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Scrivere, nuotare, vivere, morire: "La cronologia dell'acqua" di Lidia Yuknavitch, il memoir che narrativizza la paura

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La cronologia dell'acqua
di Lidia Yuknavitch
Nottetempo, 2022

traduzione di Alessandra Castellazzi

pp. 336
€ 17,00 (cartaceo)
€ 4,99 (ebook) 

Tutti gli eventi della mia vita si intrecciano nuotando. Senza cronologia. Come nei sogni. Perciò se evoco il ricordo di una relazione o dell'andare in bicicletta o del mio amore per l'arte e la letteratura o della prima volta che bagnai le labbra d'alcol o di quanto adoravo mia sorella o del giorno in cui mio padre mi toccò la prima volta - non c'è un senso lineare. Il linguaggio è una metafora dell'esperienza. È arbitrario quanto la massa di immagini caotiche che definiamo memoria; ma possiamo comporre frasi per narrativizzare la paura. (p. 16)


Alla domanda "qual è la trama de La cronologia dell'acqua?" è difficile rispondere in modo univoco. Trasportati dal flusso di una narrazione che sgorga da un io femminile sfaccettato e potente, ci si ritrova a fluttuare in un fiume di storie. Tutte, in qualche modo, hanno a che fare con l'acqua, metronomo meccanico di una vita che, per la sua eccezionalità, non somiglia a molte altre.
Il memoir di Yuknavitch è la magistrale prova di una scrittrice che è contemporanea nel senso più rotondo del termine. Di contemporaneo non ha tanto carriera ed esperienze, quanto il modo di trasmettere un vissuto complesso facendone scrittura. Nuotatrice dai suoi primi passi, ogni suo ricordo si increspa come acqua attorno a una serie di avvenimenti fondamentali. 

Le violenze del padre, il sentimento per la sorella, la perdita di una figlia portata in grembo fino alla nascita, i divorzi, le dipendenze, la costruzione di un sé sempre in bilico tra la voglia di affermazione e la tentazione alla resa insegnatale da bambina. Le cose che accadono in questo libro arrivano al lettore in un modo inaspettato, che è insieme ciclonico e placido come l'acqua di una piscina olimpionica. Non a caso sembra che ogni cosa le sia successa possa essere a fondo compresa solo se immaginata in acqua azzurra e clorata.
La cronologia dell'acqua chiama a un'esperienza di percezione totale che sembra abbattere le barriere mente-corpo e realtà-sogno. Il vuoto che l'autrice ha sentito in tanti momenti della sua vita viene perfettamente reso da una serie di immagini che ci troviamo a inseguire quasi senza pensare. 
Fatto di una scrittura estremamente corporea - acqua, liquidi, sangue, saliva, alcol, lividi si presentano a restituirci tutto il peso del sentire tra recuperi, ricadute e ricordi - questo romanzo ha una matericità straordinaria che si ricollega alla massa dell'acqua, ma altre volte pare quasi prendere fuoco:
La scena del rogo di Giovanna d'Arco è a pagina 341. Anziché una corona di spine le posarono un alto copricapo di carta sulla testa. Morì soltanto quando il fuoco le raggiunse la testa. La gente vide ogni genere di cose - una persona vide una colomba spiccare il volo dal capo, malgrado avessero usato olio, solfuro e combustibile, il cuore e le viscere non si ridussero mai in cenere. I carnefici dovettero gettarli nella Senna. Riuscivo a figurarmela. Il suo aspetto. Il suo odore. I capelli in fiamme. L'ossatura del cranio che affiorava, mostrando infine la mascella e i denti, un terribile riso o urlo, mentre bruciava a morte. Lo leggo a tredici anni. Onora tuo padre. È peccato inventare storie. Per il resto della mia vita sarò una ragazza in fiamme. (p. 140)

Lidia Yuknavitch è una scrittrice in fiamme.
Tra il fuoco che divampa in questo rogo letterario ha gettato in primis un passato violento e crudo - i padri, il nuoto, il sesso, i neonati morti - ma anche la folgorante capacità di rilevare la vita e la morte e di scriverle entrambe in una stessa frase. Racconta che La cronologia dell'acqua le è uscita dalle mani proprio nel momento in cui aveva la certezza di annegare. Un libro squisitamente privato eppure così proteso verso il mondo.
Raffinata è la riflessione sui generi, la pressione maschile, i corpi femminili sessualizzati: tra le altre cose, è la storia di una donna che ha conosciuto la violenza tra le mani del padre e che per molto tempo ha sentito di fallire di fronte agli uomini. Leggendo certi passi sui maschi si divampa dello stesso fuoco collerico della rabbia del padre che gli si vorrebbe riscagliare contro:

Questo mi è successo. Qua è dove ho fallito. Dove sono diventata cieca. Dove ho aperto le gambe. Dove mi sono staccata a morsi la mano. Dove ho provato ad annullarmi o rendermi utile o meritevole d'amore o dove mi sono avventurata nel piacere e nella sofferenza. O mi sono ubriacata sputtanando tutto. Un'altra volta. Queste sono le cicatrici. Sono una nuotatrice. Le mie spalle sono ampie. I miei occhi azzurri. (p.199)

E poi ci sono l'amore per le donne e il sesso con le donne, spesso raccontati con trasporto estremo, in una egual misura di piacere e dolore.
I periodi spezzati e l'andamento sincopato ricordano a volte le boccate d'aria che si prendono tra una bracciata e l'altra quando si nuota. Altre volte si alternano battenti come il pulsare di un cuore, altre rallentano e poi accelerano, come quando si trattiene il respiro. A me questo incedere ha fatto venire voglia di rileggere più volte le pagine più intense per essere sicura di non averle attraversate troppo in fretta.

Yuknavitch dice che in un certo modo le sue parole le sono capitate. A osservare questa scrittura feroce sembrerebbe una forma d'istinto la sua perché è vero che le donne come lei non conoscono altro modo di vivere (e forse di scrivere) se non buttarvisi di corpo.
Ma mi piace pensare che ci sia più di questo straordinario intuito di partenza. C'è l'esercizio costante dello sguardo e lo sforzo caparbio della scrittura come invenzione di storie con cui finalmente convivere.
Storie che trasformino e regalino tipi di partecipazione che la vita non sempre concede: "Chiunque siate. Là fuori. Per quanta sia la solitudine, non siete soli. C'è un'altra specie di amore."

Claudia Consoli