Re, donna, fante
di Vladimir Nabokov
Adelphi, giugno 2025
Traduzione di Ettore Capriolo
pp. 290
€ 13 (cartaceo)
€ 7,99 (e-book)
Era in collera perché la visita di Franz le aveva procurato uno strano piacere e perché di questo piacere doveva ringraziare il marito. Il risultato era che nelle discussioni sull'invitare o meno un parente povero lei aveva avuto torto e il suo stravagante e capriccioso marito ragione. Di conseguenza Martha si sforzava di non riconoscere il piacere provato perché il marito potesse rimanere in torto. Sapeva che presto quel piacere si sarebbe rinnovato e anche che, se fosse stata assolutamente sicura di convincere con il proprio atteggiamento il marito a non ricevere più Franz, forse non avrebbe detto quello che aveva detto poco prima. Per la prima volta da quando si era sposata, aveva sentito qualcosa che non si sarebbe mai aspettata, qualcosa che non s'inseriva come un legittimo tassello nel parquet della loro vita dopo le squallide sorprese della luna di miele. Così, da un'inezia, da un soggiorno fortuito in una ridicola città di provincia, qualcosa aveva cominciato a crescere, qualcosa di gioioso e di irreparabile. E non esisteva al mondo un aspirapolvere capace di restituire a tutte le stanze del suo cervello il loro precedente immacolato nitore. (p. 56)
«Di tutti i miei romanzi, questo vispo bestione è il più allegro». Così disse Nabokov a proposito di Re, donna, fante nel 1967. Fu pubblicato nel 1928 a Berlino col titolo Korol', Dama, Valet dalla Slovo, una casa editrice dell'emigrazione russa: era il suo secondo romanzo – il primo fu Mašen'ka (1926) – e l'autore aveva ventotto anni.
Che intendeva per "vispo" o "allegro"? L'autore spiega nella prefazione che l'esilio in Germania, la miseria e la nostalgia della Russia non intaccarono la sua «complessa ed estatica composizione». Forse non si deve prendere quegli attributi alla lettera, perché certamente il romanzo non è allegro nel senso comune del termine, ma intuire che lo stato in cui è stato scritto, probabilmente, non era infelice.
Tale vivacità figura in uno dei personaggi principali del romanzo, Kurt Dreyer, imprenditore e uomo gioviale, di grandi appetiti, un uomo ottimista, ambizioso, luminoso nei modi e nei pensieri.
Di fatto, Dreyer è il nostro Re. Per sua sfortuna è sposato con una donna peculiare, Martha – che ovviamente è la Donna del titolo – un essere algido, scostante, dal cuore di pietra. Ma di pietra solo quando si tratta del marito, perché nel momento in cui entra in scena (fin dall'incipit) il Fante Franz ovvero il nipote di Dreyer, Martha abbandona ogni reticenza e diventa puro desiderio. Un desiderio incendiario, fatto di lussuria, inganni, dissimulazioni e pensieri omicidi.
Con un vago risentimento ricordò che sua sorella aveva già avuto, uno dopo l'altro, quattro o cinque amanti e che la giovane moglie di Willy Wald ne aveva avuti due contemporaneamente. E lei, Martha, aveva già superato i trentaquattro anni. Era dunque tempo. Aveva già avuto in dono un marito, una bella villa, l'argenteria antica, l'automobile, il prossimo regalo della sua lista doveva essere Franz. Ma non era tanto semplice: comportava l'intrusione di una leggera brezza estranea, di un ardore particolare, di una morbidezza sospetta... (p. 100)
Martha non si fa alcun problema a lanciarsi nell'adulterio, crede sia un suo diritto. Non ama Dreyer, lo odia a morte, nonostante la ricchezza, la giovialità, la vita brillante che condivide con lei. Da parte sua, Dreyer la adora teneramente: si fa bastare un suo raro sorriso, una sua furba carezza, lasciando cadere offese, cattive parole, bruschi comportamenti. Con Franz, Martha è un'altra donna, quantomeno al principio: focosa, lasciva, piena di costruttivi progetti per entrambi, uno dei quali – verrà maturato nel corso dell'adulterio – comprende togliere di mezzo Dreyer.
Franz inizia a lavorare nel negozio di Dreyer e si porta a letto sua moglie: c'è però da dire che è uno di quei personaggi ignavi che si lasciano trasportare dalle decisioni altrui piuttosto che scegliere autonomamente per sé. Così va dallo zio per volere della madre; diventa un commesso per volere dello zio; diventa amante di Martha per volere di Martha; e infine, non si oppone ai folli e deliranti progetti omicidi di Martha perché non ne ha il carattere.
