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«Un'arte che affonda le sue radici nel tempo ma non è mai stata così contemporanea»: "Il linguaggio dei tatuaggi" in un libro di Nick Schonberger e Oliver Munden

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Il linguaggio dei tatuaggi.
130 simboli e i loro significati
testi di Nick Schonberger
illustrazioni di Oliver Munden
traduzione di Paolo Bassotti
L’ippocampo, 2023

pp. 224
€ 19,90 (cartaceo)

Antica e avanguardistica allo stesso tempo, quella del tatuaggio è un’arte che deve il suo fascino anche alla natura del tutto passeggera che la contraddistingue: come la moda, per esistere oltre il figurino e il cartamodello, si affida alla silhouette di chi la indossa, la muove e se la porta in giro, così l’inchiostro nero e colorato ha bisogno della viva pelle dell’individuo – supporto intimo, unico e inimitabile – per animarsi oltre il flash book di uno studio, perdere l’anonimato del campionario e raccontare una storia esclusiva, tutt’uno con la persona. Rapporti, come si vede, che possono durare una stagione o una vita intera, e per i quali il destino di una fine – di una morte – è parte integrante, e anzi vero e proprio valore aggiunto, del rispettivo perché. Tuttavia, assuefatti come siamo all’evidenza dei tattoo come alla ciclicità dei trend, tendiamo spesso a dimenticare sia quanto profondi possano essere i significati di un disegno sull’epidermide sia quanto, pur nella superficialità della resa, l’esigenza che porta qualcuno a ricoprirsene (o a rivestirne qualcun altro) possa equivalere a un bisogno primario (come, per l’appunto, proteggere il corpo con i vestiti, rafforzandolo, per così dire, con l’abito perfetto e su misura).

Il linguaggio dei tatuaggi. 130 simboli e i loro significati, appena pubblicato nella sua versione italiana da L’ippocampo, è dunque, più che mai, un libro prezioso. Non solo perché, come si intuisce dal titolo, aiuta il lettore a familiarizzare con le decine di immagini che da secoli ne costituiscono l’universo visivo di base, ma perché i testi critici di Nick Schonberger e le riproduzioni a tutta pagina delle opere di Oliver Munden (“Megamunden”) liberano linee, forme e colori dalle catene interpretative del vezzo e della vanità, ricordando origini, ascendenze e influenze di soggetti e motivi solo apparentemente intuitivi o, peggio, banali. Al contrario, il rimando preliminare dell’autore al concetto di “appropriazione”, alla natura ibrida e metamorfica di questa cultura e il dialogo a più voci – talora sovrapposte – tra stile tradizionale (old school), irezumi e fine line, è un’ulteriore conferma della complessità di una pratica artigianale che deve molto alla dimensione preliminare delle idee.

L’esposizione proposta da Schonberger è, molto opportunamente, tematicaAmore, Fede e spiritualità, Protezione e sostegno, Trasformazione, Fortuna, Forza, Desiderio, Resilienza, Perdita, ricordo e impermanenza – così che all’interno di ciascuna categoria possano trovare spazio le immagini più ricorrenti, ascrivibili ai vari filoni menzionati e, in più di un caso, declinate proprio nel rispetto di più stili. Le figure, come esplicita il sottotitolo, sono assai numerose, eppure, come spiega l’autore, si tratta di appena «uno spaccato di storia del tattoo», una carrellata su quei fondamentali che, negli anni se non nei secoli, sono divenuti dei classici, e dunque una tradizione:

«ogni figura, in un dato momento, è divenuta, un elemento organico di questo linguaggio, portando in dote la propria eredità estetica e culturale, e una forza semantica specifica che può aiutarci a raccontare le nostre vite attraverso la nostra pelle» (p. 7).

Personaggi dal sembiante antropomorfo, figure mitologiche e leggendarie, animali realistici o fantastici, motivi floreali e vegetali, oggetti e simboli assortiti scorrono in un lungo elenco che si fa campionario, e che lungi dal dichiararsi esaustivo e chiudere il cerchio lo apre, anzi, a ulteriori approfondimenti e variazioni (per non parlare di come gli elementi possano assumere significati di volta in volta più marcati o più delicati in base a grandezze e giustapposizioni strategiche): un bilanciamento aureo tra parole e immagini caratterizza il volume nell’insieme, e se le descrizioni risultano sempre sintetiche ma efficaci, ogni figura spicca in campo bianco e in dimensioni tali da farne apprezzare ogni particolare, colore, sfumatura. Una scelta, quest’ultima, che rende giustizia alla bravura e alla versatilità di Oliver Munden, al suo lavoro presso lo studio Rock Steady Tattoo, sulla costa Sud dell’Inghilterra, e alla sua capacità di cimentarsi con risultati sempre convincenti in una varietà di stili, tecniche, supporti e superfici, remixando in modo personale l’estetica della skate art vintage, il Rinascimento e gli influssi stilistici e tematici del tatuaggio europeo, americano e giapponese: dai murales all’arredamento d’interni, dalle copertine dei dischi alle carte dei tarocchi.

Chi conosce il catalogo L’ippocampo capirà subito come Il linguaggio dei tatuaggi sia un libro che fa il paio perfetto con Il tatuaggio giapponese, l’opera a firma di Yori Moriarty dedicata all’ambito del tattoo nipponico già pubblicata dalla casa editrice nel 2020. Molto simile nell’impostazione, nell’intenzione e anche nell’impaginazione, il lavoro di Schonberger e Munden si pone quasi come il suo volume gemello, declinandone l’argomento in chiave più generale, aprendo all’Occidente e palesando fin da subito sia le criticità insite nella categorizzazione locale delle immagini e dei simboli sia il fatto che la loro ibridazione e commistione possa portare senza onta o sacrilegio a casi di coesistenza e convivenza di “maniere” sul corpo di uno stesso individuo. E se, come già accadeva con il precedente, si chiude il volume e non si viene colti dal raptus di correre a farsi “un tatuaggetto” (Cit.), è perché l’autore, pur nel rispetto di ovvie esigenze di sintesi, riesce a far passare un messaggio inequivocabile: nonostante viva su un supporto più che mai transitorio e temporaneo come la pelle umana, ognuno di questi disegni ha pur sempre molte più cose in comune con l’arte (e dunque con l’ambizione all’eternità) che con la tendenza (ovvero con l’assuefazione all’effimero). Proprio per questo, e proprio in virtù di una semplicità di consultazione (favorita anche dall’Indice alfabetico finale) mai disgiunta dalla sorpresa, il catalogo riesce a invitare il lettore di qualsiasi età e cultura alla riflessione e al rispetto, facendolo esitare e meditare non meno di quanto farebbero i più dotti trattati sulla materia. Ancora una volta, dunque, la casa editrice conferma come la validità della forma possa equivalere a quella della sostanza, marchio indelebile di una qualità che da anni affida al dialogo reciproco tra immagine e parola il segreto del proprio successo.

Cecilia Mariani