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"Cile 1973": una doppia testimonianza dei fatti cileni che intreccia memorie personali e vignette provocatorie

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Cile 1973. Il golpe contro Allende nelle tavole di Punto final
di Marco Bechis e Alfredo Chiappori
a cura di Sara Chiappori
La nave di Teseo, 2023
 
pp. 96
€ 16 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
 

Goffredo Fofi lo definisce un «divulgatore utile al popolo giovanile» (p. 10) nella Prefazione al volume Cile 1973. Il golpe contro Allende nelle tavole di Punto final. Parla del vignettista Alfredo Chiappori, venuto a mancare lo scorso anno, un disegnatore con l’ambizione di “storico”, come scrive ancora Fofi nelle prime pagine. In questo piccolo libro Chiappori ci parla infatti della Storia, quella con la “s” maiuscola, quella stampata sui manuali di scuola perché formata da eventi che devono essere conosciuti, ovvero “da studiare”, “da sapere”. Ma in quanti modi si può conoscere e raccontare la storia, persino quella con la “s” maiuscola?

Lo strumento di Alfredo Chiappori è stato il disegno, sono state le tavole che illustrava con i pennini e i pastelli, e con gli innumerevoli barattolini di china dentro cui li tuffava e che la figlia Sara ricorda con chiarezza:
C’erano i blocchi con spirale dove schizzava l’idea, la sequenza, le battute. […] I contorni e i testi tracciati con il pennino, i fondi neri riempiti a pennello […] Mi seducevano i gesti, il farsi delle linee che diventavano grossi nasi, uniformi militari […] (p. 13)
Nelle venti tavole inedite che Sara Chiappori ha deciso di far ripubblicare dopo cinquant’anni (Punto final era infatti comparso sulla rivista “Linus” nel novembre del 1973) di uniformi militari ce ne sono parecchie. Punto final non è solo il racconto del golpe militare che portò al governo il dittatore Pinochet, ma una vera e propria denuncia contro i mandanti del colpo di stato, della fine della democrazia cilena costituitasi con l’elezione di Allende. È tratteggiando grossi nasi di china che Chiappori fa i nomi di chi il golpe «lo ha proprio orchestrato, in una trama dai molti protagonisti: la CIA, le grandi banche, la chiesa, i servizi segreti. Le multinazionali […] soprattutto […]» (p. 18). Non è soltanto satira, anzi forse non lo è affatto, perché gli unici sorrisi che emergono dalle tavole sono quelli dei colpevoli disegnati sulla carta, i loro ghigni neri su fondo bianco mentre dalle bocche schizzano fuori i balloon: «niente paura! Le banche sono rimaste a secco!», «cosa vuoi che contino dieci o ventimila morti?», «avete sentito?… Allende vuole il rame! E se gli dessimo del piombo?».

Nonostante Chiappori abbia realizzato Punto final poco dopo che quei drammatici eventi ebbero luogo, il suo modo di narrarli è di pura documentazione, non c’è un’emotività rabbiosa, né languida, benché in ogni suo tratto riesca ad essere provocatorio. Con grande lucidità e senza alcuna retorica sentimentale Chiappori fa dialogare i personaggi, anche quelli all’epoca ancora oscuri, ignoti, che organizzarono il golpe: figure identiche le une alle altre, identificabili solo dalle etichette apposte sulle scatole da cui sbucano fuori i loro nasi, i loro sigari e i sorrisi maligni. Tante scatole tutte uguali in un concerto di macchinazioni, dove tutti sono complici e colpevoli e, leggendo, si perde il senso dell’accaduto, la chirurgica programmazione dei criminali non rispecchia più la logica umana, ma ne rimane ben chiara la contraddittoria complessità.

Nello stesso periodo in cui Chiappori denunciava i fatti cileni, in un giovane Marco Bechis si risvegliava un sentimento di riscoperta verso la propria patria latina. Nato a Santiago, figlio di padre italiano e madre cilena di origine svizzero-francese, Bechis si trasferisce con la famiglia in Italia, dove frequenta il liceo e si iscrive a Economia politica, di cui frequenta però solo il primo anno. Nel luglio ’74 torna infatti in Argentina, poi in Cile, di cui ha entrambe le cittadinanze, avviandosi verso una decisa militanza politica che lo porta all’incarcerazione, a essere per dieci giorni «uno delle migliaia di desaparecidos» (p. 77), ma miracolosamente espulso dall’Argentina dopo soli quattro mesi di carcere.
 
Nelle Lettere da Santiago, che accompagnano le vignette di Chiappori in questo breve ma intenso viaggio negli accadimenti cileni degli anni Settanta, Bechis riporta alcune delle corrispondenze tra la zia Zizi, impiegata bancaria nel capoluogo cileno, e la madre Huguette che vive in Italia. Le lettere della zia sono per Bechis il filo che lo tiene ancorato alle sue origini e da cui lui e la sua famiglia avevano ricevuto informazioni di prima mano sugli sconvolgimenti politici aldilà dell’oceano; ma le lettere  rappresentano soprattutto una testimonianza personale e privata di quegli anni, ben lontana dai notiziari giornalistici o dai testi di storica obiettività che se ne fecero in seguito, ma forse più utile per comprendere i cambiamenti che quei fatti portarono nella vita delle persone, o almeno di quelle appartenenti a una famiglia piccolo borghese come quella di Zizi, che non voleva rinunciare al proprio status e aveva «una paura viscerale del comunismo» (p. 50).

Bechis racconta i fatti per come li visse all’età di vent’anni, le atrocità e il sangue che furono versati in tutta l’America latina, concertandosi con i disegni di Chiappori in una doppia documentazione appassionante ma emotivamente ragionata di quelle tragedie che per buona parte rimasero impunite, rammentandoci che anche a distanza di cinquant’anni la Storia vale sempre la pena ricordarla e riproporla, perché le sue narrazioni si scoprono mai del tutto esaurite.
 
Federica Cracchiolo