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Rapiti dall'arte, in equilibrio tra tempi e mondi: "Statue viventi" di Günter Grass

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Statue viventi
di Günter Grass
con i disegni dell'autore
La Nave di Teseo, gennaio 2024

Traduzione di Nicoletta Giacon

pp. 80
€ 16 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

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Può capitare a volte, in rare illuminanti occasioni, di sviluppare un legame talmente profondo con un'opera d'arte da vederle prendere vita accanto a noi. In un corpo a corpo di sguardi e risonanze interiori può succedere che questa ci parli, arrivi a raccontare qualcosa che ci riguarda nel profondo, fino a sembrare parte del nostro stesso mondo. A Günter Grass è successo con una statua. 
Premio Nobel e autore del celeberrimo Il tamburo di latta (1959), Grass di arte si è nutrito come di letteratura, essendo stato anche scultore e grafico.
Alla fine degli anni Ottanta, in una Germania ancora divisa, davanti alla visione delle dodici statue della Cattedrale di Naumburg, qualcosa di potente è accaduto in lui. La visione, la bellezza, l'espressività di quei personaggi, opera di un maestro anonimo e presenti in quella chiesa dal 1250, provocano un cambiamento destinato a durare nel tempo e che darà vita a nuove storie e nuovi incontri. 
Una delle statue, in particolare, attira l'attenzione di Grass: quella di Uta degli Askani di Ballenstedt, moglie di Ekkehard, uomo terribile e bellicoso:
«Finalmente ci trovammo di fronte alla coppia di tutte le coppie. La nostra guida abbozzò un lieve sorriso, quasi volesse assecondare la nostra impazienza: Ekkehard e Uta. Lei, come sempre, alla sua sinistra, con il volto coperto parzialmente dalla veste, risvoltata a destra. Il suo sguardo appare piuttosto distaccato, e il bavero rialzato, quasi a proteggerla, sembra suggerire il bisogno di ripararsi anche dal consorte». (p. 21)
In tanti, nei secoli, si sono innamorati di Uta. Bellezza germanica per eccellenza, fiera, regale, schiva, osserva i visitatori come se raccontasse una storia che tiene nascosta sotto quel bavero rialzato. Una storia di nobili natali, di un matrimonio senza figli, di un processo per stregoneria e di una inaspettata fuga dal rogo.
Dalla sua origine nel XIII secolo, Uta entra nella leggenda come simbolo di incredibile fascino e virtù, e poi durante il nazismo come emblema della bellezza ariana. Nei tempi moderni è stata anche raffigurata nei francobolli tedeschi. 
«E così lasciammo che quella pietra scolpita agisse su di noi, o quanto meno eravamo disposti a farlo», scrive Grass, che della visione di Uta non si libererà più, fino a ritrovarla anni dopo nel volto e nelle movenze di un'artista di strada incontrata prima a Colonia, poi a Milano, infine a Francoforte. 
Quella statua è davvero una statua vivente: vive nei pensieri dell'autore, nelle trasformazioni del mondo e nei suoi strani rovesci, nell'amore e negli incroci imprevisti della vita. 

La genesi di Statue viventi dice tanto della sua essenza: inizialmente concepito come un capitolo dell'autobiografia di Günter Grass, questo testo è stato riscoperto negli archivi dello scrittore dalla sua storica collaboratrice Hilke Ohsoling. In questa edizione è proposto insieme ai disegni dell'autore che danno al volume un tono privato, quasi fosse il racconto di una passione a lungo taciuta, una raccolta di pagine da un diario segreto.
La statua vivente è un'ossessione letteraria e personale, un amore fino a oggi inconfessato, la testimonianza ardente di uno scrittore-artista che si è perso dentro nomi, colori, forme, sguardi di ieri. 
Al centro di questo testo, che tanto ci dice della personalità di Grass, sta la ricerca di un rifugio dal tempo:
«Fin da giovane ho desiderato nascondermi in fondo alle scale, introvabile in tempi sempre diversi. Né la ristrettezza del bilocale, né la successiva vita nelle baracche del campo di prigionia di guerra, né i bambini chiassosi, nessun rumore mi ha mai impedito di fuggire, ogni volta, dal presente. E presto mi ritrovai in altra compagnia. Li invitai, ed essi si presentarono. Su un foglio di carta, molte cose erano possibili». (p. 16)

Su quel foglio di carta Grass ha fatto rivivere i personaggi della Cattedrale di Naumburg, ma soprattutto il sogno di questo rifugio, il bisogno di lontananza, il desiderio vivace di ritrovare il passato nel presente e di proiettarvi il futuro. Dentro il jubé occidentale di quella chiesa è avvenuto un incantesimo che, come tutti gli incantesimi, cambia le sorti di chi lo riceve. 
Sorprende come in queste ottanta piccole pagine ci sia così tanta seduzione e desiderio, la voglia di essere seguiti e di seguire in un altrove



Claudia Consoli