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"Ogni io è un romanzo in fieri": nel vorticoso "Lasciarsi cadere" di Lidia Yuknavitch

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Lasciarsi cadere
di Lidia Yuknavitch
Nottetempo, 2023

Traduzione di Alessandra Castellazzi

pp. 208
€ 17 (cartaceo)
€ 11,49 (ebook)

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Ne La cronologia dell'acqua, amatissimo romanzo di Lidia Yuknavitch del quale si è parlato qui, si ha come l'impressione di galleggiare, nuotare a larghe bracciate e a volte annegare. La materia di cui è fatto il titolo sembra starci tutta intorno, come se interagisse fisicamente con ogni cellula di noi.
Nel nuovo libro della scrittrice americana, Lasciarsi cadere, pare quasi di sentire il vuoto in cui cadono i corpi, le vite, le storie. E il lettore è chiamato a fidarsi ancora una volta di una narrazione travolgente.
In entrambi i casi quella di Yuknavitch è una scrittura pienamente materica che richiede coraggio, specialmente nell'osservazione diretta del dolore.
I legami tra i due romanzi sono numerosi e molto solidi, in un ecosistema di consonanze che in qualche modo farà sentire a casa chi deciderà di leggerli entrambi. 
Il primo di questi elementi connettori è il ricordo della figlia nata morta, stretta tra le braccia per troppo poco tempo prima di lasciarla andare per sempre. La bambina è presente come trauma e oggetto di scrittura privilegiato mentre si racconta di un'altra bambina che vive altrove, in un paese dell'Europa dell'Est  assediato dalla guerra, dalla fame e dalla violenza. C'è una fotografia che la ritrae mentre tutto attorno a lei esplode e in quello scatto iconico e super premiato si annidano così tanti significati che a guardarlo sembra di impazzire. Questa foto, l'istantanea di una vita spezzata, diviene l'ossessione di una scrittrice, la prima a cui viene spedita, direttamente dalla zona di guerra.
A partire da quell'immagine la donna scivola in una depressione che sembra quasi somigliare alla morte, mentre le persone della sua vita si raccolgono attorno a lei cercando di salvarla, ciascuno con i propri mezzi e le proprie umanissime fragilità. Per farlo decidono di andare anche a prendere la ragazzina dello scatto, tentando di portarla negli Stati Uniti. 
Dentro a tutto ciò che scrivo c'è una bambina. A volte è morta e infesta la storia come un fantasma. A volte è un'orfana di guerra. A volte semplicemente gironzola. Forse la bambina è una metafora, o forse sono io, o forse è un personaggio che non la smette di tornare. La scrivo e la riscrivo. A volte penso di inseguirla in un altro luogo o in un altro io. Mi conduce. Dirige il traffico della mia vita. (pp. 18-19)
Le bambine di ogni storia sembrano raccogliersi in queste pagine: quelle abbandonate, quelle cresciute troppo in fretta, quelle violentate, quelle forti e caparbie. La scrittrice stessa in molti passi sembra una bambina desiderosa di cure, di abbracci materni, di corpo a corpo, mentre altre volte pare una madre alla disperata ricerca di una figlia. 

Lasciarsi cadere
è molte cose insieme: un memoir intricato e scomposto, un romanzo sul salvarsi e sul salvare, un'ode all'arte come fiamma che consuma (non a caso i personaggi che si riuniscono attorno alla scrittrice sono tutti dolenti dentro il fuoco vivo della creatività e vengono chiamati solo con i nomi delle loro professioni: il regista, lo sceneggiatore, la fotografa, la poetessa...).
Yuknavitch accentua qui la sua tendenza all'astrazione e al frammento, con capitoli che sembrano davvero sequenze di scatti sfocati con lo sfondo di un mondo che brucia. 
Come ne La cronologia dell'acqua lo scrivere - anzi qui la dimensione più ampia del creare - è al centro di un'equazione ai cui estremi stanno il vivere il morire
Ci sono pagine molto violente e disturbanti e c'è molta più sessualità rabbiosa. La rappresentazione delle violenze sulle bambine fa eco a quelle che Yuknavitch ha subito da bambina per mano del padre, in un susseguirsi di ricordi increspati attorno ad avvenimenti fondamentali che vengono percorsi e ripercorsi. 

Lasciarsi cadere completa e integra La cronologia dell'acqua congiungendosi in un cerchio ideale. Rispetto al primo libro la folgorazione è stata differente: sicuramente meno impetuosa dal punto di vista emotivo e più cerebrale, probabilmente anche per effetto di una certa distanza volutamente presa dalle pagine più violente. 
Rimane la nitida percezione di essere davanti a una grande autrice che scrive che "ogni io è un romanzo in fieri". Il suo io si rivela a noi, pezzo dopo pezzo, in tutto ciò che scrive; per quanto possa svelarne, sembra esserci ancora così tanto da leggere.


Claudia Consoli