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«E la speranza ho imparato che è violenta»: "Cose che non si raccontano" di Antonella Lattanzi

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Cose che non si raccontano
di Antonella Lattanzi
Einaudi, marzo 2023

pp. 216
€ 19 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


«Ho imparato che la speranza quando è troppa diventa certezza. Che non è verde e nemmeno gialla. La speranza è nera, perché ti distrugge» (p. 20)
Non ho potuto evitarlo. Leggendo Cose che non si raccontano, arrivatomi in anteprima e in libreria dal 14 marzo per Einaudi, sono tornata a vedere su YouTube l'intervista ad Antonella Lattanzi in occasione dell'uscita del suo romanzo precedente, Questo giorno che incombe (HarperCollins, 2021). In quella mezz'ora trascorsa insieme e anche nel backstage, non ho mai pensato nemmeno per un momento che l'autrice stesse attraversando giornate difficilissime. E ora non faccio che chiedermi se io sia stata indelicata in qualche momento dell'intervista, ignara di quanto le stesse accadendo... 

Cosa? Veniamo a Cose che non si raccontano, romanzo autobiografico di un'intensità soverchiante. Normalmente non leggo o, se lo faccio, non apprezzo romanzi dedicati al desiderio della maternità e alle sue complicanze mediche, perché semplicemente non mi interessano questi temi. Bene, detto questo, sappiate che ho lasciato in sospeso qualsiasi altra lettura in corso dopo aver letto le prime cinquanta pagine di questo romanzo e che ho puntato la sveglia alle 5 del mattino seguente per finire l'opera prima di andare a lavorare. A colpirmi è stata innanzitutto la schiettezza dolorosa che emerge da ogni pagina: non è pacifica né la decisione di avere un figlio («Reagisco all'essere madre. Perché, se l'ho voluto con tutte le mie forze, per anni?», p. 18), né la lotta complessa e perlopiù solitaria lungo il percorso di procreazione assistita («Tu sei una donna, e devi fare sempre tutto da sola. Il corpo dentro il quale ci sono queste bambine è il tuo. Fattene una ragione», p. 143). 
E dire che Antonella non è sola: ha un compagno, Andrea, e un gruppo di amici affezionati. Pochi, tuttavia, sembrano capire davvero come starle accanto al meglio. A pochissimi la protagonista è disposta a rivelare i suoi dubbi, le paure, ma anche le speranze, che a volte sono ancora più soverchianti. Quante volte per rassicurare gli altri mette a repentaglio la propria salute? E ci sono anche i sensi di colpa, sì, quelli che arrivano al pensiero dei due aborti volontari compiuti in giovane età o delle tante volte che ha rimandato di avere un figlio, perché sentiva che non era ancora il momento e doveva dedicare le proprie energie al suo lavoro di scrittrice. Siamo davanti a sensi di colpa che hanno ben poco di razionale, ma che sconvolgono qualsiasi serenità con il loro "te lo meriti", che riecheggia nella mente della protagonista ogni volta che qualcosa ostacola il suo diventare madre.
Accanto al proprio desiderio di maternità, continuamente osteggiato, corre la preparazione alla pubblicazione del suo romanzo Un giorno che incombe, con l'iter di revisione, i contatti con la casa editrice le successive pianificazioni di presentazioni e tutto ciò che sta intorno alla promozione di un libro. Promozione portata avanti con fatica, e non solo per le proprie condizioni fisiche, ma anche per l'arrivo del
Covid, che non fa che complicare tutto quanto. Persino gli accessi agli ospedali, le pratiche mediche a cui Antonella deve sottoporsi, spesso sono rese ancor più dolorose e probanti. Che dire, poi, del personale medico? Dentro a questo libro troviamo splendidi esempi di medici che restano, come il ginecologo S., che starà sempre vicino alla sua paziente, seguendola con grande delicatezza e generosa disponibilità nella sua battaglia per la maternità. Ma ci sono anche tanti esempi di insensibilità, tante frasi inopportune pronunciate con deliberato desiderio di ferire o con superficialità, ugualmente colpevole. 
Inutile tacerlo: durante la lettura, ci sono momenti che ci fanno pensare alle tappe di un lungo e doloroso calvario, che non sappiamo se si concluderà mai con la felicità

E non lo sa neanche Antonella Lattanzi, quando inizia a scrivere Cose che non si raccontano: siamo davanti a un libro la cui trama è tracciata dal destino, non certo dalla scelta deliberata dell'autrice. Dunque, se la trama è un voltarsi lento e discontinuo verso il passato, per poi tornare a guardare al presente, alcune volte l'autrice-narratrice-io narrante si sofferma a sognare quello che sarà. Non tanto quel che sarà del suo desiderio di maternità, perché lo spazio al sogno è sempre contenuto dal timore di osare troppo; quanto quello che sarà del suo libro: 
E se stai parlando solo a te?, mi chiedo. Un libro per essere un libro non può parlare solo a te. Deve essere per tutti. Come faccio a sapere se sto parlando solo a me? 
Un libro è una cosa seria. Non puoi scriverlo per sfogarti. Non puoi scriverlo perché serve a te. 
E quello che è successo me lo sono meritata pure perché, mentre cerco il coraggio di scrivere tutto questo, io penso: sarà un bel libro? Sarà un bel libro?
Me lo sono meritata perché, anche ora, invece di pensare solo a quello che è successo, io sto pensando alla scrittura. Anche adesso, che tre bambine non ci sono più. (p. 26)
La preoccupazione per ciò che si scrive e come lo si scrive, in altre parole, non è mai disgiunta dall'urgenza di condividere la propria esperienza. Oltre che come un memoir, possiamo leggere quest'opera come una raccolta di frammenti discontinui, in grado di plasmare un'opera sorprendentemente (e paradossalmente) coesa. 
In questo libro conta veramente tutto, anche a livello formale e paratestuale: dallo spazio bianco lasciato talvolta generosamente a isolare il frammento, alla scelta di una sintassi franta, che spesso nella paratassi convulsa lascia intuire il ritmo ansioso del respiro. Riprese lessicali, tematiche e di interi episodi non fanno che testimoniare un pensiero che si fa dominante, avvinto com'è all'identità stessa della protagonista. Cose che non si raccontano è una storia da maneggiare con sensibilità.

GMGhioni