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Il "Salotto": intervista a Gianfranco Franchi

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Siamo felicissimi di ospitare Gianfranco Franchi, giovane autore e consulente editoriale che si è conquistato una folta schiera di fans gettando luce su quanto si cela dietro all’intera discografia dei Radiohead: un mondo fatto di tanta musica, letteratura ed esperienze di vita! Cerchiamo di scoprire quanto altro si nasconde dietro a questo bellissimo lavoro! (Leggi la nostra recensione: clicca qui)

Innanzi tutto, ti ringrazio moltissimo per la disponibilità che hai dimostrato senza esitazione.
Grazie a te, figurati. Hai scritto un bellissimo articolo, mi sembra il minimo. A proposito, grazie ancora.

Sul nostro blog abbiamo appunto recensito il tuo libro Radiohead. A Kid. Testi commentati. Sei un amante dei Radiohead. Questo è chiaro. Quindi subito qualche domandina musicale: la loro canzone che hai amato di più, quella che ascolti più spesso attualmente, quella che non tolleri proprio, quella che ti piaceva da morire e ora non ne puoi più di sentirla!
I Radiohead sono uno dei due miei grandi amori. L'altro sono i Joy Division. La canzone dei Radiohead che ho amato di più è sicuramente Paranoid Android. Non a caso, quello doveva essere il titolo del libro. È un pezzo fondamentale nel contesto del canzoniere di Thom Yorke, e non meno importante – scivoliamo sul personale - nella mia estetica. Quella che ascolto più spesso attualmente è Karma Police, perché ho imparato a capire cosa significava e adesso mi dà enormi soddisfazioni. Quella che proprio non tollero è A Punchup At A Wedding, sinceramente sgraziata, sbagliata, stupida, autoreferenziale. Quella che mi piaceva da morire e che non riesco più a sentire è Street Spirit. Probabilmente perché la associo troppo a certi momenti dell'adolescenza, lontani quindici anni; sono successe troppe cose nel frattempo, io non sono più io.

Quando non ascolti i Radiohead, che altro ascolti?
Finchè esistevano i negozi di dischi, ero la loro gioia. Avevo – ho – una discoteca da oltre duemila cd. Finché esisteva una certa cultura musicale, ero uno dei migliori amici dei musicisti: ero l'unico che conosceva certe band (che so, dagli Slint ai Vampire Rodents, dai primi Mogwai ai primissimi Mansun) e non aveva nessuna voglia di “fare” musica. Come ascoltatore avevo questo di raro: non ero e non sono mai stato un musicista mancato, e nemmeno un cantante mancato, niente. Ero semplicemente un grande innamorato della musica – in primis, alternative e indie rock, post rock, prog, trip hop, ma senza escludere la buona tradizione cantautoriale angloamericana e italiana e un po' di classica. Ma la tua domanda impone qualche nome. Ti nomino le mie dieci band preferite: Radiohead, Joy Division, Pink Floyd, Cure, Depeche Mode, Nirvana, Police, Verve (fino a “Urban Hymns”), Metallica (fino al “Black Album”), Sigur Ros. In panchina, Massive Attack e Led Zeppelin. Italiani, vediamo un po'. Qualche nome. Francesco De Gregori, Max Gazzè, Scisma (che gruppo stupendo che erano gli Scisma). Adesso mi sto appassionando ai The Mantra Above The Spotless Moon.


Grazie per i suggerimenti! Avremo un sacco di musica da cercare nel weekend!
A Kid è un concentrato di nozioni, rimandi, collegamenti con altre letture, canzoni, interviste, dichiarazioni, film… Sembra ci sia stato dietro un lavoro incredibile. Hai sempre saputo che prima o poi avresti scritto questo libro o arrivato ad un certo punto ti sei accorto di saperne così tante sui Radiohead da poterlo realmente fare?

Ho sempre sognato di poterlo fare e ho sempre pensato che c'era qualcosa, nel mio destino, di curiosamente e misteriosamente legato alla band. Nel libro accenno a un incontro fortuito, unico e speciale con mister J. Butcher, tanti anni fa. In Monteverde do qualche dettaglio in più. Quell'incontro, assieme a una serie di vicende personali un po' particolari, mi ha convinto che prima o poi avrei avuto a che fare con la band, e non solo con uno dei loro migliori amici. Questo libro era scritto nel destino. Scriverlo mi ha un po' svuotato, ma ho ricevuto così tante lettere dai fan della band che credo sia stato giusto dare tutto quello che avevo per la buona riuscita dell'opera.

