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"Più dell'amore" di Lidia Ravera: un'attualizzazione del decimo comandamento

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Più dell'amore
di Lidia Ravera
Rizzoli, settembre 2025

pp. 144
€ 13, 00 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)

Rizzoli affida alla penna di dieci grandi scrittrici il compito di raccontare i dieci comandamenti: nasce così Più dell’amore di Lidia Ravera, dedicato all’ultimo dei comandamenti, ‘non desiderare la roba d’altri’, che invita il buon cristiano a non concepire invidia, né avidità, né cupidigia nei confronti di ciò che il prossimo possiede.  

Racconto lungo (o romanzo breve) dallo stile rapido, ironico e incalzante che, unitamente alla vivacità della trama, gli conferisce un taglio cinematografico, Più dell’amore narra una storia animata da pochissimi personaggi, tra i quali il più importante è quello di Betta. Suo è il punto di vista prevalente da cui è condotta narrazione. 

Aspirante attrice, affascinante e seducente, abituata, per la verità, più a essere desiderata che a desiderare, a quasi quarant’anni, di cui gli ultimi tre senza lavoro, Betta deve tristemente prendere atto della realtà: la sua carriera è finita senza mai veramente iniziare e la stessa sorte è toccata a suo marito, anche lui pieno di ambizioni artistiche e teatrali, ma anche lui, di fatto, un fallito. 

Ecco come la donna descrive se stessa e il proprio compagno: 

Sono una perfetta wannabe. Una spiantata che vorrebbe fare l’attrice ma non ci riesce, sposata a uno spiantato che vorrebbe fare il regista ma non ha le palle” (p. 91) 


Al di là del dramma psico-esistenziale vissuto dai due personaggi, sin dalle prime righe emerge un problema molto più materiale

Non so se te ne sei reso conto, ma siamo rimasti senza un soldo. (p. 7) 

Mentre snocciola innumerevoli esempi della povertà cui la coppia è ridotta, Ravera ci restituisce un’immagine impietosa di questo matrimonio, come di un legame in cui non l’amore, ma il fattore economico si rivela, nel bene e nel male, determinante: 

Io e mio marito stiamo insieme perché né io né lui abbiamo i soldi per andarcene. La solitudine costa. (p. 93) 

È questo il contesto di partenza in cui avviene l’infrazione del famoso comandamento: una sera, Betta conosce per caso l’ultraottantenne e ricchissimo Pietro von Armin e inizia, appunto, a desiderarne la ‘roba’. 

L’opulenza e l’abbondanza che si respirano nel lussuoso appartamento di Pietro portano alla luce sentimenti contrastanti di ammirazione e di invidia: la povertà di Betta, di cui il lettore ha avuto da subito un quadro molto chiaro, diventa direttamente proporzionale alla sua insaziabile brama di possesso. 

Lo sa che mi sta facendo commettere un peccato mortale? Mi induce a desiderare…la sua roba… i gioielli di sua moglie… lo sa che c’è un comandamento che lo vieta? È il decimo, non desiderare la roba d’altri. Io lo infrango con una certa frequenza da quando l’ho incontrata” (p. 101) 

In questo libro di forti contrasti (tra ricchezza e indigenza, giovinezza e vecchiaia, sogni e realtà), in cui tanto spazio ha il tema del ‘guardare’, in quanto etimologicamente legato a quello dell’invidia, è proprio la casa a farsi simbolo del differente e lontanissimo status dei due personaggi: l’attico di Pietro, in una raffinata via del centro di Roma, con le sue stanze spaziosissime, le pareti tappezzate di dipinti di valore e il terrazzo che ha le fattezze di un giardino, è l’esatta antitesi della «tana» di ventotto metri quadrati in cui, uno sopra l’altro, vivono Betta, Tom e la loro figlia tredicenne: 

Tre persone in una stanza e mezza. Ad alitarsi in faccia. A tormentarsi l’una con l’altra. Senza spazi privati. Senza vie di fuga. Stamattina ho capito fino in fondo il significato della parola “ristrettezze” (p. 110) 

La brevità del testo e la sua scorrevolezza ci portano velocemente alla conclusione: un finale dal sapore amaro e un po’ beffardo, che induce a considerare e valutare il desiderio in un modo assai diverso da quello cui siamo stati abituati. 

Elide Stagnetti