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«Se le donne cambiassero la loro voglia di far parte del governo con quella di eliminarlo…»: l’anarco-femminismo di He-Yin Zhen in “Il tuono dell’anarchia”

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Il tuono dell'anarchia
di He-Yin Zhen
2023, D Editore

Traduzione di Cristina Manzone

pp. 185
€ 17,90 (cartaceo)
€ 6,29 (ebook)

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Quando si leggono testi femministi, capita di sentirsi interpellate personalmente da alcune voci. E non di rado, quelle che più spesso riescono a risuonare alle nostre orecchie sono anche capaci di travalicare i decenni, di attraversare Stati e oceani, pur restando estremamente specifiche, estremamente localizzate nella volontà ferrea di cambiare il mondo che gira o girava intorno all’autrice. La capacità di essere precise e al tempo stesso universali è un'abilità che caratterizza molte scrittrici femministe e la voce tonante di He-Yin Zhen è senza dubbio tra queste.

Per questo, prima di analizzare il suo messaggio, esploriamo insieme il mondo a cui appartiene quest’autrice, vissuta tra Ottocento e Novecento in una Cina imperiale scossa da numerosi movimenti riformisti. Una distanza temporale e geografica che non spaventa, grazie alla magnifica introduzione della traduttrice e curatrice Cristina Manzone, un gioiellino di divulgazione che fa sì che anche le lettrici più distanti da un tale contesto possano fruire degli strumenti per godersi appieno i discorsi dell’autrice – caratterizzati anch’essi da una chiarezza e pregnanza magistrali. Tra i movimenti di riforma che volevano una Cina più nazionalista, anticipando la caduta dell’impero che si sarebbe verificata di lì a breve, Manzone inquadra con abilità il modo in cui i discorsi relativi alla parità di genere erano riusciti a infiltrarsi in ogni tipo di discussione politica a culturale, anche al di fuori del dibattito spiccatamente anarchico in cui He-Yin Zhen si introduce; se l’oppressione tradizionale della donna veniva portata avanti perfino grazie a interpretazioni letterali e strumentalizzate della dottrina confuciana, la liberazione della donna doveva invece essere portata in prima linea tanto nella discussione politica quanto in quella culturale, perché solo liberando chi nasce, vive e muore in prigionia, si può raggiungere un vero ideale di giustizia per tutte e per tutti. 

I saggi che compongono quest'opera, pubblicati tutti nel 1907, nella rivista fondata da He-Yin Zhen stessa durante il suo soggiorno (quasi un esilio politico) a Tokyo, vanno dritti al sodo, ed elencano puntualmente le modalità in cui questo ideale di liberazione può essere raggiunto. Il titolo stesso della rivista è una dichiarazione d’intenti: Tianyi, letteralmente “giustizia naturale”, quell’ideale di giustizia che sappia andare al di là della condizione giuridica.

Gli scopi (della rivista) sono di distruggere le caratteristiche intrinseche della società, instaurare l'uguaglianza tra gli esseri umani, di sostenere non solo la rivoluzione delle donne, ma anche quella razziale, politica ed economica. Da qui il nome Giustizia Naturale. (p. 33)

Dopo quest’annuncio programmatico, ecco il primo numero di Tianyi, che si apre con un vero e proprio elenco delle cose contro cui le femministe dovrebbero lottare: l’istituzione del matrimonio nonché tutti gli altri riti tradizionali che lavorano per opprimere la donna; tutti i doveri che comunemente vengono attribuiti alle donne; l’educazione differenziale per bambine e bambini; la convenzione per le donne di assumere il cognome del marito; e molto altro. Se da una parte spicca la menzione dell’educazione infantile, ancora oggi elemento trascurato all’interno dei discorsi di genere, dall’altra ci sono ovviamente battaglie che oggi non ci sembrano più attuali o giuste, come quella per la monogamia o per l’abolizione del sex work. Eppure la logica ferrea dei discorsi di He-Yin Zhen sa convincere, portando sempre esempi concreti del perché nel suo contesto tali elementi risultassero da combattere.

E così via, di saggio in saggio, toccando temi come l’antimilitarismo, la comparazione con i movimenti femministi di altri Paesi, e, nel saggio più lungo e complesso della raccolta, l’ideale di “vendetta” che le donne dovrebbero portare avanti nei confronti degli uomini, basandosi su una storia lunga e dettagliata dell’oppressione che in Cina le donne hanno dovuto subire sotto tutti i punti di vista – quello delle istituzioni sociali, come la poligamia e il concubinato; quello linguistico, con l’analisi dei caratteri del cinese classico; quello legato ai riti tradizionali come ad esempio le disparità legate al modo in cui uomini e donne portano il lutto, e tanto altro.

Donne cinesi, sapete che l'uomo è il vostro più grande nemico? E sapete che le donne sopportano la sottomissione maschile da migliaia di anni? Gli antichi dicevano "chi mi opprime è mio nemico". Oggi non vi è un solo uomo che non sia crudele nei confronti delle donne, perciò non vi è una donna che non abbia il diritto di chiedere vendetta. (p. 53)

Insomma, le pagine di He-Yin Zhen sanno trasportarci in un mondo diversissimo dal nostro e sono in grado di guidarci all'interno di un femminismo diverso, in cui entrare rispettose e in punta di piedi. Ma allo stesso tempo la mano che He-Yin Zhen ci allunga arriva presentissima ai giorni nostri, e ci ricorda che il femminismo è sempre e prima di tutto una posizione politica: un modo di vivere la società in cui ci troviamo – e, auspicabilmente, di cambiarla

Marta Olivi