo di interesse oggi, e si tratta di un tema che ha animato un imponente dibattito critico nel corso del secolo scorso e penso continuerà a farlo anche in futuro. Il New Historicism, come rivisitazione della storiografia degli ultimi anni ha messo in discussione la tradizionale storia degli eventi, che è stata sostituita da una nuova concezione di storia basata sui testi, elementi dai quali si parte per dare costruzione a un’epoca. La storia letteraria, da marginale che era, è diventata centrale e paradigmatica. Gli storici hanno iniziato a guardare ai testi come materiale documentario e si è sviluppata una nuova fede nel testo letterario come strumento di conoscenza.
La conversazione è stata aperta da L.M. Crisafulli che ha introdotto la questione con una domanda cruciale: scrivere una storia della letteratura è un’impresa impossibile?
Di sicuro è un’impresa problematica. Siamo, infatti, eredi di decenni di discussioni e dibattiti critici che si proponevano di negare sistematicamente questa possibilità. Per citare solo alcune delle più note posizioni, si può fare rimando a Wellek che nel 1973 ha pubblicato The Fall of Literary History o a Perkins con la sua Is Literary History Possible?, del 1993. Critici “spietati e distruttivi” che hanno messo radicalmente in discussione la possibilità di scrivere una storia della letteratura “definitiva” per ragioni di ordine principalmente epistemologico: i prodotti letterari sono talmente numerosi e diversi che lo studioso deve necessariamente approntare una selezione. Ogni tentativo di unificazione è, dunque, destinato a rivelarsi vano.
Però, proprio Perkins ha messo in luce l’esigenza che le storie letterarie vengano scritte, per motivi pragmatici e interpretativi: senza di esse sarebbe impossibile dare un senso ai testi del passato.
Una lettura ossimorica, dunque, che trova ulteriore argomentazione nella distinzione da lui operata tra le contextual histories che spiegano i fenomeni letterari attraverso eventi extraletterari, e le immanent histories che cercano di creare dei sistemi interni all’universo letterario senza rimandi a contesti esterni. Se le prime non soddisfano Perkins perché troppo legate a un criterio di selezione soggettiva da lui tanto aborrito, le seconde non tengono in considerazione eventi esterni ritenuti necessari per affrontare il dibattito letterario. Ancora un’altra contraddizione del critico inglese.
L.M. Crisafulli ha poi ampiamente spiegato la differenza tra le narrative histories e le encyclopedic histories: le prime seguono la modalità narrativa del racconto vero e proprio secondo un processo di “implotment” (messa in trama) fatto proprio dal New Historicism, le seconde, invece, presentano la storia letteraria attraverso una molteplicità di punti di vista e prospettive, senza che si segua un filo unico. Anche in questo caso Perkins ha trovato del limite in entrambe, considerando le narrative legate eccessivamente al punto di vista dell’autore, le enciclopediche troppo eterogenee e prive di vera organizzazione interna.
Nel corso del suo intervento la studiosa ha preso Perkins come esempio di contraddittorietà e di decostruzione, per dimostrare la problematicità delle posizioni assunte dagli anni ʼ70 in poi, in merito alle modalità di costruzione della storia della letteratura.
Il suo discorso ha preparato il terreno all’intervento di Keir Elam che ha illustrato quello che è stato lo sviluppo del genere nel corso degli ultimi vent’anni. Dopo le “sentenze di morte della storia letteraria” emesse dai critici come Perkins, la cui critica era principalmente indirizzata contro le storie nazionali ottocentesche di carattere eminentemente narrativo (De Sanctis, in Italia), in realtà è successo proprio il contrario: nuove imprese di storia letteraria negli ultimi anni hanno rivitalizzato il dibattito, animate dall’esigenza di rispondere consapevolmente ai dubbi degli scettici.
Il prof. Elam ha presentato tre modelli rappresentativi:
- The Oxford English Literary History; propone un modello di storia letteraria narrativa, con il consapevole disegno di fare una storia contestuale.
- The Cambridge History of English and American Literature; abbraccia le multiprospettive della storia enciclopedica. Si tratta, anzi, di un caso di enciclopedismo portato all’estremo. La letteratura è vista come un fenomeno socio-storico, un oggetto storico confinante con altri.
- The Harvard New Literary History of America; tendenza definita “aneddotico-epifanica”. Non segue il tracciato di una linea storica. Alla base della compilazione sta la selezione di certi momenti in cui la storia americana è cambiata, messi in relazione con i corrispettivi momenti letterari che li rispecchiano. Si tratta di una posizione vicina a quella dei Cultural Studies, che tendono a vedere la letteratura come una qualsiasi espressione culturale, scritta o meno, che dialoghi alla pari con il cinema, la politica, il costume.

Nell’ultima parte della conferenza i due ospiti hanno presentato il loro Manuale di letteratura e cultura inglese, illustrandone la linea metodologica, che è stata efficacemente commentata anche dagli interventi delle professoresse Nicolosi e D’Amore, le quali hanno lodato l’opera come “miracolo” di sintesi per la sua parsimonia retorica congiunta a una notevole densità di contenuti. Tra i pregi dell’opera oltre che l’”equilibrio del canone”, nel quale trovano posto esperienze letterarie convenzionalmente messe ai margini (alcune voci femminili, il teatro romantico, i Colonial Studies…), la capacità degli autori di concepire un manuale nel quale il testo nasca e progredisca in funzione del lettore, sulla scorta di quanto ha teorizzato Jauss, celebre esponente della Scuola di Costanza, che tra gli anni ʼ60 e ʼ70 ha concepito un ciclo di lezioni imperniate sulla figura del reader. Il manuale di Elam e della Crisafulli, si costruisce, come hanno spiegato i due autori, mediante il dialogo tra una parte più narrativa e di andamento storico e una seconda dal taglio enciclopedico-tematico; tra una struttura verticale e una orizzontale, figurativamente parlando.

I temi trattati sono stati molto stimolanti e gli interventi capaci di catturare l’attenzione perché corredati di numerosi esempi e citazioni, che spesso favoriscono in noi studenti la comprensione di argomenti che non abbiamo avuto modo di conoscere in modo più esteso.
Un’occasione per intavolare un dibattito sulla storia della letteratura (inglese e non) come dibattito sulla storia in senso lato, e sulle possibilità e gli sviluppi di un genere dal quale è impossibile prescindere, che ha mutato forma nel corso della storia e probabilmente non troverà mai una sistemazione che sia unica e definitiva.
Infondo è poi necessario trovare un modello ideale di storia letteraria?

Claudia Consoli