Fino a domenica 8 giugno, nei cortili dei palazzi più belli di Cremona, è in corso il Paf, Porte Aperte Festival, una manifestazione che unisce arte, letteratura, musica, fumetto, reading e teatro (www.porteapertefestival.it). CriticaLetteraria c'è e segue alcuni incontri, correndo da una parte all'altra della città, per restituirvi qualcosa dello spirito creativo di queste giornate. Partiamo con venerdì 6 giugno, denso di incontri nei quali si è parlato di Storia, storie, vita e desideri e delle trame che intessono i legami e le relazioni tra i personaggi, tra lettori e scrittori, tra mondi e tempi diversi.

"Un libro con il quale ho inteso restituire un'identità ai caduti delle Fosse Ardeatine, ridare voce a chi non l'ha avuta, ricordare quelle donne che hanno dovuto ingoiare il proprio dolore, quasi nasconderlo al mondo che non voleva vederlo. E, soprattutto, credo che questo mio libro possa essere anche un messaggio per le donne di adesso e per quelle che verranno, in un mondo, come il nostro, che ancora cerca di limitarne i diritti". Così la storica
Michela Ponzani ha presentato il suo libro
Donne che resistono. Le Fosse Ardeatine dal massacro alla memoria. 1944-2025 (Giulio Einaudi Editore). Proseguendo una ricerca iniziata addirittura con la tesi di laurea, Ponzani da anni raccoglie le testimonianze e le memorie delle famiglie che nella strage nazista del 24 marzo 1944, ordinata dopo l'attentato partigiano di via Rasella, persero mariti, padri, figli. Un massacro efferato che, come ha sottolineato l'autrice, va classificato come un vero e proprio crimine di guerra, non una rappresaglia, perché compiuto nel silenzio, nonostante alcune alte cariche dello Stato cerchino tuttora di sminuirne la portata. "E questo è un problema che riguarda la memoria collettiva", ha detto la storica romana, presentata dalla giornalista Barbara Caffi. Con la sua consueta verve, allenata da anni di trasmissioni televisive dedicate agli eventi più importanti della Storia italiana, Ponzani ha ripercorso le fasi salienti del massacro, avvenuto, a mo' di catena di montaggio, dalle 15.50 alle 20.00 di quel 24 marzo, quando a gruppi di cinque vennero uccisi con un colpo di pistola trecentotrentacinque uomini e ragazzi che erano detenuti in carcere, quasi tutti perché oppositori del regime, alcuni solo perché ebrei. "Morti senza nome, senza voce, senza lutto, senza tombe", ha sottolineato Ponzani, "perché alle donne che si erano recate alle carceri con un cambio di biancheria pulita venne fatto credere che gli uomini erano stati deportati in Germania e solo dopo la scoperta dell'eccidio queste madri, sorelle, figlie si presentarono al Comando Alleato per esigere riconoscimento e degna sepoltura dei corpi". Che, nel frattempo, erano diventati una massa indistinta, uno sopra l'altro, nelle cave di pozzolana nei pressi della via Ardeatina. Questo libro racconta le vite di quelle donne che rimasero a vivere il lutto di un massacro trasformato in mausoleo.

Il Cortile di Palazzo Roncadelli Manna ieri ha accolto un'altra scrittrice che si è confrontata con i grandi temi della Seconda Guerra Mondiale,
Erica Cassano che ha dialogato intorno al suo libro d'esordio,
La grande sete (Garzanti), un romanzo storico che trasforma una memoria privata in narrazione universale. La storia ripercorre, infatti, la vita della nonna dell'autrice, reincarnata nella protagonista Anna, che, da Genova, torna nella natia Napoli a causa delle posizioni antifasciste del padre.
È il 1943, è il tempo delle Quattro Giornate, un episodio chiave della Resistenza, e Napoli ha sete, non c'è acqua in città, tranne che a Chiaia, dove Anna ha casa. Davanti alla sua abitazione, la Casa del Miracolo perché l'acqua è miracolosa, ogni giorno la fila di donne che devono dissetare i propri figli è sempre più lunga. "Anche questa è una forma di resistenza", ha detto Cassano. Che dipinge, nel suo libro, scene non dissimili da quelle che ogni giorno internet e la televisione ci propongono, a Gaza, a Kiev e in ogni Paese in cui ancora purtroppo bombe, cannoni e fucili uccidono ancora. "La narrazione è uno strumento importante e dobbiamo usarlo per non dimenticare", ha proseguito l'autrice. "Le vicende dei singoli sono, in piccolo, la Storia della collettività e per questo, nel mio lavoro, vado alla ricerca di quelle fonti che possano fornire testimonianze, voci, racconto".