Tutto ciò che dice e fa Martha per lui è oro colato. Ma a volte la passione non basta a sopperire la malvagità: Franz, preoccupato dall'evolversi della situazione, comincia a guardare Martha sotto tutt'altra luce, odia Dreyer solo per riflesso, e si ammala di pensieri cupi e tortuosi che quasi lo portano al delirio.
Si potrebbe pensare che lui non voglia davvero uccidere Dreyer. Lo fa perché lo vogliono le manipolazioni di Martha. E questa imposizione, per quanto lui non se ne renda conto, lo avvelena.
Quella terza parte della consapevolezza di un uomo che è il futuro immaginabile, per Franz non esisteva più se non come una tetra gabbia di mostruosi domani ammucchiati in un cumulo informe. Quella che a Martha era parsa la prima soluzione realistica, logica del loro problema, aveva praticamente inferto il colpo di grazia al suo equilibrio mentale. Sarebbe accaduto come aveva detto lei... ma davvero? Un brivido di spavento gli sfiorò il cuore. Forse non era troppo tardi... Forse doveva scrivere a sua madre, o a sua sorella e al fidanzato, che venissero a portarlo via. Il destino, che lo aveva quasi salvato domenica scorsa, poteva salvarlo ancora, sì... mandare un telegramma a casa, mettersi a letto col tifo, o magari sporgersi un poco e scivolare tra le braccia sempre pronte dell'avida gravità. Ma il brivido passò. Sarebbe accaduto come aveva detto lei. (p. 244)
Franz voleva solo un lavoro dignitoso e un'avventura tra le lenzuola; Martha qualcuno che facesse il lavoro sporco al posto suo, assassinare il marito. La disparità di desideri non può che portare al disastro.
Con l'andare del tempo, quello che era nato come un rapporto frivolo e lussurioso, profondamente erotico, diventa un'ossessione: Martha non può vivere un istante di più accanto a quel marito ambizioso, rumoroso, goloso e pieno di vita – così pieno di vita da esserle insopportabile – Franz, invece, si spegne gradualmente, diventando lui stesso un manichino automatico alla mercé delle macchinazioni altrui.
Martha gli succhia via la vita, le energie, la salute mentale; quello che avrebbe voluto fare col marito lo fa, senza accorgersene, all'amante. Dreyer, da bonaccione qual è, non sospetterà mai nulla, né del tradimento della moglie né dei suoi progetti uxoricidi, resi tanto crudeli dal fatto che il suo odio sembra ingiustificato.
Perché Martha lo detesta così? Il testo non lo dice, e non lo dice perché un motivo non c'è, in fondo: lo odia e basta perché sono due persone agli antipodi, con due caratteri totalmente opposti, che probabilmente non avrebbero mai dovuto trovarsi.
E la cosa divertente (forse è qui che possiamo riprendere il termine "allegro") è che a farne le spese non è Dreyer, l'uomo vessato e maltrattato che avrebbe tutte le ragioni di intristirsi per quella moglie così crudele, ma è la stessa Martha, avvelenata dal suo stesso veleno.
Per lei Franz è la via d'uscita, la nota che mancava per fare il passo decisivo. Ora, vero è che Dreyer non è mica un santo: ha le sue scappatelle, la sua presenza soverchiante, il suo egocentrismo narciso e fatuo, ma questo è sufficiente a giustificare l'odio di Martha?
Uno dei pregi del romanzo è la profonda e chirurgica introspezione che Nabokov opera sui personaggi: con una voce che entra in profondità nell'animo dei tre – e che per sua stessa dichiarazione si ispira ai monologhi interiori di Madame Bovary di Flaubert – possiamo essere presenti ai loro dubbi, alle loro angosce, alle loro gioie. Siamo nella loro stessa testa, vediamo fluire i pensieri prima ancora che escano attraverso la bocca. In questo modo, riusciamo a conoscere profondamente i tre personaggi.
L'incipit e la chiusura del romanzo si connotano dello stesso tono onirico, quasi a chiudere un cerchio.
Probabilmente c'è anche una correlazione tra il titolo e i caratteri di Dreyer, Martha e Franz con il gioco degli scacchi, che però non conosco, ma a intuito mi pare che i personaggi corrispondano perfettamente ai ruoli imposti dalla scacchiera.
Inutile dire che è un romanzo stupendo e stupefacente. In Lolita c'è un riverbero di questo embrione narrativo: lo humour nero, l'indagine sui meccanismi di svalutazione dell'amore a favore della lussuria (perché qui non parliamo mai di amore, ma di piacere fisico). In Fuoco pallido invece ritroviamo l'oscura trama della tragedia.
Deborah D'Addetta
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