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Emmanuelle de Villepin, "La vita che scorre"

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La vita che scorre
di Emmanuelle de Villepin
Longanesi, 2013

€ 14,90 (cartaceo)
pp. 223


«Oggi è il mio compleanno e mi ha preso questa vertigine inspiegabile di contemplare il cammino percorso. L'ho detto all'inizio della mia storia, non c'è narcisismo in questo: vorrei solo trovare da qualche parte la traccia di un disegno, l'impronta di una volontà che mi appartenga. Nel ridurre tutto al caso e alla necessità ci sento un pessimismo servile» (p. 173)

Antoine non è portato a continui esercizi di autocommiserazione «sempre in agguato negli esercizi di memoria» (p. 7): è un uomo che, come tanti, sono incappati in una Storia e in storie più grandi di lui. Il bilancio che si propone in questo romanzo non è un memoriale canonico, ma un'autobiografia a strappi, che gira freudianamente attorno a tre punti di crisi della vita di Antoine. 
Il primo episodio, il più traumatico, risale al 1944, quando il piccolo protagonista disubbidisce alla madre e scappa a pescare con l'amico Jacques. Una fortuna: solo così i bambini si salvano dalla rappresaglia tedesca che sterminerà gli abitanti di Oradour-sur-Glane. Antoine resta orfano, e da qui il rifugio a casa di Jacques, ultimo figlio del conte de Hautlevent. Così Antoine si trova in un «mondo nuovo, benevolo ma straniero» (p. 37), avaro di abbracci, ma solo perché disabituato a manifestazioni d'affetto:
[...] avevo bisogno di braccia che mi stringessero ma ormai bisognava che facessi l'abitudine a quella gentilezza distante, a quella lingua straniera in cui l'interlocutore deve indovinare la tenerezza che gli si riserva. Senza fare rumore. (p. 31)
E qui il ragazzino deve imparare a fare i conti con altri orfani ospitati al castello, e con la decisione difficile dell'adozione: rinunciare al proprio cognome? 
Quindi, quando il lettore si era ormai abituato al mondo visto dal basso dall'Antoine di nove anni, con uno scarto di trent'anni si passa al 1974. Non è più la grande Storia a sconvolgere gli equilibri del protagonista, ormai avvocato di successo, ma la vedovanza prima e la scoperta che la sua ultimogenita Elisa soffre di amiotrofia spinale. Da qui il trauma della disabilità si trasforma nella lotta quotidiana per crescere al meglio una bambina speciale, con l'aiuto concreto e ideale di una serie di personaggi altamente positivi. Questo è il vero centro problematico del romanzo, un inseguirsi di dubbi da genitore che cerca di oscurare il dolore quotidiano dietro all'amore incondizionato per la bambina. Ma il mondo esterno non è altrettanto predisposto ad accogliere un disabile, e se ne danno cocenti e ciniche manifestazioni.  
Infine, l'io-narrante richiede al lettore un ultimo salto cronologico al 1998, quando la maturità di Antoine viene rivoluzionata da un evento che, ancora una volta, lascerà a traballare tutte le certezze. 

Alla base, la concezione che «la vita è fatta di capitoli» (p. 89), e il protagonista-narratore trattiene tra le dita i fili della memoria, che non intreccia; al contrario, li districa con sintesi di raccordo tra i singoli macro-racconti e percorre con le dita di una narrazione sapiente le storie prescelte, con questa consapevolezza:
Si sa, c'è un abisso tra il raccontato e il vissuto, ed è normale: il primo è pensato, il secondo volto all'azione. Eppure ci sono delle ore che spingono alla malinconia e fanno girare la testa indietro per dare un'occhiata a quello che abbiamo irrimediabilmente perso nella ressa. (ibidem)
Se si dovesse riassumere questa narrazione con una parola, proporrei consapevolezza: Emmanuelle de Villepin, già autrice di Tempo di fuga (2006) e La ragazza che non voleva morire (2008), è tornata con un romanzo maturo, che incede con il passo sicuro di chi ha ben chiaro l'obiettivo. Inserirsi nel mondo sovraffollato dell'autobiografia non è mai semplice, specialmente nel Duemila, ma questo La vita che scorre recupera la memoria di un io-narrante onnisciente che commenta quanto è stato con la saggezza della vecchiaia, senza revisionismi storici o apologie personali. Anzi, il recupero, intervallato da riflessioni universalizzate, propone una riflessione non solo sulla storia di Antoine, ma anche sulla nostra: per fermarci e stupirci, stando alla narrazione ametodica di una memoria. 

Gloria M. Ghioni