E sono le storie di decine e decine di personaggi a comporre il romanzo
I figli dell'istante (Rizzoli), di cui si è parlato con
Edoardo Albinati,
sempre nel Cortile di Palazzo Roncadelli Manna. Storie, personaggi, luoghi che si accatastano l'uno sull'altro. Perché in un istante può succedere qualsiasi cosa, nascere un amore, spezzarsi un legame, dare alla luce un figlio, decidere invece di non voler diventare genitori, morire. E se davvero la vita è ciò che accade mentre stiamo facendo altri progetti, come diceva la canzone
Beautiful Boy di John Lennon, in questo romanzo è la vita stessa che esplode in ogni gesto, in ogni decisione, in ogni momento. "È un libro di legami, di rapporti, di relazioni, dove ognuno è pianeta e satellite dell'altro, dove ci sono personaggi minori che poi diventano protagonisti e viceversa", lo ha definito Albinati, "un romanzo che si è moltiplicato su se stesso".
E se il libro apparentemente non ha una trama e avvenimenti che si succedono fino ad arrivare a un finale, dipende, come svela lo scrittore, dal suo modo di approcciare la scrittura: "Io non scrivo mai in sequenza, in modo lineare, ma metto su carta le scene che in quel momento mi ispirano, che mi sembrano significative, sono frammenti di romanzo che poi vengono ordinati e l'unità è data dalla scrittura e dalla presenza dei personaggi che tornano, rientrano". Il risultato è un libro-vita che svela la tessitura con cui le nostre esistenze sono allacciate a quelle degli altri.Uno sguardo alle persone che appare anche nel romanzo C'è molta speranza (ma nessuna per noi), Guanda, presentato da Nicola H. Cosentino nella splendida cornice del Cortile del Museo Civico. Un incontro scoppiettante, divertente nel quale l'autore, pungolato dall'ironia di Igor Ebuli Poletti, scrittore, viaggiatore, musicista, riflette sul concetto di desiderio. Il romanzo, infatti, racconta di uno scrittore, H, alter ego di Cosentino, che decide di scrivere un libro a partire dai desideri. Per questo chiede a chiunque incontri che cosa desidera maggiormente.

E scopre che le persone sono più portate a raccontare disgrazie, disavventure, disguidi ma diventano stranamente ritrose e timide a esporre in pubblico i propri desideri. Che, in quanto tali, raccontano di aspirazioni positive. "Ho passato anni a studiare le distopie e le apocalissi per la tesi del mio dottorato di ricerca per rispondere alla domanda a che cosa serve la letteratura", ha raccontato Cosentino. "Pensavo di essere giunto alla conclusione che la letteratura servisse a interpretare il futuro perché racconta in anticipo tutto. Ho discusso la tesi nella primavera del 2020 e penso di non dover aggiungere altro". Da qui il desiderio di abbandonare le sciagure e di dedicarsi anima e corpo ai desideri. "Se parliamo soltanto di cose negative, perdiamo la capacità di aspirare ad altro". Il titolo è una frase che l'autore sostiene di aver "rubato" a Franz Kafka e che interpreta come una tensione alla speranza, al desiderio. E in questo senso la letteratura può diventare da un lato la chiave per formulare la realtà, per dare un codice alle persone che possa aiutarli a orientarsi nel mondo. dall'altro diventa il mezzo per esprimere i propri desideri che poi sono l'essenza stessa della vita, il motore delle nostre azioni.
Sabrina Miglio
Social Network