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Il senso di smarrimento e la ricerca della solitudine in “A casa” di Judith Hermann

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A casa
di Judith Hermann
Fazi editore, gennaio 2024

Traduzione di Teresa Ciuffoletti

pp. 149
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

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[…] vogliamo la stessa cosa: stare da soli. (p. 25)

Quante volte ci capita di sentire che la solitudine sia “un male dei nostri tempi”? E che mai, quindi, sia una scelta consapevole e voluta? La protagonista di A casa di Judith Hermann, però, sembra ricercare proprio questo: un luogo dove stare da sola, voltare le spalle al passato e trascorrere un’esistenza senza troppi imprevisti. Theda (di cui scopriamo il nome solo a lettura inoltrata) prova con tutte le sue forze a emarginarsi, trasferendosi in una piccola casa vicino a una scogliera, ma la sua sembra quasi un’impresa impossibile e, in fin dei conti, nemmeno un tentativo tanto convinto.

La giovane donna, dopo aver lavorato in una fabbrica di sigarette ed essere stata licenziata, decide di lasciare la città in cui vive da sempre per ritirarsi in un luogo remoto e impervio (soprattutto d’inverno). Questo tentativo fin da primi giorni sembra avere qualche falla; infatti, vicino alla sua casa, vive il fratello che gestisce un piccolo pub nella zona e dove la giovane donna andrà a lavorare. E, ancora, la casa non è del tutto isolata perché, appena a qualche metro, si trova Mimi: un’artista, una donna eccentrica, che non lascia scampo alla pace di Theda. La solitudine, tanto agognata dalla donna, ha dunque le ore contate perché, in pochissimo tempo, si ritrova immersa in un microcosmo di agricoltori, pittori e ristoratori. E se all’inizio sarà proprio quel senso di solitudine a rincuorarla, già dopo qualche tempo aprirà la porta ai suoi stravaganti vicini (compreso il fratello). Non è un cambiamento da poco, perché la giovane era partita con tutte le buone intenzioni, ma una sera qualcosa cambia nel suo stato d’animo, una sorta di epifania al contrario: arriva la paura. Dopo aver sentito alcuni rumori provenire dalla soffitta, qualcosa cambierà. Ecco, da questo momento le scelte (forse non del tutto consapevoli) saranno scombussolate nuovamente e da qui si aprirà un nuovo capitolo per Theda che si lascerà trasportare nella vita degli altri, mantenendo però sempre marcate distanze emotive. Prenderà coscienza del suo passato con cui non aveva mai fatto i conti realmente, affrontando la separazione dal marito Otis, un accumulatore seriale («Eppure, penso io, questo suo collezionare è carico di tristezza, e la vita gli scorre accanto», p. 52), e la distanza (fisica ed emotiva) dalla figlia, Ann. Se con l’ex marito i rapporti sono rimasti ottimi, con la figlia, Theda non riesce mai a instaurare un dialogo costruttivo.

Nonostante le comparse della vita di Theda siano tutte ben caratterizzate (Mimi e suo fratelli Arild in primis), cardine della narrazione sono i paesaggi e la natura intatta che rappresentano i fragili e complessi stati d’animo della protagonista. Prima del trasferimento, Theda viveva in una sorta di dormiveglia, viveva per inerzia senza mai impegnarsi fino in fondo (lascia il marito e si rassegna alla distanza con la figlia senza alcuna, fatica apparente), ma sarà proprio in questo ambiente eccentrico, fatto di allevatori di maiali, artisti e turisti, a restituirle un po’ di entusiasmo per la vita. D’altronde, è quello che vuole: trovare un luogo sicuro che travalichi il senso originale di “casa”, inteso come quattro mura e un tetto. E, sebbene non ne sia sempre consapevole, l’obiettivo ultimo rimane quello di appropriarsi del suo posto nel mondo, ricercare uno spazio per sé. È una presa di coscienza personale che porta la giovane donna a integrarsi in questo mondo stravagante. Tuttavia, agli occhi del lettore questo non è facile da comprendere: come può Theda sentirsi a suo agio in quest’ambiente? Eppure, trova lì la sua dimensione dopo anni di ricerca: una cassa, come quando tentò di far da assistente a un mago, un monolocale claustrofobico o una fabbrica. È la libertà dei paesaggi e della natura a renderla libera e allontanarla dall’immagine che lei stessa si è costruita per tutta la vita.

Esco in giardino dalla porta della cucina e la richiudo alle mie spalle. Fa caldo, i lampioni del villaggio sono già spenti, tutti dormono e il cielo è immenso e pieno di stelle. […] Percorro la strada di campagna al buio, sporadiche fattorie si stagliano pesanti sulla pianura. Questo mondo è il mio mondo perché mi trovo qui in questo momento […]. (p. 71)

A casa di Judith Hermann è un accenno; un accenno di sentimento, di solitudine, di vita. Non è un’epopea esistenzialista sui grandi cambiamenti, ma il racconto delle piccole cose di ogni giorno che indirizzano Theda verso il cambiamento. A casa è un libro di atmosfere e di descrizioni che contrastano con i personaggi stravaganti del microcosmo della protagonista e sono proprio i maestosi paesaggi tedeschi a diventare i protagonisti di questa storia, assumendo, oltre che un significato narrativo, anche quello sentimentale.

Giada Marzocchi