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La città obliqua nella gioia e nel dolore: "Ricominciamo da tre" di Francesco Palmieri per Bompiani

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Ricominciamo da tre - Napoli, 'o libbro 'nnammurato
di Francesco Palmieri
Bompiani, maggio 2023

pp. 160
€ 10,00 (cartaceo)
€ 5,99 (ebook)


Il calcio contagia pure chi se ne giudica immune, quando rimane esposto al pulviscolo della festa. A Napoli lo scudetto è un'emozione totalizzante. Può irritare chi la guarda da lontano e assegna un posto numerato a ciascun sentimento, vietandogli di sconfinare dal suo specifico settore dell'animo. Giudicherà incomprensibili certi entusiasmi, insopportabili i napoletani. (p. 56)
Francesco Palmieri, giornalista e scrittore, napoletano doc, scrive per Bompiani con un tempismo perfetto questo libro che si colloca a metà tra un saggio e una lettera d'amore. Il titolo chiaramente fa riferimento al film "Ricomincio da tre" diretto e interpretato da Massimo Troisi nel 1981.
Tutti però hanno visto realizzata la profezia, o la battuta, di Massimo Troisi: Ricomincio da tre. La pronunciò in una intervista a Gianni Minà che divenne subito sketch, quando salutò il primo titolo del Napoli con quello del suo film: Scusate il ritardo. Disse che un giorno sperava tornasse utile anche il titolo Ricomincio da tre, anzi girava film per procurare slogan al Napoli. (p. 52)
Possiamo dire che il suo desiderio si sia avverato, in città sventolano striscioni che replicano le sue parole un po' dappertutto, confuse tra bandiere azzurre, magliette di cartone e faccine dei giocatori. L'autore, a mio avviso, sceglie questo titolo di proposito, proprio per "partire con l'intento di ricominciare": si domanda se il terzo scudetto del Napoli sia effettivamente motivo di ripartenza, di nuove energie, e non lo fa da un punto di vista strettamente giornalistico, ma letterario.
I capitoli sono molto brevi, pillole più che altro, e introducono un ventaglio di argomenti molto ampio: Palmieri ci illustra la squadra sciorinando le origini e le peculiarità di ogni giocatore - lui la chiama la "Legione straniera", ammiccando nei confronti di uno spogliatoio multinazionale e, per proprietà transitiva, di una città che quasi non conosce razzismo - non fermandosi però al mero elenco, ma riprendendo la storia di un luogo in cui i bambini giocavano (e giocano ancora) tra mura greche e Vie che portano il nome di Pallonetto Santa Lucia.
Allo stesso modo, mischiando la storia della città e le vite dei suoi personaggi più illustri, da Troisi e De Filippo, da Merola a Salvator Rosa, senza disdegnare Bruscolotti, Pino Daniele e ovviamente Maradona, l'autore traccia una mappa con cui orientarsi, partendo dallo scudetto appena vinto con l'intento di riflettere sul temperamento di una città intera e dei suoi abitanti.
In apertura ho citato un passaggio in cui Palmieri esprime la comprensione per chi di Napoli non è e che potrebbe guardare a certi entusiasmi con perplessità: spesso ho sentito dire che chi non è napoletano non può capire, che il binomio abusato sacro/profano sembra essere la narrazione corrente, ma come giustificare allora l'interesse non solo "locale" per questa vittoria?
Nel libro si prova a spiegarlo: attraverso la decodifica di parole dialettali napoletane come "trezziare" e "pappuliare", attraverso il magico numero trentatré che non solo fa riferimento agli anni di Cristo e al tempo intercorso tra i due ultimi scudetti, ma anche alle suore del Protomonastero di Santa Maria in Gerusalemme, attraverso le poesie di Salvatore Palomba, autore dell'immortale "Carmela", si traccia un inno d'amore per un luogo che di glorie e disgrazie si ciba quotidianamente.
Lo scudetto è un pretesto per parlare di Napoli: per parlare dei suoi sentimenti "obliqui", del suo tempo "obliquo" (p. 100), del modo in cui deifica uomini ponendoli nel novero dei santi e del modo in cui tira già dall'Olimpo gli stessi santi per farli diventare scugnizzi di strada.
Si tratta di un discorso di tipo sociologico: 
Il divisivo dibattito sull'unicità di Napoli proseguirà forse per sempre. (p. 91)
I parallelismi con i primi due scudetti, quello del 1987 e quello del 1990, si sprecano: l'autore si domanda com'è cambiata la città nel frattempo, com'è cambiato il tifo, come siamo cambiati noi. Questo significa chiedersi anche quali modifiche nella percezione e nella valutazione di un luogo che ormai è invaso dai turisti siano avvenute. 
Ciò che è rimasto forse immutato è lo spirito dei suoi abitanti (abitanti, non tifosi). Prendendo il prestito le parole di don Pietro Calà Ulloa, magistrato, politico e saggista napoletano nato e vissuto nel 1800, Primo Ministro di Federico II, Palmieri cita:
Il popolo napoletano è vivo, sagace, ingegnoso, rumoroso nella gioia e nel dolore, insolente nei trionfi, prostrato nei disastri. Per indole greca, passa rapidamente dal dolore alla gioia, e viceversa. (p. 98)
Non sono parole estremamente attuali queste? E ancora, Palmieri mette in campo Bennato:
La gioia e la paura, come l'ascesa e la discesa, convivono e si rispecchiano nella toponomastica e anche nella topografia: Napoli "non è piana, non è verticale", cantò Edoardo Bennato. È una città obliqua. (p. 99)
Che vuol dire che Napoli è una città obliqua? Storicamente, a livello di urbanistica e anche di morfologia territoriale (Napoli non è una città "piatta"), per collegare i quartieri del centro storico e quelli affacciati sul mare ai quartieri più alti fino al Vomero, si cominciò a costruire un sistema di scale (sistema di risalita). Questo ha permesso non solo di allacciare i margini della città, ma anche di donare una visuale per l'appunto diagonale, inclinata, della città stessa. Discesa e salita, a seconda del punto di vista, sono prospettive che si fanno metafora anche dei sentimenti: gioie e dolori, vittorie e sconfitte, bellezza e munnezza, sono facce di una stessa medaglia, alla stregua di una salita che è anche discesa e viceversa. Dipende ovviamente dal punto di partenza.
Trovo l'esperimento di Palmieri riuscito: il libro è pieno di spunti, di scintille che stuzzicano la curiosità del lettore. Non si rivolge solamente ai napoletani, o ai tifosi napoletani, ma a chiunque voglia scoprire un po' di più il temperamento di una città iper sfruttata, iper raccontata.
In apertura, come prologo, segnalo poi il commento di Gennaro Della Volpe, in arte Raiz, voce degli Almamegretta.

Deborah D'Addetta