Il tuo modo di scrivere mi ha incuriosito. Così a breve inizierò a leggere il tuo lavoro “Monteverde” per poi recensirlo. Che cosa pensi debba sapere prima di addentrarmi nella lettura?
Ti ringrazio. Ti do qualche indizio. Il vero titolo di Monteverde era New Order, aperto omaggio alla vecchia band di Ian Curtis. Il mio primo libro di narrativa si chiamava Disorder, aperto omaggio al primo album dei Joy Division di Ian Curtis. Monteverde - proprio come Disorder, uscito quattro-cinque anni fa - è una raccolta di racconti compatta come un romanzo. Sono 47: 47 sta per “morto che parla”. Protagonista è un certo Guido Orsini, che potrebbe vagamente somigliarmi. È il mio avatar, dai. Il libro è uscito ad aprile 2009, ha avuto un buon successo di critica e un onesto riscontro di pubblico. Non corrispondente a quello della critica, purtroppo. Sono piaciuto più alla stampa che ai lettori, in questo caso. Non ho capito perché – ma credo ci sia ragione di meditarci sopra.

Parlaci di te: che autore sei?
Sono un letterato puro, di formazione classica (Liceo Classico + Lettere Moderne) e grande e insaziabile amore per la lettura e per la comunicazione letteraria (e dello spettacolo) e per la storia e per il futuro della nostra grande letteratura italiana. Ho pubblicato poesia (L'inadempienza, 2008) ma ho smesso di scriverne da qualche anno, concentrandomi di più sulla narrativa e sulla saggistica. Sono uscito per Castelvecchi, Arcana e Il Foglio Letterario, come autore. Come critico – come lettore editoriale – ho tre grandi modelli: Bobi Bazlen, Giuseppe Pontiggia e Jorge Luis Borges. Pontiggia e Borges mi hanno insegnato a schedare romanzi e saggi, e a condividerli col pubblico. Collaboro con qualche radio e qualche quotidiano, a parte Lankelot, proprio per avvicinare i lettori alle opere che sto scoprendo man mano.

Che cos’è Lankelot?
È un portale indipendente di comunicazione e critica letteraria e dello spettacolo, dedicato e consacrato idealmente agli autori laterali, emergenti, rimossi, mai emersi, censurati, e alle pubblicazioni della piccola e media editoria di qualità e di progetto. Contiene, ad oggi, circa 4100 articoli (selezionati negli anni) e 55mila commenti. È strutturato in quattro sezioni: letteratura, cinema, musica e scienze. Lankelot era il mio pseudonimo. Quando ho fondato il sito, nel 2003, ci lavoravamo io e un grafico. Man mano, si sono unite centinaia di persone; professionisti dell'editoria e del cinema, semplici lettori forti e studenti universitari, autori già recensiti e miei vecchi compagni dell'Università, e via dicendo. Lankelot è un grande sogno di libertà, dialettica e democrazia. Estraneo ai partiti, alle chiese, ai movimenti extraparlamentari, aperto a tutti – iscriversi è facile e gratuito – è nato per quei lettori che s'erano stancati di comprare soltanto i libri che trovavano in libreria, e per quelli che non si ritenevano particolarmente soddisfatti delle recensioni politicizzate e mai direttamente commentabili che apparivano nei siti letterari on line. Soprattutto, è nato per quei lettori che vogliono fare i conti col critico presuntuoso e saccentello di turno. Adesso si può. È piacevole. È edificante. È stimolante.

Ti ringrazio personalmente e a nome di Critica Letteraria per essere stato con noi. Solo un’ultima richiesta: dedicaci una canzone e spiegaci il perché.
Vi dedico una canzone che racconta molto dello spirito di chi si dedica alla Critica Letteraria. Si chiama Leave, l'hanno incisa i REM tanti anni fa. “A temper madness to believe in this dream”, canta a un tratto Michael Stipe. Nel 1997 pubblicammo quella frase sulla prima rivista letteraria che coordinai, Ouverture, negli anni stupendi di Lettere a Roma III. Mi ha portato fortuna, dopo tanti sacrifici e tanta sofferenza posso dirlo. Fortuna. Spero possa portarla anche a voi. Ve lo meritate.

Silvia Surano