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L’emigrazione, il lutto e l’adolescenza in “Cenere in bocca” di Brenda Navarro

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Cenere in bocca
di Brenda Navarro
La Nuova Frontiera, 2023

Traduzione di Gina Maneri 

pp. 185
€ 17,90 (cartaceo)
€ 11,90 (ebook)

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È possibile attribuire alla morte un sapore o un odore particolare? Tutti noi, forse, potremmo ritenere questa domanda assurda: la morte non ha sapore e non ha odore, ma può essere declinata in modo reale o figurato, metaforico ed esistenziale e non ha a che fare con i nostri sensi. Eppure, l’esordio narrativo di Brenda Navarro sembra dimostrarci il contrario: Cenere in bocca, prima ancora che un titolo, è un avvertimento reale e figurativo che ci anticipa quanto la perdita di un nostro caro possa far rimanere, appunto, della “cenere in bocca”.

Siamo davanti alla storia di due fratelli che vivono entrambi in Messico con i nonni, fin quando la madre, una donna piegata dai sacrifici di una vita, decide di tentare la fortuna in Spagna. Ed è qui che gli equilibri famigliari, già fragili, si spezzeranno, senza possibilità di essere aggiustati; entrambi i fratelli (di cui è la sorella a essere la voce narrante) sono portati, quasi senza possibilità di scelta, in un paese straniero, dove Diego troverà la morte, gettandosi dal quinto piano di un palazzo («Sempre la stessa immagine: Diego che cade e il rumore del suo corpo sul marciapiede», p. 11) .

Sarà proprio dal suicidio del fratello che questa giovane donna inizierà il suo racconto. Un racconto di dolore, di emarginazione, di solitudine e di rabbia verso una madre che, almeno dal punto di vista della ragazza, non ha tenuto conto delle implicazioni emotive dell’emigrazione. In Messico, i due fratelli avevano trascorso una vita abbastanza serena, coccolati e, soprattutto, rassicurati dall’amore di quei due anziani che, con i mezzi a loro disposizione, cercavano di non far mancare niente ai due adolescenti. In Spagna, invece, cambia tutto; soprattutto per Diego che, in un paese straniero, sente il peso dell'emarginazione e della solitudine («Così, completamente solo, senza nessuno che gli potesse dire di non farlo», p. 39) che lo porterà a togliersi la vita.

Almeno alla partenza, l’idea della madre era di costruire una vita migliore, cercando una fortuna (sociale ed economica) che in Messico sembrava impossibile; ma già al suo arrivo, e ancor di più quando si ricongiunge ai figli, la realtà sarà ben diversa. Le “famigerate” opportunità, promesse dalla madre, non saranno così ovvie, ma, anzi, entrambi i fratelli avranno enormi difficoltà ad ambientarsi nella nuova casa. Sì, perché “essere immigrato” significa perdere la propria identità e diventare qualcos’altro. Cosa? “Straniero” o “l’altro”, quello diverso. Ed è proprio così che i due fratelli si sentono. Non saranno mai a proprio agio nel nuovo paese; ma, frequentemente Diego e sua sorella saranno additati come “quelli che sono venuti da fuori” (e non mancheranno nemmeno episodi di razzismo). Se da una parte, dunque, ci sono razzismo, emarginazione e moltissima solitudine, dall’altra, questa giovane donna troverà la solidarietà negli altri “stranieri”, donne e ragazze che, come lei, cercano di trovare il proprio spazio in una società che sembra offrire pochissimo a chi ha il coraggio di abbandonare la propria casa.

L’autrice, Brenda Navarro, racconta sicuramente una storia tragica (d’altronde, inizia con il racconto del suicidio di Diego), ma che poi allarga al mondo di oggi, sviscerando molti aspetti del nostro tempo; dall’adolescenza, all’emigrazione ed emarginazione fino al rapporto tra madre e figlia. Sì, perché, dopo la morte di Diego, questo complesso rapporto genitoriale diventerà un cardine della narrazione: la giovane non può, e soprattutto non vuole, perdonare la madre che, almeno ai suoi occhi, ha sacrificato la loro stabilità emotiva per cercare una fortuna che poi non è nemmeno arrivata.
Non capisci niente, le rispondevo infastidita, perché con lei non era possibile discutere senza finire per urlarsi contro. No, proprio non ci capivamo: lei non capiva me, io non capivo lei, io non capivo Madrid, Madrid non capiva me e noi due non capivamo Diego. (p. 30)
Quella di Cenere in bocca è la storia di una famiglia, di un suicidio, di quel senso di disagio che diventa, pagina dopo pagina, sempre più forte, tanto da essere, in alcuni punti, palpabile. Ed è qui un altro punto di forza: lo stile. L’autrice gioca sui silenzi, sul non detto, su incomprensioni, su dubbi e interrogativi: ci sono, infatti, pochissimi dialoghi diretti, tutta la narrazione è affidata all’indiretto perché, alla fine, questa è la storia postuma di un dolore che si piega sulle riflessioni e i ricordi di questa giovane emigrata.

Giada Marzocchi